Papa Francesco in Azerbaijan per tessere fili di pace tra società e religione

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Papa Francesco ha concluso il viaggio nei Paesi transcaucasici con la visita all’Azerbaijan, un paese musulmano, ateo e legato alla cultura francese, come dimostra il raffinato Palazzo presidenziale.

Nel discorso di benvenuto il presidente ha ricordato la storia della cultura azera e i buoni rapporti con i cattolici, regolati da un accordo del 2011, che a proposito del conflitto con l’Armenia ha detto che la nazione è stata oggetto di pulizia etnica. Nel suo applaudito discorso papa Francesco ha ricordato i 25 anni dell’indipendenza dello Stato:

“Sono giunto in questo Paese portando nel cuore l’ammirazione per la complessità e la ricchezza della sua cultura, frutto dell’apporto dei tanti popoli che lungo la storia hanno abitato queste terre, dando vita a un tessuto di esperienze, valori e peculiarità che caratterizzano la società odierna e si traducono nella prosperità del moderno Stato azero. Il prossimo 18 ottobre l’Azerbaigian festeggerà il 25° anniversario della sua indipendenza e tale data offre la possibilità di rivolgere uno sguardo d’insieme agli avvenimenti di questi decenni, ai progressi compiuti e alle problematiche che il Paese si trova ad affrontare”.

Il papa ha indicato una strada da percorrere per costruire nuovi percorsi di pace e collaborazione tra le componenti della comunità civile: “Questo sforzo comune nella costruzione di un’armonia tra le differenze è di particolare significato in questo tempo, perché mostra che è possibile testimoniare le proprie idee e la propria concezione della vita senza prevaricare i diritti di quanti sono portatori di altre concezioni e visioni.

Ogni appartenenza etnica o ideologica, come ogni autentico cammino religioso, non può che escludere atteggiamenti e concezioni che strumentalizzano le proprie convinzioni, la propria identità o il nome di Dio per legittimare intenti di sopraffazione e di dominio”. Senza nominare apertamente il conflitto del Nagorno-Karabach papa Francesco ha presentato il punto di vista della Santa Sede per una coesistenza pacifica che alimenta la vita sociale e politica:

“Il mondo sperimenta purtroppo il dramma di tanti conflitti che trovano alimento nell’intolleranza, fomentata da ideologie violente e dalla pratica negazione dei diritti dei più deboli. Per opporsi validamente a queste pericolose derive, abbiamo bisogno che cresca la cultura della pace, la quale si nutre di una incessante disposizione al dialogo e della consapevolezza che non sussiste alternativa ragionevole alla paziente e assidua ricerca di soluzioni condivise, mediante leali e costanti negoziati.

Come all’interno dei confini di una Nazione è doveroso promuovere l’armonia tra le sue diverse componenti, così, anche tra gli Stati è necessario proseguire con saggezza e coraggio sulla via che conduce al vero progresso e alla libertà dei popoli, aprendo percorsi originali che puntano ad accordi duraturi e alla pace. In tal modo si risparmieranno ai popoli gravi sofferenze e dolorose lacerazioni, difficili da sanare”.

Ed ha concluso chiedendo una ‘nuova fase’ nel ricordo del viaggio compiuto nel 2002 da san Giovanni Paolo II, che ha definito il Paese ‘porta tra l’Oriente e l’Occidente’: “Anche nei riguardi di questo Paese, desidero esprimere accoratamente la mia vicinanza a coloro che hanno dovuto lasciare la loro terra e alle tante persone che soffrono a causa di sanguinosi conflitti. Auspico che la comunità internazionale sappia offrire con costanza il suo indispensabile aiuto.

Nel medesimo tempo, al fine di rendere possibile l’apertura di una fase nuova, aperta a una pace stabile nella regione, rivolgo a tutti l’invito a non lasciare nulla di intentato per giungere ad una soluzione soddisfacente. Sono fiducioso che, con l’aiuto di Dio e mediante la buona volontà delle parti, il Caucaso potrà essere il luogo dove, attraverso il dialogo e il negoziato, le controversie e le divergenze troveranno la loro composizione e il loro superamento, in modo che quest’area… divenga anche una porta aperta verso la pace e un esempio a cui guardare per risolvere antichi e nuovi conflitti”.

Terminato l’incontro papa Francesco è stato ricevuto dallo sceicco Allahshukur Pashazadeh, che ha apprezzato gli sforzi del papa nella risoluzione dei conflitti: “Abbiamo appreso con attenzione e rispetto le Sue parole di grande leader religioso riguardo l’importanza di una risoluzione pacifica del conflitto di Nagorno Karabakh fra l’Armenia e l’Azerbaigian. Il popolo, lo Stato e il capo dell’Azerbaigian desiderano una risoluzione giusta e pacifica di questo conflitto sulla base delle norme del diritto internazionale.

A più riprese, ho incontrato i leaders religiosi dell’Armenia con l’aiuto delle Chiese Ortodosse Russa e Georgiana, e anche con il sostegno del Consiglio ecumenico delle Chiese. Assieme abbiamo dichiarato che questo conflitto non è un confronto religioso”. Dal suo canto nell’ultimo incontro con i Rappresentanti delle altre Comunità religiose nell’anno del multiculturalismo, papa Francesco ha sottolineato che le religioni hanno un compito educativo nel guidare l’uomo alla ‘scoperta’ di Dio:

“La fraternità e la condivisione che desideriamo accrescere non saranno apprezzate da chi vuole rimarcare divisioni, rinfocolare tensioni e trarre guadagni da contrapposizioni e contrasti; sono però invocate e attese da chi desidera il bene comune, e soprattutto gradite a Dio, Compassionevole e Misericordioso, che vuole i figli e le figlie dell’unica famiglia umana tra loro più uniti e sempre in dialogo”.

Citando il poeta nazionale Nizami Ganjavi, il papa ha ribadito che l’apertura arricchisce e non impoverisce, questo è il compito delle religioni: “Proprio le religioni hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti… Le religioni sono chiamate a farci capire che il centro dell’uomo è fuori di sé, che siamo protesi verso l’Alto infinito e verso l’altro che ci è prossimo”.

Ed ha ribadito che la religione è una bussola per orientare l’uomo al bene: “La religione è dunque una necessità per l’uomo, per realizzare il suo fine, una bussola per orientarlo al bene e allontanarlo dal male, che sta sempre accovacciato alla porta del suo cuore. In questo senso le religioni hanno un compito educativo: aiutare a tirare fuori dall’uomo il meglio di sé. E noi, come guide, abbiamo una grande responsabilità, per offrire risposte autentiche alla ricerca dell’uomo, oggi spesso smarrito nei vorticosi paradossi del nostro tempo…

Le religioni, al contrario, aiutando a discernere il bene e a metterlo in pratica con le opere, con la preghiera e con la fatica del lavoro interiore, sono chiamate a edificare la cultura dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti. Così si serve la società umana. Essa, da parte sua, è sempre tenuta a vincere la tentazione di servirsi del fattore religioso: le religioni non devono mai essere strumentalizzate e mai possono prestare il fianco ad assecondare conflitti e contrapposizioni”.

Citando le encicliche della Chiesa ha invitato le religioni a pregare per la pace, evitando i ‘sincretismi concilianti’: “Una pace vera, fondata sul rispetto reciproco, sull’incontro e sulla condivisione, sulla volontà di andare oltre i pregiudizi e i torti del passato, sulla rinuncia alle doppiezze e agli interessi di parte; una pace duratura, animata dal coraggio di superare le barriere, di debellare le povertà e le ingiustizie, di denunciare e arrestare la proliferazione di armi e i guadagni iniqui fatti sulla pelle degli altri.

La voce di troppo sangue grida a Dio dal suolo della terra, nostra casa comune. Ora siamo interpellati a dare una risposta non più rimandabile, a costruire insieme un futuro di pace: non è tempo di soluzioni violente e brusche, ma l’ora urgente di intraprendere processi pazienti di riconciliazione”.

Riferendosi al tipo di costruire le vetrate della moschea, il papa ha rimarcato il compito delle religioni nella costruzione della pace: “Nella notte dei conflitti, che stiamo attraversando, le religioni siano albe di pace, semi di rinascita tra devastazioni di morte, echi di dialogo che risuonano instancabilmente, vie di incontro e di riconciliazione per arrivare anche là, dove i tentativi delle mediazioni ufficiali sembrano non sortire effetti.

Specialmente in questa amata regione caucasica, che ho tanto desiderato visitare e nella quale sono giunto come pellegrino di pace, le religioni siano veicoli attivi per il superamento delle tragedie del passato e delle tensioni di oggi”. Con questa nuova visione delle religioni fautrici di pace e non di guerre, si è concluso il viaggio del papa nel Caucaso, iniziato nel giugno scorso.

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