La ‘Chiesa in uscita’ e il ruolo dei laici

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E’ uscito da qualche mese l’ultima fatica editoriale del prof. Francesco Giacchetta, professore di filosofia al liceo scientifico ‘G. Galilei’ di Macerata, nonché professore di Filosofia Teoretica e di Teologia Fondamentale all’Istituto Teologico Marchigiano, aggregato alla Pontificia Università Lateranense, laico e padre di famiglia. Il titolo dell’opera, edito presso la Cittadella Editrice, è alquanto significativo: ‘Tra gli altri. Chiesa in uscita. Appunti teologici di un fedele laico’.

Al prof. Giacchetta abbiamo posto alcune domande sui temi più importanti della sua opera: che cosa significa “Chiesa in uscita”, espressione tanto cara a Papa Francesco?
“Sì, è un’espressione cara al papa, ma anche riuscita, ha forato il muro di saturazione verbale che ci circonda ed è diventata patrimonio comune. Il significato che però viene dato non è sempre identico. Per molti esso coincide con il rinnovo dello slancio missionario; io credo che sia questo ma anche qualcosa di più preciso.

La Chiesa deve uscire e reimparare a stare ‘con gli altri’ senza rivendicare privilegi; sentirsi ‘per altri’ dà adito ad un certo autocompiacimento e, in caso di rifiuto, al rancore; bisogna prima saper stare ‘tra gli altri’ ed attendere che siano essi a riconoscerci un dono per loro. Reclamare prima questa identità è un cortocircuito.

Papa Francesco è una grazia per la Chiesa, ma il rischio di avvolgerlo nel superpallio mediatico e di lasciare solo a lui il compito della riforma della Chiesa è reale. La Chiesa in uscita è la Chiesa che assume ad ogni livello, in ogni luogo ed in ogni battezzato il compito di riformarsi”.

Quale rapporto tra legge naturale, democrazia ed evangelizzazione nell’attuale contesto multiculturale?
“La legge naturale è stata ribadita molte volte nei documenti magisteriali, ma un approfondimento biblico in tal senso non è ancora stato compiuto. Forse si teme il risultato conseguente.

Ad ogni modo, credo che se in passato si è tentato di evangelizzare le persone dopo aver evangelizzato le strutture del potere, oggi, dopo lo sviluppo dello stato laico e la crescente molteplicità culturale, insistere sulla stessa strategia è infruttuoso e, forse, pericoloso poiché crea l’illusione di una evangelizzazione in profondità.

Non per nulla alle origini del cristianesimo si è operato in modo opposto: l’evangelizzazione delle persone ha condotto al mutamento delle strutture. Recuperare un annuncio fatto ‘da persona a persona’ comporta affidare alla testimonianza quotidiana dei fedeli la diffusione del Vangelo piuttosto che alla coercizione delle leggi”.

Anche oggi il Concilio Vaticano II può essere d’aiuto nel dare avvio alla ‘nuova evangelizzazione’. Secondo lei in che modo?
“In molti modi. Ma il primo ed il più importante, in linea con l’allocuzione di papa Giovanni XXIII Gaudet mater ecclesia, direi che è quella di fuggire dalla polarità che la Chiesa se non è maggioritaria è perseguitata e viceversa. La Chiesa non è di fronte al mondo moderno e neppure al fianco, come se compisse un cammino parallelo, ma è nel mondo il quale le dà senso.

La Chiesa senza il mondo non potrebbe essere missionaria e la missionarietà le è essenziale. Il Vaticano II non è semplicemente il XXI concilio ecumenico, ma il concilio che è stato dato a tutti noi per vivere questo tempo”.

Lei, nel suo libro, dedica una parte alla corresponsabilità dei laici nell’evangelizzazione. In che cosa consiste questa corresponsabilità?
“La corresponsabilità del fedele laico è un sentire con tutta la Chiesa, è il radicarsi del ‘noi ecclesiale’ nell’identità del singolo battezzato. Purtroppo, questo cammino di educazione del fedele laico si è interrotto o, almeno, rallentato e i movimenti, benché abbiano svolto un ruolo importante, non sono sempre stati all’altezza.

Oggi, più che scavare sulle responsabilità bisognerà aprire concrete vie di formazione dei laici e di investimento, anche economico, su di loro. Senza neppure lesinare sul discernimento. Certo non mancheranno scivoloni, ma non è meglio una chiesa ‘incidentata’ che una chiesa condannata a ripetersi per inerzia? E non è la sinodalità l’indicazione concreta proveniente dal Convegno di Firenze?”

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