Il Papa invita il sacerdote a vivere l’Amore

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Papa Francesco ha aperto la 69^ assemblea dei vescovi italiani (tra cui 38 ‘volti’ nuovi) sul tema del rinnovamento del clero, tracciando un identikit del sacerdote, che non si deve scandalizzare per le fragilità umane, perché è un uomo sempre disponibile con le persone, mettendolo sotto la luce dello Spirito Santo, ed al contempo chiedendo una triplice appartenenza al Signore, alla Chiesa, al Regno:

“La Pentecoste appena celebrata mette questo vostro traguardo nella giusta luce. Lo Spirito Santo rimane, infatti, il protagonista della storia della Chiesa: è lo Spirito che abita in pienezza nella persona di Gesù e ci introduce nel mistero del Dio vivente; è lo Spirito che ha animato la risposta generosa della Vergine Madre e dei Santi; è lo Spirito che opera nei credenti e negli uomini di pace, e suscita la generosa disponibilità e la gioia evangelizzatrice di tanti sacerdoti. Senza lo Spirito Santo, lo sappiamo, non esiste possibilità di vita buona, né di riforma”.

Papa Francesco non ha voluto analizzare la figura del sacerdote, ma è partito da una domanda: cosa dà sapore alla vita del presbitero? Ed ha invitato a mettersi in contemplazione: “Noi, che spesso ci ritroviamo a deplorare questo tempo con tono amaro e accusatorio, dobbiamo avvertirne anche la durezza: nel nostro ministero, quante persone incontriamo che sono nell’affanno per la mancanza di riferimenti a cui guardare! Quante relazioni ferite! In un mondo in cui ciascuno si pensa come la misura di tutto, non c’è più posto per il fratello.

Su questo sfondo, la vita del nostro presbitero diventa eloquente, perché diversa, alternativa. Come Mosè, egli è uno che si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e potere. Ha fatto un rogo anche della tentazione di interpretarsi come un ‘devoto’, che si rifugia in un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco”.

Quindi il papa non ha fatto né un discorso politico e nemmeno sociologico, ma profetico: “Con l’olio della speranza e della consolazione, si fa prossimo di ognuno, attento a condividerne l’abbandono e la sofferenza. Avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro. Così, il nostro sacerdote non è un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione; non è consacrato a un ruolo impiegatizio, né è mosso dai criteri dell’efficienza”.

Quindi il sacerdote deve avere uno stile di vita, che lo avvicina alla gente, all’ultimo: “Sa che l’Amore è tutto. Non cerca assicurazioni terrene o titoli onorifici, che portano a confidare nell’uomo; nel ministero per sé non domanda nulla che vada oltre il reale bisogno, né è preoccupato di legare a sé le persone che gli sono affidate. Il suo stile di vita semplice ed essenziale, sempre disponibile, lo presenta credibile agli occhi della gente e lo avvicina agli umili, in una carità pastorale che fa liberi e solidali.

Servo della vita, cammina con il cuore e il passo dei poveri; è reso ricco dalla loro frequentazione. E’ un uomo di pace e di riconciliazione, un segno e uno strumento della tenerezza di Dio, attento a diffondere il bene con la stessa passione con cui altri curano i loro interessi”. Richiamando un invito a prendere il largo di dom Helder Camara, papa Francesco richiama il sacerdote a mantenere solo ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio:

“Colui che vive per il Vangelo, entra così in una condivisione virtuosa: il pastore è convertito e confermato dalla fede semplice del popolo santo di Dio, con il quale opera e nel cui cuore vive. Questa appartenenza è il sale della vita del presbitero; fa sì che il suo tratto distintivo sia la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione di ciascuno.

In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro primo compito è quello di costruire comunità; l’attitudine alla relazione è, quindi, un criterio decisivo di discernimento vocazionale”. Ha invitato a camminare insieme, perché dalla comunione fraterna “si spande un profumo di profezia che stupisce e affascina. La comunione è davvero uno dei nomi della Misericordia”, perché il sacerdote “è uomo della Pasqua, dallo sguardo rivolto al Regno, verso cui sente che la storia umana cammina, nonostante i ritardi, le oscurità e le contraddizioni.

Il Regno, la visione che dell’uomo ha Gesù, è la sua gioia, l’orizzonte che gli permette di relativizzare il resto, di stemperare preoccupazioni e ansietà, di restare libero dalle illusioni e dal pessimismo; di custodire nel cuore la pace e di diffonderla con i suoi gesti, le sue parole, i suoi atteggiamenti”.

E non a caso ha citato il vescovo di Recife, il cui brano completo è molto significativo, non solo per il sacerdote, ma per ogni cattolico: “Quando il tuo battello ancorato da molto tempo nel porto ti lascerà l’impressione ingannatrice di essere una casa, quando il tuo battello comincerà a mettere radici nell’immobilità del molo, prendi il largo. E’ necessario salvare a qualunque prezzo l’anima viaggiatrice del tuo battello e la tua anima di pellegrino.

E parti… Partire è anzitutto partire da sé. Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro ‘io’. Partire è non lasciarci chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui apparteniamo. Qualunque sia l’importanza di questo nostro mondo, l’umanità è più grande ed è solo essa che dobbiamo servire.

Partire: non divorare chilometri, attraversare mari, volare a velocità supersoniche. Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro. Partire è aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre. Significa mettersi in marcia e aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia per costruire un mondo più giusto e più umano”.

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