Medio Oriente: fermare le azioni militari della Turchia

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E’ durato 50 minuti il colloquio tra papa Francesco e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, giunto a Roma per parlare con il Pontefice di Gerusalemme dopo la decisione del presidente Donald Trump di spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv alla Città Santa, mossa criticata tanto dal papa quanto da Erdogan e da altri leader mediorientali.

Come riferito da una nota vaticana, nel corso dei ‘cordiali colloqui’, che Erdogan ha avuto prima con il Pontefice e poi con il cardinale Parolin e monsignor Gallagher, “sono state evocate le relazioni bilaterali tra la Santa Sede e la Turchia e si è parlato della situazione del Paese, della condizione della Comunità cattolica, dell’impegno di accoglienza dei numerosi profughi e delle sfide ad esso collegate.

Ci si è poi soffermati sulla situazione in Medio Oriente, con particolare riferimento allo statuto di Gerusalemme evidenziando la necessità di promuovere la pace e la stabilità nella Regione attraverso il dialogo e il negoziato, nel rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale”.

Al termine, durante lo scambio dei doni, è stato significativo il regalo che il papa ha scelto per il presidente della Turchia: un medaglione che raffigura ‘un angelo della pace che strozza il demone della guerra, simbolo di un mondo basato sulla pace e la giustizia’.

E nei giorni precedenti il papa aveva incontrato i partecipanti della conferenza ‘Tackling violence committed in the name of religion’, sottolineando il compito della religione: “La violenza propagandata e attuata in nome della religione non può che attirare discredito verso la religione stessa;

come tale, dovrebbe essere condannata da tutti e, con speciale convinzione, dall’uomo autenticamente religioso, il quale sa che Dio è soltanto bontà, amore, compassione, e che in Lui non può esserci spazio per l’odio, il rancore e la vendetta. La persona religiosa sa che una delle più grandi bestemmie è chiamare Dio come garante dei propri peccati e crimini, di chiamarlo a giustificare l’omicidio, la strage, la riduzione in schiavitù, lo sfruttamento in ogni sua forma, l’oppressione e la persecuzione di persone e di intere popolazioni”.

A tale proposito, a fine gennaio il Sinodo Cattolico di Aleppo ha scritto un appello a Papa Francesco affinché si pronunci sull’invasione turca di Afrin e operi pressione sui governi mondiali per bloccare l’offensiva di Erdogan, letto dal capo del Sinodo Mary Youssef Qablan nella Chiesa della Beata Vergine di Aleppo alla presenza di molti fedeli:

“A nome del Sinodo Romano Cattolico di Aleppo, denunciamo con fermezza l’invasione turco-ottomana della città di Afrin e del nord della Siria e ci appelliamo al mondo perché intervenga velocemente per salvare il resto della popolazione, poiché l’obiettivo di Erdogan è l’eliminazione della cultura e civiltà siriana. L’occupazione ottomana risale a 400 anni fa, ha interessato tutti i territori della Siria e mirava all’eliminazione del popolo armeno e oggi mira a eliminare cristiani, curdi e arabi e a prendere il controllo della nostra terra santa”.

E l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) si è rivolta al Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, chiedendo che venga convocata immediatamente una seduta del Patto del Nord Atlantico e vengano prese misure idonee per fermare la guerra di aggressione condotta dal partner della NATO Turchia contro l’enclave di Afrin nel nord della Siria.

Nella sua lettera al Segretario Generale, l’APM afferma che la NATO non può restare a guardare senza intervenire mentre un suo paese membro viola il diritto internazionale e attacca una regione pacifica di un paese vicino. Infatti da giorni l’esercito turco e le milizie islamiche siriane, sostenute dalla Turchia, stanno attaccando con artiglieria pesante, carri armati e lanciamissili i villaggi e le città del Cantone di Afrin.

Nella regione vivono kurdi musulmani, yezidi, cristiani e decine di migliaia di profughi arabi provenienti da Aleppo e da altre regioni siriane. Per tutti loro Afrin era finora un luogo abbastanza sicuro, ma ora rischiano di dover nuovamente fuggire. Secondo il referente per il Medio Oriente dell’APM, si è di fronte a una tragedia umanitaria.

Infatti prima della guerra civile siriana, nella città di Afrin abitavano circatra i 44.000 e gli 80.000 abitanti, ora nella regione omonima vivono circa 1.000.000 di persone, di cui quasi la metà sono profughi, principalmente provenienti da Aleppo.

La maggioranza della popolazione della regione sono Kurdi sunniti, ma vi è anche un villaggio kurdo-alevita e diverse decine di migliaia di yezidi, i cui villaggi si trovano nelle zone limitrofe alla regione di Afrin e continuano a subire gli attacchi dei gruppi islamici radicali e dell’esercito turco.

Gli aiuti umanitari di cui i civili di Afrin hanno urgente bisogno non riescono ad arrivare a destinazione ma vengono bloccati dalla Turchia che mantiene chiuse le frontiere. Nell’agosto del 2014 l’IS era entrata nel Sinjar (Shengal) nel nord dell’Iraq, dove la popolazione è composta principalmente da kurdi-yazidi e aveva scatenato contro la popolazione un’ondata di violenza e terrore pari a un genocidio. Secondo le fonti dell’APM finora tutti i villaggi yazidi e i villaggi in cui vivono anche Yazidi sono stati attaccati dall’aviazione turca.

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