Doninelli: l’incontro con Dio salva la libertà della persona

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Come sempre, dopo qualche giorno dall’inizio della kermesse riminese è spiegato il titolo: ‘Tu sei un bene per me’; quest’anno la scelta è ricaduta sullo scrittore Luca Doninelli.

Ed erano alcuni anni che la relazione ‘principe’ del Meeting ricadeva sugli ‘esterni’. Questa scelta è stata spiegata dal presidente Guarnieri: “Imbattendoci nelle pagine del suo romanzo Le cose semplici abbiamo trovato una consonanza. Descrive uno società allo sfacelo, dove i desideri vengono meno. Ma c’è Chantal con il coraggio di credere che il desiderio di ognuno possa cambiare la storia. E’ il coraggio di papa Francesco che definisce coraggioso il titolo del Meeting, di chi non si chiude nei propri interessi ed è capace di testimoniare il dialogo”.

E Doninelli ha ringraziato di questo ‘privilegio’: “Non avrei mai parlato di Chantal se non avessi incontrato questo nella realtà: è bene parlare di ciò che si conosce”. Ed ai numerosi ascoltatori assiepati nell’auditorium ed in altre sale allestite all’ultimo minuto lo scrittore ha proposto l’immagine di Maria che accoglie sul grembo il corpo del Figlio morto:

“Cosa poteva significare per Maria, in quell’istante, tu sei un bene per me? Questo è l’abisso che si apre per chi voglia affrontare questo tema senza retorica: un abisso in cui è facile cadere se una grazia inimmaginabile, impossibile, non fosse accaduta, se io stesso non avessi fatto e non facessi l’esperienza di qualcuno che mi dice qui e adesso: tu sei un bene per me”.

Anche per lui il dato culturalmente più impressionante è l’incapacità dell’Europa e dell’Occidente in generale di far fronte con un giudizio lucido alle tragedie che la stanno attraversando: “Anche tra noi dobbiamo aiutarci a scoprire uno sguardo sull’uomo… L’uomo inteso come singola persona conta sempre meno”.

L’unico incontro che salva la persona è l’incontro personale con Dio nella libertà: “L’altro è un regalo che non ho scelto io, la realtà obbedisce a un progetto non fatto da me. Come il marciapiede che non obbedisce alla sedia a rotelle che devo spingere, devo accogliere io per primo il suo dislivello. Ma questa accoglienza dell’altro che ci mobilita controvoglia ci riempie invece di stupore quando qualcuno ci accoglie così, abbracciandoci come siamo. Tu sei un bene per me è la traduzione di un abbraccio”.

Tutto ciò è tradotto nell’esperienza di assistenza ad un amico in un hospice: “Insieme ad altri gli abbiamo fatto compagnia durante la sua permanenza all’hospice dove è morto. Le parole che dicevamo, che leggevamo, apparivano in tutta la loro verità ma non potevano rispondere al grido di quegli occhi perché la verità esige sempre un salto e lui si trovava davanti al salto più grande che ci sia e toccava a lui.

La risposta era nell’incontro con qualcuno che non eravamo noi. Io non sono la risposta alle tue domande, tu non lo sei alle mie. Non posso esercitare un potere su di te, né tu su me”. Lo scrittore ha concluso l’intervento chiedendo ai presenti una risposta culturale capace di cambiare il nostro modo di vivere:

“Un uomo vale per il fatto di essere uomo. Abbiamo impiegato millenni per costruire una forma di vita buona e buona per tutti. Potranno portarcela via ma perché questo accada dovremo averla ancora con noi non averla già buttata via”. Ed il titolo del tema sta mostrando sempre più che le opere di misericordia diventano un dono per chi apre le porte all’altro, come ha spiegato mons. Giancarlo Perego, direttore di Migrantes (Cei), parlando di accoglienza diffusa:

“Moltissimi sfollati della prima guerra mondiale sono stati accolti in tutta Italia da altre famiglie. Questa idea fa parte del nostro background storico. Crediamo si possa valorizzare la società civile e non istituzionalizzarla. La nostra è una storia di de-istituzionalizzazione abbiamo visto che un’istituzionalizzazione porta a un grande spreco e, come per Roma capitale, a corruzione”.

Per il direttore di Migrantes il ‘nuovo’ ha messo sempre paura, ma è normale: “La paura è un sentimento normale di fronte al nuovo, ma essa può diventare lacerante e portatrice di chiusura tutte le volte che non si accetta il fatto che l’altro è un bene. In questo senso ci troviamo di fronte ad una sfida educativa. Occorre educare le persone all’incontro”.

A testimonianza di quanto affermato ha mostrato un’indagine sull’accoglienza, su 10 famiglie che non avevano avuto esperienze di accoglienza, 8 dichiaravano di aver paura di questa onda migratoria. La stessa domanda posta a famiglie che invece l’avevano accolto anche sporadicamente altre persone in famiglia porta un dato completamente rovesciato: 1 su 10 dichiara di aver paura.

Il direttore di Migrantes ha offerto una lettura di questi dati più profonda rispetto a tante interpretazioni che ci giungono dai media: “E’ importante conoscere: su 128 nazionalità straniere presenti in Italia, solo 60 sono presenti in carcere; non viene mai detto che un immigrato che lavora non commette reati, e anche il dato del 30% di stranieri nelle carceri Italiane è un dato che va letto attraverso la lente delle pene alternative alla detenzione delle quali normalmente gli stranieri non possono godere…

Questa crisi migratoria ha mostrato il volto debole dell’Europa sociale. L’Europa ha un sistema comune di asilo ma si tratta di un accordo statico che occorre trasformare affinché i paesi più esposti alle onde migratorie non facciano effetto-tappo, in modo che queste persone vengano distribuite in tutto il continente europeo. Purtroppo non c’è ancora una giusta distribuzione e un impegno collettivo”.

L’apertura incondizionata al bene è arrivata dalla testimonianza di padre Federico Trinchero, missionario carmelitano a Bangui: “E’ da sette anni che vivo in Centrafrica. Vi saluto e vi ringrazio dell’invito anche a nome dei profughi che da ormai tre anni vivono nel nostro convento.

Avvertendo che era per un viaggio fuori dell’ordinario la mia partenza da Bangui per Rimini, un profugo mi ha voluto lucidare i sandali perché potessi presentarmi da voi in ordine. Nella sua semplicità mi è sembrato un gesto molto bello… Il Centrafrica è uno dei paesi più poveri della terra, nonostante possieda diverse ricchezze naturali.

Negli ultimi tre anni ha conosciuto anche il dramma della guerra tra una coalizione di ribelli, a maggioranza musulmana, provenienti da Nord e le truppe governative. Il 5 dicembre 2013 un gruppo di profughi incomincia ad arrivare in convento. All’inizio erano circa 600 persone, il giorno dopo 2000. Oggi ospitiamo 3000 profughi, ma a un certo punto abbiamo superato la cifra dei 10.000”.

Ed ha raccontato del cambiamento avvenuto nella popolazione, dopoché papa Francesco ha visitato Bangui, aprendo la Porta Santa del Giubileo della misericordia nella sua Cattedrale: “Il papa ha ripetuto tre volte questa affermazione: la capitale spirituale del mondo. Per noi, abituati come a vivere un complesso di inferiorità, è stato un positivo capovolgimento. Come dice il Vangelo di oggi: gli ultimi saranno i primi… Dopo la venuta del Papa la situazione è cambiata si spara molto di meno, è cambiato il clima, si registra un’apertura”.

Insomma occorre alzare lo sguardo, perché non ci sono numeri ma volti, storie e persone.

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