Credere Oggi: la profezia dell’enciclica ‘Humanae Vitae’

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Nel fascicolo 224 di marzo/aprile di quest’anno il bimestrale ‘Credere Oggi’ dedica il dossier all’enciclica ‘Humanae Vitae’ di papa Paolo VI, che così inizia: “Il gravissimo dovere di trasmettere la vita umana, per il quale gli sposi sono liberi e responsabili collaboratori di Dio creatore, è sempre stato per essi fonte di grandi gioie, le quali, tuttavia, sono talvolta accompagnate da non poche difficoltà e angustie.

In tutti i tempi l’adempimento di questo dovere ha posto alla coscienza dei coniugi seri problemi, ma col recente evolversi della società, si sono prodotti mutamenti tali da far sorgere nuove questioni, che la chiesa non può ignorare, trattandosi di materia che tanto da vicino tocca la vita e la felicità degli uomini”.

Nell’editoriale del fascicolo si spiegano le motivazioni del dossier: “Cinquant’anni dopo, molte cose sono cambiate: mutamenti profondi e imprevedibili hanno investito tutti gli ambiti della vita umana, dal piano sociale e culturale a quello economico, politico e tecnologico.

La stessa chiesa e la teologia hanno compiuto un lungo cammino dopo ‘Humanae vitae’: sui temi affrontati dall’enciclica, vi sono stati ulteriori interventi del magistero, fino all’ultimo in ordine di tempo, l’esortazione apostolica ‘Amoris laetitia’ di papa Francesco, che pur non trattando in modo specifico della procreazione della coppia colloca la riflessione su questo tema a partire da un approccio nuovo alla teologia e alla pastorale della famiglia.

La nostra rivista intende proporre al lettore un percorso di riflessione che richiami alcuni dei punti nevralgici dell’enciclica, sui quali il dibattito è stato più vivace, nella convinzione che a cinquant’anni dalla sua pubblicazione sia ormai possibile cogliere la carica profetica dell’enciclica e della sua attualità, insieme alla percezione di ciò che invece ha subito l’usura del tempo”.

In apertura del dossier la teologa Lucia Vantini ha messo in evidenza il contesto in cui si è sviluppata l’enciclica, che è quello della ‘rivoluzione del 1968’: “Le comunità ecclesiali affrontano questi passaggi rigenerate dalla visione ecclesiologica conciliare e incoraggiate da una nuova fiducia nel mondo. La chiesa del Vaticano II sembra essersi disfatta delle paure del passato e di quell’arroccamento con cui aveva scelto di abitare la storia.

I credenti iniziano a pensare che sia davvero possibile una fede radicata nel proprio tempo. Tuttavia, ben presto qualcosa fende quel cielo di sogni: nel 1968 esce l’enciclica ‘Humanae vitae’, a firma di Paolo VI. Il testo ribadisce antropologie tradizionali e va in altra direzione rispetto al vento di libertà che era spirato fino a quel momento. In quel contesto di rinnovamento, per il popolo di Dio non è affatto facile accettarla.

L’impatto sulla gente è, infatti, particolarmente negativo, soprattutto per la ribadita condanna dei metodi contraccettivi, che ricade severamente sull’esperienza sessuale sorta dal nuovo immaginario erotico e smentisce in modo particolare la soggettualità femminile nel dare la vita. In qualche modo si viene ricacciati nella tradizione. Si avverte un forte senso di solitudine e di infedeltà verso la storia e l’esperienza”.

Nell’articolo si sottolinea la differenza tra paternità e maternità responsabile: “Nonostante ci si riferisca all’esperienza di entrambi i coniugi, Humanae vitae usa l’espressione ‘paternità responsabile’. Da nessuna parte si trova il termine ‘maternità responsabile’. Potrebbe sembrare una sterile sottolineatura formale, un andare alla ricerca di pretesti per sollevare questioni che il testo non tiene.

In realtà, il linguaggio è lo spazio di negoziazione del senso: ciò che accade al suo interno spesso è sintomo di ciò che si gioca fuori, nell’ombra del non detto e dell’indicibile. Quando si scelgono le parole da usare tra le molte altre possibili, si dà forma al mondo. Quelle scartate possono restare solo provvisoriamente in silenzio, oppure diventare veri e propri tabù, ma in ogni caso esse fanno comparire un campo semantico mai neutro, epifanico in un certo senso, perché rivela le nostre chiusure e le nostre indifferenze.

Nell’Humanae vitae il riferimento all’esperienza femminile non c’è, o forse rimane sottinteso, come ciò che della realtà resiste, nonostante tutto, all’indifferenza. L’assenza è indice di una scarsissima confidenza con le donne in carne e ossa, ma è anche sintomo di un antico androcentrismo, che legge il mondo a partire da un soggetto maschile spacciato per universale.

Così il documento risulta impreparato a nominare il vissuto delle donne – madri o non madri –, ma anche a fare spazio alla dualità dei sessi e alle tante differenze in cui questa si disloca”.

Nell’articolo l’autrice ha sottolineato l’asimmetria tra paternità e maternità: “Riattraversata non solo per ciò che afferma, ma anche per ciò che tace, l’Humanae vitae aiuta a ricordare che una tradizione è viva perché chi vi partecipa è capace non solo di ripeterne le espressioni, ma anche di intercettarne l’implicito che solo un tempo maturo può riconoscere come essenziale.

Una tradizione vive di esperienza, sorge per dar vita a infinite esperienze, è esposta e prende corpo nelle esperienze. Quando si stacca dai vissuti e si sradica dalle storie, essa perde la propria linfa vitale e muore. Una tradizione che tradisce l’asimmetria tra donne e uomini nella vicenda della genitorialità è una tradizione che rischia di spegnersi.

In ‘Amoris laetitia’ quella tradizione viene rivitalizzata, anche se il cammino per vivere l’asimmetria tra i sessi senza gerarchizzazione delle differenze è ancora lungo. Papa Francesco qui riconosce l’opera materna come una collaborazione con il Dio creatore che è attiva, in quanto coinvolge sempre il desiderio della donna: una donna partecipa al progetto di Dio ‘sognando suo figlio’, ed è chiamata poi a incarnare il sogno nel limite della storia e della realtà, attraverso lo Spirito di un Dio che ha promesso di custodire sempre e comunque la gioia delle sue creature.

E’ in questa cornice che Amoris laetitia parla dell’ ‘amore di madre e di padre’… Ciò che resta da fare, a partire da qui, riguarda l’unicità e irripetibilità di ogni storia personale, che in una cornice di asimmetria tra i sessi deve sempre trovare voce”.

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