La misericordia del presepe

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“Il presepe ci ricorda questo: Dio, per la sua grande misericordia, è disceso verso di noi per rimanere stabilmente con noi. Il presepe ci dice inoltre che Egli non si impone mai con la forza. Ricordate bene questo, voi bambini e ragazzi: il Signore non si impone mai con la forza. Per salvarci, non ha cambiato la storia compiendo un miracolo grandioso.

E’ invece venuto con tutta semplicità, umiltà, mitezza. Dio non ama le imponenti rivoluzioni dei potenti della storia, e non utilizza la bacchetta magica per cambiare le situazioni. Si fa invece piccolo, si fa bambino, per attirarci con amore, per toccare i nostri cuori con la sua bontà umile; per scuotere, con la sua povertà, quanti si affannano ad accumulare i falsi tesori di questo mondo…

Vi invito allora a sostare davanti al presepe, perché lì la tenerezza di Dio ci parla. Lì si contempla la misericordia divina, che si è fatta carne umana e può intenerire i nostri sguardi”: così si è espresso papa Francesco nel ricevere chi ha donato il presepe e l’albero di Natale allestiti in piazza san Pietro.

Nel presepe si può contemplare la tenerezza di Dio che ha cura dell’uomo, come scriveva nel 2006 il card. Carlo Maria Martini alle comunità cattoliche della Terra Santa, ‘comunità che hanno molto sofferto, soffrono molto e vivono in mezzo a popoli gravati da grandi sofferenze’:

“Allora il canto di Betlemme che risuona in questi giorni (Pace in terra agli uomini che Dio ama) assume tutta la sua pregnanza e produce fin da ora quei frutti che esso è destinato a portare in pienezza nella vita eterna.

Che questo Natale segni un termine e un sollievo per tante sofferenze e dia a tante famiglie quel supplemento di speranza che aiuti a perseverare nel compito arduo e difficile di vivere la pace in un mondo ancora tanto lacerato e diviso”.

Oppure come scrive don Fortunato Di Noto: “Il Presepe, umile segno di una grande realtà, di Dio inerme e piccolo che si rende presente nella fragilità della Famiglia di Nazareth, che spiazza i benpensanti e i religiosi utopisti che strumentalizzano a loro piacimento quel ‘ciò che rimanda e richiama’: il cristianesimo senza questo evento non è nulla. Senza quella presenza ‘visibile’ e ‘tangibile’ è sterile e oscura notte di un oblio che è già di per sé senza Amore”.

Infatti davanti a Dio che si fa uomo il presepe suggerisce il modo con cui la Misericordia viene incontro alle miserie umane. E la letteratura lo descrive in modo eloquente. In questo senso il capolavoro di Eduardo De Filippo, ‘Natale a casa Cupiello’, è la magistrale prova di questa misericordiosa azione di Dio nel mondo, come avviene nel serrato, ma ormai sereno, dialogo conclusivo, quando l’uomo diventa docile davanti alla tenerezza di Dio, tra Luca e Tommasino.

Luca: ‘Tommasì, Tommasì’. Tommasino (sprofondato nel suo dolore si avvicina al padre morente, mormorando appena): ‘Sto qua’. Luca (mostra al figlio il braccio inerte; lo solleva con l’altra mano e lo fa cadere pesantemente come per dimostrare l’invalidità dell’arto. Poi chiede supplichevole): ‘Tummasì, te piace ‘o Presebbio?’ Tommasino (superando il nodo di pianto che gli stringe la gola): ‘Si’. Luca: ‘Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!’

Basterebbero queste poche battute per condensare il valore culturale (cioè all’origine dell’uomo) del presepio; grandi letterati si sono lasciati interrogare dal presepe; annullare il presepe significherebbe rinunciare alla letteratura ed all’arte che hanno contribuito alla costruzione di un popolo.

Alessandro Manzoni nel componimento ‘Natale’ scriveva: “Tal si giaceva il misero figliol del fallo primo, dal dì che un’ineffabile ira promessa all’imo d’ogni malor gravollo, donde il superbo collo più non potea levar”.

In ‘Gente d’Aspromonte’ Corrado Alvaro così raccontava Natale: “Natale è la festa più bella di tutte perché con la nascita del Signore l’innocenza tornò sul mondo. Da allora, questa è la festa della speranza e della pace sembra fatto per la gioia dei ragazzi che sono la speranza del mondo. Nei paesi s’è lavorato tutta una settimana per il Presepe”.

Ci sono tanti altri autori che hanno descritto la gioia del Natale: sarebbe troppo lungo continuare, perchè la letteratura italiana esprime una ricchezza infinita. Però a conclusione mi sento in obbligo (culturale) di ricorrere ancora ad un brano della tradizione napoletana, ‘Quanno nascette Ninno’, composta da sant’Alfonso Maria de Liguori (interpretato anche da Mina e Bennato) nel 1754, massima espressione della cultura popolare, piena di misericordia divina (tradotto in italiano, ma in napoletano è bellissimo):

“Anche io sono nero, anche io sono nero peccatore, ma non voglio essere rigido e ostinato. Io non voglio più peccare, voglio amare, voglio stare col Bambino bello come ci stanno il bue e l’asinello. Bambino mio tu sei, bambino mio tu sei sole d’amore. Fai luce e riscaldi anche i peccatori. Quando è tutto nero e brutto come la pece, allora più lo guardi e lo fai diventare bello e splendente”.

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