Myanmar: non c’è tregua per i rohingya

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Secondo le agenzie umanitarie, almeno 14.000 bambini sono malnutriti e hanno immediato bisogno di cibo e medicine. E a causa di patologie trasmesse dall’acqua si teme un’epidemia potenzialmente catastrofica tra gli sfollati. Per l’Organizzazione mondiale per la sanità, il rischio è molto alto:

“Ci sono decine di migliaia di persone che dormono nel fango o in ripari di fortuna, c’è acqua sporca e contaminata ovunque, i livelli di nutrizione e l’igiene sono molto scarsi”. Ed altri 250.000 rohingya, oltre ai 500.000 profughi già stimati, potrebbero essere costretti ad abbandonare le proprie abitazioni se il Myanmar non metterà fine alle ‘sistematiche violenze’ nello stato di Rakhine, secondo le stime del segretario generale dell’Onu, António Guterres, aggiungendo che la crisi della minoranza musulmana è un ‘incubo dal punto di vista umanitario e dei diritti umani’.

E nel discorso all’Onu dello scorso 19 settembre il presidente del Myanmar, Aung San Suu Kyi, ha raccontato la vicenda: “Quando il nostro popolo ha votato a favore della Lega Nazionale per la Democrazia alle elezioni del 2015, ci ha di fatto affidato il compito di assolvere tre responsabilità: transizione democratica, pace e stabilità, sviluppo. Nessuna di queste sfide è facile o semplice. La transizione per noi è una transizione verso la democrazia dopo mezzo secolo o più di regime autoritario.

E ora stiamo facendo crescere la nostra nazione seppure sia una democrazia imperfetta. La pace e la stabilità sono state qualcosa che abbiamo dovuto raggiungere dopo quasi 70 anni di conflitto interno iniziato il giorno della nostra indipendenza nel 1948. E lo sviluppo deve essere realizzato nel contesto delle due prime condizioni, alimentando i valori democratici, instaurando pace e stabilità e realizzando il tipo di sviluppo sostenibile che riteniamo equo per tutta la nostra gente”.

La presidente, al governo da 18 mesi, ha affermato che il Myanmar sta procedendo verso la strada della democrazia, affrondando la vicenda dolorosa dei rohingya: “Sono consapevole del fatto che l’attenzione del mondo si concentri sulla situazione nello Stato di Rakhine e, come ho detto all’Assemblea Generale dell’anno scorso, come membro responsabile della Comunità delle Nazioni, il Myanmar non teme il controllo internazionale e ci impegniamo a trovare una soluzione sostenibile che porti alla pace, alla stabilità e allo sviluppo di tutte le comunità di tale Stato.

L’anno scorso ho poi illustrato brevemente i nostri piani per raggiungere questo obiettivo. Purtroppo, il nove ottobre, 18 giorni dopo la consegna del mio discorso all’Assemblea Generale, tre avamposti di polizia sono stati attaccati da gruppi armati musulmani. L’11 ottobre e il 12 novembre si sono verificati altri attacchi, che hanno provocato la perdita di vite umane, feriti, incendi nei villaggi e sfollamenti di persone nelle zone colpite. Molti musulmani sono fuggiti in Bangladesh.

Da allora il governo sta compiendo ogni sforzo per ristabilire la pace e la stabilità e promuovere l’armonia tra le comunità musulmana e Rakhine. Anche prima che questi focolai si verificassero, avevamo istituito un comitato centrale per lo Stato di diritto e lo sviluppo nello stato Rakhine e abbiamo invitato il dottor Kofi Annan a dirigere una Commissione che ci aiuterà a risolvere i problemi di lunga data di quello Stato.

Tuttavia, nonostante tutti questi sforzi, non siamo stati in grado di prevenire i conflitti. Nel corso dell’ultimo anno abbiamo continuato con il nostro programma di sviluppo e l’instaurazione della pace e dell’armonia”.

Dopo il discorso della presidente del Myanmar Amnesty International ha esortato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite a fare tutto il possibile per porre fine ai crimini contro l’umanità e alla pulizia etnica in corso contro la popolazione civile rohingya in Myanmar, anche imponendo un embargo totale sulle armi dirette verso il Paese:

“L’esercito di Myanmar sta uccidendo e costringendo alla fuga i rohingya nel contesto di una campagna di crimini contro l’umanità che costituiscono pulizia etnica. Gli stati membri del Consiglio di sicurezza devono chiedersi da quale parte della storia vogliono stare e fare tutto ciò che è nelle loro possibilità per porre fine a questo incubo. Insieme, hanno il potere di premere su Myanmar perché ponga termine al ciclo di violenza.

Il Consiglio di sicurezza dovrebbe chiedere la fine immediata dei trasferimenti di armamenti, munizioni ed equipaggiamento militare nei confronti di Myanmar, imponendo un embargo totale sulle armi che impedisca i trasferimenti diretti e indiretti e si estenda alla formazione e ad altre forme di cooperazione con le forze armate del paese”, ha dichiarato Tirana Hassan, direttrice di Amnesty International per le risposte alle crisi.

Ed in vista della prossima visita del papa nel Paese il card. Charles Maung Bo ha sottolineato la volontà della Chiesa di sostenere processi di pace: “I recenti tristi e tragici eventi nel nostro paese che colpiscono migliaia di musulmani, indù e altri hanno portato qui l’attenzione preoccupata del mondo. L’avvio della violenza e la risposta aggressiva sono deplorevoli.

Avvertiamo grande compassione verso migliaia di musulmani, indù, e popolazioni di etnia rakhine, mro e molti altri, che sono sfollati. Questa è una tragedia che non dovrebbe avvenire. Sosteniamo fortemente che risposte aggressive senza politiche integrate per costruire la pace a lungo termine sono controproducenti… Tutti noi dobbiamo passare da un passato ferito a un futuro di guarigione. Lasciate che la lezione del passato illumini il nostro futuro. La pace basata sulla giustizia è possibile, la pace è l’unica strada possibile”.

Inoltre all’agenzia Fides il card. Bo ha affermato l’impegno della Chiesa per trovare soluzioni pacifiche: ““Esiste oggi una fobia verso i musulmani creata nel paese dal linguaggio dell’odio e dai social media. Attraverso i social media, i discorsi di odio si diffondono velocemente e le notizie false assumono ben presto rango di verità…

Stiamo lavorando per portare una certa comprensione tra i vari attori, a livello sociale, politico e religioso. La Chiesa sostiene i diritti fondamentali di tutti, inclusi i Rohingya. In Myanmar anche altri gruppi etnici minoritari di religione cristiana (come kachin, kayah e karen) continuano ad essere in conflitto con l’esercito e subire sfollamento. I Vescovi birmani sostengono la dignità di ogni uomo e il bene di tutti i popoli”.

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