Papa Francesco invita all’ascolto degli ultimi

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Nell’incontro pomeridiano del viaggio apostolico in Kenya papa Francesco è stato accolto almeno da 10.000 religiosi, sacerdoti e seminaristi, nonostante la pioggia, ‘stipati’ sotto un grande tendone nel campo sportivo nel quale ha presieduto una preghiera comune.

Dopo la preghiera del Padre Nostro il papa è stato salutato da padre Felix J. Phiri Mafr, appartenente alla congregazione dei Padri Bianchi e presidente della Religious Superior’Conference of Kenya (RSCK) che ha ricordato l’impegno per la custodia del Creato, della tutela dei minori, alla luce del suo magistero di Papa Francesco; sono seguiti il saluto di benvenuto di monsignor Anthony Ireri Mukobo, vicario apostolico di Isiolo e presidente della commissione per il Clero e i Religiosi della Conferenza dei Vescovi Cattolici del Kenya e la testimonianza di suor Michael Marie Rottinghaus, presidente della Association of Sisterhoods of Kenya (AOSK) che ha ripercorso l’attività delle migliaia di suore, molte della quali hanno dato la vita fino al martirio.

Commosso dalle parole di accoglienza e testimonianza il papa ha abbandonato il discorso preparato ed ha iniziato la sua riflessione con una frase di san Paolo: “Ci siamo messi in fila e abbiamo iniziato il cammino ma il cammino lo ha iniziato lui per noi non siamo stati noi”. Poi ha ribadito in cosa consiste la sequela di Gesù: “Nella sequela di Gesù si entra per la porta e la porta è Cristo, non si deve e non serve entrare dalla finestra, se qualcuno entra dalla finestra abbracciatelo e ditegli che deve andare via, che serva Dio altrove, nessuno serve Dio se non entra dalla porta, dobbiamo avere una consapevolezza di avere persone scelte”.

Dio permette a ciascuno di capire a quale opera ministeriale è chiamato: “Chi segue Gesù non può avere interesse né per la ricchezza, né per il potere, né per diventare importanti. Gesù si segue fino all’ultimo passo, fino alla Croce, poi lui pensa a resuscitarvi! Noi dobbiamo seguirlo fino all’ultimo!” Ricordando il Concilio Vaticano II ha ribadito ancora una volta che la Chiesa non è una Ong, ma un ‘mistero’:

“E’ chiaro che Gesù quando ci sceglie non ci canonizza, continuiamo ad essere peccatori, tutti. C’è qualcuno qui che non si sente peccatore? Alzate la mano, tutti siamo peccatori, io per primo e quindi anche voi; quello che ci salva è l’amore per Gesù. Chi ha iniziato una buona opera la porterà a compimento”. Ha invitato a piangere per il dolore del mondo: “Un autore russo si chiedeva perché i bambini soffrono, io non ho una risposta per questo, soltanto guardo Gesù sulla croce, non so darmi altra risposta ed è l’unica a certe situazioni difficili della vita.

San Paolo diceva ai suoi discepoli: ricordatevi di Gesù Cristo crocifisso: quando un consacrato si dimentica di Cristo crocifisso poveretto! E’ caduto in un peccato molto brutto, che fa vomitare e disgusta Dio, il peccato della tiepidezza, non cadere nel peccato della tiepidezza”. Infine ha lasciato ai convenuti un messaggio chiaro, che è scaturito dal suo cuore:

“Non allontanatevi mai da Gesù, che significa non smettete mai di piangere e di pregare! Non stancatevi mai di pregare; se un consacrato mette da parte la preghiera l’anima si inaridisce come rami secchi. L’anima di un sacerdote che non prega è un’anima brutta! Tutti coloro che si sono lasciati scegliere da Gesù è perché devono servire il popolo di Dio, servire i più poveri, gli scartati, i più lontani dalla società e anche coloro che non hanno coscienza della superbia e del peccato che loro stessi vivono.

Lasciarsi scegliere da Gesù vuol dire farsi scegliere per servire non per essere servito… Io mi commuovo quando conosco chi dona la sua vita al servizio da anni. Servire Gesù è servire gli altri e non servirsi degli altri. Voglio davvero ringraziarvi, grazie per avere il coraggio di seguire Gesù, grazie per quando vi sentite peccatori, per le carezze date a chi ne ha bisogno, grazie per quando aiutate qualcuno a morire in pace e per dare speranza nella vita e vi chiedo, nel ringraziarvi, di non dimenticare di pregare per me, grazie tante!”.

Dopo i calorosi saluti del clero, a cui ha partecipato con entusiasmo, il papa si è recato all’Ufficio delle Nazioni Unite; lungo la strada il papa ha piantato, come gesto altamente simbolico di speranza, un albero nel parco del Centro delle Nazioni Unite: “Ho voluto accettare questa gesto simbolico e semplice, pieno di significato in molte culture.

Piantare un albero è, in primo luogo, un invito a continuare a lottare contro fenomeni come la deforestazione e la desertificazione. Ci ricorda l’importanza di tutelare e gestire in modo responsabile quei ‘polmoni del pianeta colmi di biodiversità (con) il bacino fluviale del Congo’, luoghi essenziali ‘per l’insieme del pianeta e per il futuro dell’umanità’”.

Riprendendo la sua enciclica sull’ecologia umana ha ribadito l’impegno per il bene comune: “Sarebbe triste e, oserei dire, perfino catastrofico che gli interessi privati prevalessero sul bene comune e arrivassero a manipolare le informazioni per proteggere i loro progetti. In questo contesto internazionale, nei quale si pone l’alternativa che non possiamo ignorare, se cioè migliorare o distruggere l’ambiente, ogni iniziativa intrapresa in tal senso, piccola o grande, individuale o collettiva, per prendersi cura del creato, indica la strada sicura per una ‘creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano’”.

Con uno sguardo alla prossima conferenza del clima a Parigi il papa riprende il discorso pronunciato nello scorso settembre all’Onu ed afferma che il clima è un bene comune: “Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci. Per questo spero che la COP21 porti a concludere un accordo globale e ‘trasformatore’, basato sui principi di solidarietà, giustizia, equità e partecipazione, e orienti al raggiungimento di tre obiettivi, complessi e al tempo stesso interdipendenti: la riduzione dell’impatto dei cambiamenti climatici, la lotta contro la povertà e il rispetto della dignità umana”.

Insomma il papa non fa sconti per nessuno, riprendendo il proprio discorso ai movimenti popolari del luglio scorso: “A tale scopo è necessario mettere l’economia e la politica al servizio dei popoli dove ‘l’essere umano, in armonia con la natura, struttura l’intero sistema di produzione e distribuzione affinché le capacità e le esigenze di ciascuno trovino espressione adeguata nella dimensione sociale’.

Non è un’utopia o una fantasia, al contrario è una prospettiva realistica che pone la persona e la sua dignità come punto di partenza e verso cui tutto deve tendere. Il cambio di rotta di cui abbiamo bisogno non è possibile realizzarlo senza un impegno sostanziale nell’istruzione e nella formazione. Nulla sarà possibile se le soluzioni politiche e tecniche non vengono accompagnate da un processo educativo che promuova nuovi stili di vita. Un nuovo stile culturale.

Ciò richiede una formazione destinata a far crescere nei bambini e nelle bambine, nelle donne e negli uomini, nei giovani e negli adulti, l’assunzione di una cultura della cura: cura di sé, cura degli altri, cura dell’ambiente, al posto della cultura del degrado e dello scarto: scarto di sé, dell’altro, dell’ambiente”.

Infine con uno sguardo alla Conferenza Habitat-III, in programma a Quito nel prossimo anno, ha ricordato l’enciclica ‘Populorum Progressio di papa Paolo VI affinchè si affronti lo sviluppo integrale attraverso una seria politica di cooperazione internazionale, scagliandosi contro un indiscriminato abuso delle ricchezze del sottosuolo, che crea povertà:

“Nel contesto delle relazioni economiche tra gli Stati e i popoli non si può omettere di parlare dei traffici illeciti che crescono in un contesto di povertà e che, a loro volta, alimentano la povertà e l’esclusione. Il commercio illegale di diamanti e pietre preziose, di metalli rari o di alto valore strategico, di legname e materiale biologico, e di prodotti di origine animale, come il caso del traffico di avorio e il conseguente sterminio di elefanti, alimenta l’instabilità politica, la criminalità organizzata e il terrorismo. Anche questa situazione è un grido degli uomini e della terra che dev’essere ascoltato da parte della comunità internazionale”.

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