Papa Francesco visita la ‘Casa di Leda’: struttura per mamme detenute con figli minori

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A sorpresa venerdì scorso, accompagnato da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, papa Francesco si è recato nel quartiere dell’Eur a Roma, dove si trova la ‘Casa di Leda’, una residenza confiscata alla criminalità organizzata che ora ospita una casa protetta per donne detenute con figli minori.

La struttura è la prima ad essere allestita in Italia, ed al momento è unica nel suo genere. Il Responsabile dell’area, il dott. Lillo Di Mauro, ha raccontato al papa gli sforzi fatti per allestire la struttura, l’importanza di restituire alla società uno spazio riqualificato e al contempo sviluppare un progetto di civiltà e di grande umanità:

“Santità, Padre caro, siamo gli invisibili… Noi siamo alcuni delle migliaia di bambine e bambini figli di genitori reclusi nelle carceri italiane che viviamo con loro in carcere o andiamo a trovarli (…) Per difendere la dignità dei nostri genitori detenuti ci raccontano bugie facendoci credere di entrare in un collegio o in un posto di lavoro.

Veniamo perquisiti, violentati nella nostra intimità dalle mani di adulti sconosciuti, che ci tolgono i peluche, i poveri giocattoli che sono i nostri amici per aprirli, controllarli, a volte ci tolgono anche le mutandine per assicurarsi che le nostre mamme non vi abbiano nascosto droghe”.

Nella lettera al papa i bambini hanno scritto le loro situazioni, che molto spesso si vuole ignorare: “Siamo fiori fragili nel deserto della burocrazia e delle misure di sicurezza, nell’indifferenza di adulti alienati dal brutto e dal violento lavoro. Siamo impronte sui muri scrostati, sui vetri dei banconi divisori.

Per molti siamo statistiche, numeri: 4500 bambini che hanno una mamma in carcere, circa novantamila quelli che hanno un papà detenuto. Per altri siamo strumenti di propaganda, anche i nostri genitori a volte speculano su di noi. Ed ecco come, da un giorno all’altro, noi bambini entriamo in una quotidianità di silenzi, di parole dette e non dette, di luoghi e non luoghi.

E’ come se nascessimo una seconda volta, noi diventiamo così i figli dei detenuti. E ogni giorno e in ogni posto dove andiamo, dalla scuola al quartiere dove viviamo, noi paghiamo un alto prezzo per errori mai compiuti”.

E quindi hanno raccontato le loro giornate di ‘figli di detenute’: “Siamo figli della complessità, della povertà, dell’ignoranza. Su di noi è impresso lo stigma sociale. Viviamo in solitudine con un solo genitore che non può dedicarci tempo perché lavora per mantenere la famiglia, perché deve andare dagli avvocati per difendere l’altro detenuto, o perché viviamo insieme in celle anguste e sovraffollate dove non si ha il tempo per l’amore, per crescere sereni, dove non si vive una crescita normale dove a volte non si ha nemmeno il tempo per abbracciarci.

Il più delle volte veniamo abbandonati da parenti o da amici, o anche a famiglie sconosciute, a scuola siamo emarginati e dai nostri compagni allontanati. Quando svolgiamo temi o pensierini sui nostri genitori, per non essere additati raccontiamo che nostro padre lavora in paesi fantastici e lontani e nostra madre è una regina. Per difenderci diventiamo aggressivi e intrattabili, ma non siamo cattivi. Sono gli altri che ci vedono e ci vogliono così. Siamo i figli dei detenuti”.

Ed al termine della lettera hanno ringraziato i volontari: “Papa Francesco, noi chiediamo solo di essere riconosciuti per quello che siamo: bambini. Noi abbiamo avuto la ‘fortuna’ di avere la mamma detenuta in una delle carceri di Roma e questo ci ha permesso di incontrare persone di amore che si occupano di noi.

Uomini e donne, operatori e volontari di organizzazioni sociali che hanno per noi creato un’alternativa al carcere. Ci hanno offerto un alloggio con spazi colorati e accoglienti, dove possiamo vivere una vita più normale, andare a scuola come gli altri, giocare e vivere per tutto il tempo che le nostre mamme dovranno pagare il loro debito alla società e alla giustizia.

Da anni questi uomini e queste donne lottano per garantire i nostri diritti, per assicurarci un’accoglienza più a misura di bambino, per consentirci di stare con i nostri genitori come quando si sta a casa, seduti su un divano o sul tappeto a disegnare”.

Nella struttura abitano cinque giovani mamme, di età compresa tra i 25 e i 30 anni, alcune di etnia rom, un’egiziana e un’italiana, ognuna col proprio bambino. Accanto alle mamme detenute ci sono sempre gli operatori, gli educatori e i volontari dell’Associazione ‘A Roma Insieme’.

Al termine papa Francesco ha giocato con i bambini, offrendo loro in dono delle grandi uova di Pasqua, accolte con grande gioia dai bambini, che lo hanno invitato a fare merenda con loro. Le mamme hanno voluto lasciare al Papa un piccolo dono prodotto delle semplici attività e varie mansioni che svolgono all’interno della Casa, mentre gli raccontavano della opportunità che è stata data loro di crescere i propri figli, nonostante le difficoltà.

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