Colombia verso la pace: iniziato disarmo degli ex guerriglieri Farc

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In Colombia, premio Nobel per la pace, sono cominciate le operazioni di disarmo da parte degli ex guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e si aspetta la liberazione anticipata dei loro compagni catturati dall’esercito regolare.

Questo nuovo accordo di pace è un segno della forte volontà di instaurare la pace nel Paese, dopo circa 50 anni di sanguinoso conflitto armato tra le autorità di Bogotà e la guerriglia marxista delle Farc, nonostante la popolazione abbia bocciato con il referendum del 2 ottobre scorso il primo accordo siglato tra Governo e Far, siglato a Cartagena de Indias a fine settembre.

Il nuovo documento conta di circa 300 pagine ed è stato approvato con 75 voti a favore e nessun voto contrario. La nuova versione dell’accordo fa maggiore chiarezza su alcuni aspetti, tra i quali le sanzioni previste per i responsabili di crimini di diritto internazionale; impone, inoltre, alle Farc sei mesi di tempo per attuare la fase di smobilitazione e disarmo nonché l’obbligo di trasferire i loro beni patrimoniali, che potrebbero essere usati per fornire riparazione alle vittime.

Il prof. Gianni La Bella, docente di Storia Contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, che per conto della Comunità di Sant’Egidio ha seguito il processo di pace in Colombia, ha spiegato l’importanza di questo secondo accordo: “E’ molto importante sottolineare che questo ‘accordo bis’, come è stato definito dalla stampa, rappresenta un po’ l’inizio di un trattato di fiducia, di una nuova storia delle relazioni della vita colombiana.

L’implementazione di questo accordo ha un calendario definito nei minimi particolari e che dovrà essere attuato concretamente. Il primo problema sarà individuare le zone dove gli ex guerriglieri saranno momentaneamente invitati a risiedere. Queste zone dovranno essere individuate, allestite, quindi con luoghi dove sarà possibile vivere e studiare: vivere una vita normale e non più nella giungla. Questo secondo passo comporterà conseguentemente una sorta di demolizione degli armamenti più importanti per arrivare progressivamente ad una smilitarizzazione diffusa e definitiva”.

Insomma è stato instaurato un percorso, a cui anche la Chiesa partecipa con laboratori promossi dalla Commissione di conciliazione nazionale: “L’impegno della Chiesa a questo livello è molto importante e in certe situazioni determinante. La Chiesa, proprio per il suo radicamento nel territorio, può svolgere una funzione unica, che è quella di riconciliare a livello locale, nei posti più sperduti, sulle montagne, le persone che si sono, per oltre 50 anni, affrontate, confrontate tra di loro: quindi contadini, guerriglieri.

Qui si tratta di fare, attraverso le parrocchie, le istituzioni della Chiesa cattolica, un’opera concreta, quotidiana, minuziosa, di riconciliazione: aiutare le persone a ritrovare una dinamica della vita quotidiana, a trovare le parole per questa riconciliazione; superare ogni forma di rancore e di odio; identificare le persone che alle volte sono rimaste coinvolte in questo conflitto e non si sa dove siano sepolte.

Proprio la fiducia enorme di cui gode la Chiesa in questo Paese, assegna appunto alla Chiesa cattolica il compito in un certo senso unico, che nessun’altra istituzione della società civile può fare”. Comunque l’accordo resta tuttavia insufficiente per quanto riguarda le garanzie in favore delle vittime delle violazioni dei diritti umani. La parte dell’accordo di pace relativa alle vittime del conflitto, che istituisce un sistema di giustizia transitoria, è indubbiamente un passo avanti ma continua a non essere in linea con gli standard internazionali sui diritti umani.

In particolare, come più volte rimarcato da Amnesty International, le sanzioni individuate dall’accordo di pace non riflettono la gravità di alcuni dei crimini commessi e la definizione di responsabilità di comando potrebbe permettere agli alti gradi dell’esercito e delle Farc di non rispondere alla giustizia circa gli atti dei loro subordinati, come ha sottolineato Erika Guevara Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe:

“Questo accordo deve portare la pace a tutti i colombiani: le vittime delle violazioni dei diritti umani legate al conflitto, i difensori dei diritti umani che rischiano la vita per difendere i diritti degli altri, le comunità agricole che cercano di proteggere le loro terre dallo sfruttamento e le donne sopravvissute alla violenza di genere che cercano coraggiosamente giustizia. Le loro voci devono essere ascoltate, proprio ora che la Colombia si avvia ad attuare un accordo lungamente atteso”.

La direttrice inoltre ha chiesto un’azione efficace per assicurare la giustizia: “Buona parte dell’orrore che la popolazione è stata costretta a subire per decenni non è direttamente legata al conflitto tra i militari e le Farc. Coloro che operano lontano dai riflettori, difendendo i diritti o le risorse naturali e le terre dai potenti interessi economici, continuano a subire intimidazioni e attacchi mortali e l’accordo di pace farà ben poco per tutelarli.

Ciò che occorre è un’azione efficace per assicurare che i responsabili di queste azioni siano sottoposti alla giustizia. Se la Colombia vuole davvero raggiungere una pace duratura per tutti, le autorità devono assicurare che il diritto fondamentale di milioni di vittime alla verità, alla giustizia e alla riparazione sia adeguatamente rispettato”.

Dal 1985, quasi 7.000.000 colombiani sono stati obbligati a lasciare le loro case; oltre 267.000 persone sono state uccise, circa 46.000 sono scomparse e 30.000 sono state prese in ostaggio. Altre migliaia hanno subito tortura e violenza sessuale o sono saltate sulle mine e circa 8000 bambine e bambini sono stati arruolati a forza nella guerriglia e nei gruppi paramilitari. In tutti questi casi, ben pochi responsabili sono stati portati di fronte alla giustizia.

Nel 2016 gli attacchi contro i difensori dei diritti umani e i leader di comunità, soprattutto quelli nativi o di discendenza africana, hanno causato oltre 70 morti. In molti casi, i responsabili sono stati gruppi armati interessati ad acquisire il controllo su terreni ricchi di risorse appartenenti a comunità di agricoltori.

Inoltre, posta fine al conflitto con le Farc, resta ancora in atto quello tra il governo e l’Esercito di liberazione nazionale (Eln) mentre i gruppi paramilitari continuano a costituire la principale minaccia ai diritti umani in buona parte della Colombia, soprattutto nelle regioni interne. Il processo di pace con l’Eln avrebbe dovuto iniziare nei mesi scorsi ma la decisione da parte del gruppo armato di non rilasciare un importante ostaggio ha comportato un rinvio.

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