Roberto Vecchioni ai giovani: un ragazzo che non sogna è senza ali, striscia per terra

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“I sogni devono essere legati a ciò che può accadere, a ciò che si può provare a realizzare. In questo senso il sogno è l’anticamera della realtà: permette all’immaginazione di essere più forte dei sensi motori e quindi prepara a come affrontare nel vero quello che si può soltanto sognare”: lo ha affermato il cantautore Roberto Vecchioni nell’intervista pubblicata nel libro ‘Inquieti sognatori. I giovani nella Chiesa di Papa Francesco’, a cura di padre Vito Magno:

“Oggi come ieri un ragazzo che non sogna è senza ali, striscia per terra. Per avere uno sguardo panoramico della realtà occorre alzarsi e guardare. Non c’è felicità senza immaginare situazioni e cose belle che possono accadere”. Il libro raccoglie 14 conversazioni che l’autore ha tenuto alla Radio Vaticana con personaggi noti, riflettendo su oltre 60 esortazioni e pensieri che papa Francesco ha rivolto ai giovani in 5 anni di pontificato.

Parlando del rapporto dei giovani con la famiglia, la scuola, la Chiesa, la solidarietà, i media, i sentimenti, la sessualità, il discernimento, lo spettacolo, lo sport, la musica, il libro costituisce un utile sussidio in vista del prossimo Sinodo, come ha sottolineato nella prefazione il card. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, con le interviste a Gianfranco Ravasi, Luigi Ciotti, Roberto Vecchioni, Bebe Vio, Giusy Buscemi, Franco Garelli, Aldo Maria Valli, Giovanni Caccamo.

Citando l’invito di papa Francesco a sognare in grande, il cantautore milanese ha spiegato che “sognare in grande significa alzare lo sguardo oltre la propria situazione per considerare gli altri, chi non ha possibilità. In questo senso i sogni diventano fratellanza”. Quando, però, un giovane di oggi sogna in grande e poi, nella realtà, ‘è costretto a cozzare contro un muro’, succede che ‘si chiude in se stesso’.

E nei suoi tour nelle scuole il cantautore Vecchioni non ha mai dimenticato di essere un insegnante, che deve spronare i ‘suoi’ studenti ad appassionarsi della realtà. Innanzitutto ha detto che i giovani devono sperimentare il volontariato, come è successo a lui: “I miei rapporti risalgono ai tempi dell’alluvione di Firenze. Senza il volontariato, allora, non avremmo salvato l’arte. Da cantautore, ho sempre cercato di essere presente dove c’era il dolore, ma anche la solidarietà”.

Quindi per Vecchioni è importante che i ragazzi studino con passione: “La cultura salva sempre. Addii, perdite e pianti trovano consolazione nella bellezza dell’arte. La forza di una sinfonia, di un quadro o di un’ode di Saffo vincono sulla paura della morte e del dolore. Le parole sono cose non sono segni e basta.

Passione, guerra, combattimento e amore erano già spiegati nelle tragedie greche. La modernità di Euripide raccoglie tutte le sfumature della donna, dalla implacabile Medea a Fedra, distrutta d’amore, e Alcesti, che dà la vita per il marito”.

Ed allora come professore quale voto assegna ai giovani?
“Non è il caso di parlarne male. Cambiano di generazione, ma i giovani sono lo specchio di una società. Se è arruffata e confusa, senza lavoro o senza ideali, o le assomigliano o si ribellano. Quello che manca in una società così frenetica e colpevolizzante come la nostra è l’attenzione emotiva ai giovani. Manca lo stimolo, il pungolo, l’invito a non abbattersi, ad accettare gli errori”.

E quali potrebbero essere le ‘soluzioni’?
“Innanzitutto occorre sottolineare che sono più intelligenti di quanto eravamo noi alla loro età, hanno molti più mezzi, ma sono disordinatissimi e nessuno gli mette ordine. Bisognerebbe che tutti i giorni avessero una iniezione di cultura, di giusto, bello e vero. Che qualcuno gli dicesse di non correre senza avere una meta. Però ci sono anche dei giovani che sanno che la cultura è un’arma per difendersi con orgoglio e dignità”.

Quale senso assegnare alle parole?
“Tutte le parole partono da un nucleo, che si chiama radice, e che è un’azione, un verbo. La prima parola esistente è un verbo. ‘Fiat lux’ è la prima parola del mondo, ed è un verbo, ‘fiat’, ‘venga’ la luce, perché è un’azione quello che noi facciamo prima. Le cose non fanno.

Le parole nascono da questo nucleo, che non si conosce, non si sa da dove venga”. Quindi non resta che chiudere l’intervista con le parole della canzone ‘Sogna, ragazzo, sogna’: “Sogna, ragazzo, sogna, ti ho lasciato un foglio sulla scrivania, manca solo un verso a quella poesia. Puoi finirla tu“.

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