Il silenzio del mare racconta la guerra in Siria

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La guerra siriana ha avuto inizio il 15 marzo 2011 in Siria con le prime dimostrazioni pubbliche contro il governo centrale, parte del contesto più ampio della primavera araba, per poi svilupparsi in rivolte su scala nazionale e quindi in una guerra civile nel 2012. Le iniziali proteste avevano l’obiettivo di spingere alle dimissioni il presidente Bashar al-Assad ed eliminare la struttura istituzionale monopartitica del Partito Ba’th.

A distanza di sette anni il conflitto è ricordato nel romanzo ‘Il Silenzio del Mare’ di Asmae Dachan, la giornalista italo-siriana testimone della tragedia in Siria e dei suoi drammatici riflessi sulla popolazione. Asmae Dachan è una giornalista e scrittrice italo-siriana ed ha ricevuto nel 2016 il premio della giuria al concorso Giornalisti del Mediterraneo.

L’Ordine dei Giornalisti delle Marche le assegna nel 2015 il premio ‘A passo di notizia’ a cui è annessa la mostra ‘Siria, tra macerie e speranza’ nel 2013 è stata vincitrice del Premio Universum Donna 2013 ed è nominata a vita Ambasciatrice di Pace della University of Peace Switzerland.

Il libro, come ha dichiarato l’autrice, nasce da un groviglio di emozioni e dalla necessità di raccontare ciò che sta accadendo in Siria ‘perché non mi sembra né eticamente né moralmente corretto il racconto a spot della stampa, quando questa guerra sta durando da sette anni’.

Per scrivere la storia di questo libro l’autrice ha usato un linguaggio sviscerato dalle considerazioni giornalistiche e con una narrazione semplice “per descrivere ciò che vivono gli esseri umani come noi a 4 ore dall’Italia, in una terra che ha scritto la storia dell’umanità e del Cristianesimo”.

Il libro è il racconto di una tragedia, con personaggi veri i cui nomi sono stati cambiati, perché dopo tanti reportage, poesie, una mostra fotografica, Asmae voleva qualcosa in più. La chiave di volta per la sua ispirazione è stata l’immagine straziante di un bambino siriano avvolto in un lenzuolo tra le braccia di sua madre, poi adagiato con altri corpi di vittime sopra un carro diretto al camposanto.

Da dove deriva il titolo ‘Il silenzio del mare’?
“Il titolo del mio romanzo è un ossimoro, perché il mare, anche di notte, anche quando è calmo, non è mai silenzioso e la sua melodia ha ispirato da sempre l’umanità. ‘Il silenzio del mare’ è quel vuoto che lasciano le persone che perdono la vita nel tentativo di attraversare le acque del Mediterraneo, è l’incertezza sul loro destino, è il dolore di chi resta e si sente impotente di fronte alla loro scomparsa. Il titolo del romanzo evoca una realtà dolorosa e drammaticamente attuale”.

Perché un romanzo per raccontare la guerra in Siria?
“Ho scelto la forma del romanzo per raccontare cosa sta accadendo in Siria per cercare di arrivare a un pubblico ampio, variegato, anche a chi non si interessa di geopolitica, ma ha voglia di capire. Ho scritto molti articoli e reportage sulla Siria, ho anche un blog, www.diariodisiria.com, ma volevo lasciare qualcosa di diverso, di importante.

Ho pensato alla scena della piccola Cecilia di cui narra Manzoni nel suo celeberrimo romanzo ‘I promessi sposi’ e al grande impatto che ha avuto su generazioni di lettori, che in questo modo hanno conosciuto la tragedia della peste che nel Cinquecento ha martoriato Milano. L’immagine della madre che tiene in braccio la piccola vestita a festa e la conduce al carro funebre come se stesse dormendo è un’immagine che ogni giorno purtroppo vediamo in Siria. Genitori costretti a tumulare i figli, uccisi da bombe e spari. Un romanzo che racconta questa realtà lascia una consapevolezza che dura nel tempo, maggiore di quella di un articolo giornalistico”.

Quale è il messaggio contenuto nel libro?
“Il messaggio principale è dare voce ai civili siriani e alla loro tragedia, al loro desiderio di libertà e diritti umani che li ha spinti a lottare pacificamente per affrancarsi dalla dittatura, per poi trovarsi in un incubo imprevedibile. Guerra, terrorismo, ingerenze straniere hanno trasformato la Siria in uno scacchiere dove si sta combattendo un conflitto internazionale. Il mio messaggio è ricordare che tutto questo accade sulla pelle di un popolo che oggi soffre, soffre come mai prima. Porre l’accento sui civili ci aiuta a sentirli più vicini e ad essere meno indifferenti”.

Come è raccontato in Occidente il conflitto siriano?
“Ci sono difficoltà oggettive legate al fatto che dal 2014 mancano giornalisti stranieri liberi che possano documentare quanto accade senza bavaglio o condizionamenti. Le informazioni arrivano grazie al coraggio di giornalisti siriani sul campo e ai report di ong che documentano quanto accade negli ospedali, nelle città assediate, nelle tendopoli.

Il fatto che il conflitto siriano duri da più di sette anni certamente rende le notizie meno ‘appetibili’ per i media, ma questo ha contribuito a distogliere l’attenzione dalle sofferenze quotidiane dei civili, che si sentono dimenticati dal mondo”.

Quanto è stato difficile parlare di temi come la Siria e i migranti?
“La crisi siriana si è andata sempre più complicando e raccontarla non è affatto facile. Non è una guerra ‘tradizionale’, con una parte che dichiara guerra all’altra. Siamo passati dalle manifestazioni pacifiche per chiedere riforme e libertà alla repressione violenta, dalla resistenza armata alla guerra, dal terrorismo internazionale alla spartizione della Siria”.

E allora lei che cos’ha fatto?
“Seguire le evoluzioni richiede uno studio e una documentazione continui, con contatti sul campo, viaggi e letture di più fonti. Anche raccontare ciò che accade a un pubblico a cui le notizie arrivano frammentate e confuse non è semplice, ma fa parte del mestiere di giornalista.

Io cerco sempre di porre l’accento sul lato umano della tragedia, sulle sofferenze dei civili, sulla loro quotidianità sconvolta per sempre, che spesso li spinge a fuggire. Parlare di migrazioni oggi, in un’epoca in cui i migranti vengono demonizzati, richiede una grande forza d’animo, che porti anzitutto a ristabilire il concetto che prima di essere migranti e stranieri, siamo tutti esseri umani”.

Ma c’è ancora speranza per una società migliore?
“Non mi spaventa tanto il problema della ricostruzione materiale della Siria, quanto la ricostruzione di una società unita e pacificata. Troppe vittime, ingiustizie, troppo dolore rischiano di far prevalere l’ostilità e il rancore. Servono pace e giustizia, non si può pensare che chi ha insanguinato la Siria sieda al tavolo dei negoziati e detti legge.

Bisogna ridare la parola alla società civile. Oggi oltre la metà della popolazione siriana è fuori dalla Siria, o non ha più una casa. E’ stato distrutto un Paese, una civiltà antichissima e ricca sotto il profilo culturale, umano e spirituale”.

Tra i personaggi del libro anche un sacerdote italiano, don Rino: come mai?
“Tutti i protagonisti del libro sono ispirati a personaggi reali, così come tutte le vicende si ispirano a fatti veramente accaduti. Tra i miei protagonisti c’è un parroco che accoglie il protagonista, Fadi, un giovane fuggito da Aleppo e arrivato in Italia via mare, sopravvivendo a un drammatico naufragio.

A questo parroco ho voluto dare il nome di don Rino, per rendere omaggio alla sensibilità, al buon cuore e all’impegno dell’omonimo religioso di Recanati, col quale da anni condivido un percorso di fratellanza autentica, nell’amore del Dio unico. E’ un omaggio che mi sono sentita di fare per celebrare la grandezza di quest’uomo di pace”.

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