A L’Aquila mons. Petrocchi invita a pensare il futuro

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Il 6 aprile L’Aquila si è fermata per ricordare le vittime del terremoto del 2009, che causò 309 vittime, oltre 1.600 feriti. Secondo la ‘Relazione sullo stato di avanzamento del processo di ricostruzione post-sismica nella Regione Abruzzo’, presentata nel giugno 2017 e aggiornata al 31 dicembre 2016, sono stati stanziati € 21.000.000.000 fino a quella data e serviranno altri € 4.000.000.000 per completare la ricostruzione.

Secondo i dati del sito ‘Ufficio Speciale per la Ricostruzione dell’Aquila’ a fine 2016 più dell’80% delle abitazioni della città non-storica era stato ricostruito, mentre la ricostruzione del centro storico è in ritardo. Secondo stime attendibili, la ricostruzione privata dovrebbe essere completata nel 2022, mentre la ricostruzione delle strutture pubbliche ha proceduto un po’ più lentamente e dovrebbe essere completata nel 2025.

Ed in occasione dell’anniversario il vescovo della diocesi aquilana, mons. Giuseppe Petrocchi, ha inviato un messaggio ai suoi cittadini di ‘pensare al futuro’: “Per la Comunità Aquilana questo è il tempo della laboriosità, della ripresa, della saggezza e della prossimità: dimensioni che debbono essere declinate al presente, ma ancora meglio in prospettiva dell’avvenire. Occorre non solo riedificare le devastazioni esterne (ancora visibili), ma ricomporre le fratture interiori, provocate dal sisma.

Infatti, c’è un terremoto che scuote la terra, ma c’è anche il terremoto dell’anima, che ferisce la mente, gli affetti e i rapporti interpersonali. Per questo, i primi verbi da coniugare per la ricostruzione non sono ‘progettare’ e ‘fare’, ma ‘ascoltare’ e ‘incontrare’: cioè, accogliere i bisogni profondi della gente, per disporli secondo il giusto ordine di priorità, e intensificare la tessitura delle ‘relazioni convergenti’, che potenziano la coscienza fattiva di essere un’unica famiglia.

L’Aquila non va ridisegnata al passato, ma pensata al futuro. Inoltre, L’Aquila che deve ‘risorgere’, non è solo quella raccolta dentro le mura, ma anche quella esterna: cioè, allargata ai centri limitrofi che l’hanno costruita”.

Inoltre ha invitato i cittadini ad essere attenti al ‘grido silenzioso’: “Alcuni dolori sono così acuti e profondi, che non possono essere espressi ‘parlando’: forse la loro manifestazione più immediata e intensa è il grido. Quando è impossibile urlare, queste sofferenze restano ‘mute’: tuttavia il grido non si azzittisce ma diventa ‘silenzioso’.

Va detto, allora, che questa ‘voce’ inespressa si sente lo stesso e fa stringere l’anima. Tali messaggi ‘non-detti’, ma comunicati attraverso il linguaggio empatico ed intuitivo, hanno valore universale: sono trasmessi, infatti, attraverso un codice dialogico immediatamente comprensibile, perché passa attraverso la via del cuore e segue la grammatica dei sentimenti più veri e radicati.

A mio avviso, due dinamiche dimostrano l’immortalità dell’anima umana: l’amore che rimane in eterno, e il dolore, che resta impresso per sempre nella memoria: infatti, se la sofferenza passa, resta però l’aver sofferto. Ogni sofferenza è abitata dalla Pasqua di Cristo, che la riscatta e le rende, se vogliamo, fonte di salvezza. Un terreno dove è stato seminato un dolore grande, se vivificato con l’acqua del Vangelo, fruttifica risurrezione”.

E ricordando i morti causati dal terremoto ha invitato alla preghiera, capace di saldare ancora di più i vincoli: “Sappiamo che la morte non ha il potere di erigere barriere invalicabili tra i vivi di ‘quaggiù’ e i vivi di ‘lassù’. La fede in Gesù, il crocifisso-risorto, ci assicura che rimangono aperte e transitabili le vie della comunione, che consentono lo scambio di grazie e di beni evangelici.

In particolare, un grande flusso deve attivarsi sull’arteria spirituale della preghiera, che siamo chiamati a frequentare quotidianamente. Questa strada della preghiera poggia sul grande arco portante della carità, che congiunge il cielo e la terra. La dolorosa esperienza del terremoto contiene pure una lezione fondamentale: ci insegna a puntare sull’essenziale, su ciò che conta davvero e non ci verrà mai tolto.

Proprio l’amicizia, che ci lega a questi fratelli che abitano nella Casa definitiva di Dio, obbliga a rinforzare i vincoli della coesione, ecclesiale e civile, come anche a mobilitare tutte le nostre forze nella ricerca concordata del bene comune. A questa impresa sono tenuti tutti: ognuno per la sua parte e nessuno escluso. Tale progresso morale e sociale (che speriamo di registrare in progressione crescente) dimostrerà che la dura prova della sofferenza ci è stata maestra di vita e che il sacrificio di questi fratelli non è stato vano”.

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