La Chiesa non tace davanti ai massacri in Siria

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Nel ricevere i partecipanti all’Incontro promosso dal Pontificio Consiglio Cor Unum sulla crisi umanitaria siriana e irachena, papa Francesco ha affermato di non poter tacere: “Uno dei drammi umanitari più opprimenti degli ultimi decenni è rappresentato dalle terribili conseguenze che i conflitti in Siria e in Iraq hanno sulle popolazioni civili, nonché sul patrimonio culturale. Milioni di persone sono in un preoccupante stato di urgente necessità, costrette a lasciare le proprie terre di origine…

Tutti sono consapevoli che questa guerra pesa in maniera sempre più insopportabile sulle spalle della povera gente. Occorre trovare una soluzione, che non è mai quella violenta, perché la violenza crea solo nuove ferite, crea altra violenza”. Queste parole confermano il grido di dolore dell’arcivescovo siro-cattolico di Aleppo, monsignor Denys Antoine Chahda, raccolto al telefono da ‘Aiuto alla Chiesa che soffre:

“Ai miei fedeli non mi stanco mai di dire: ‘Rimanete. Abbiamo bisogno di voi!’. Perché se i cristiani lasciano la Siria per questo Paese non c’è più alcuna speranza… Dopo quattro anni e migliaia di vite spezzate l’Europa apre le sue porte ai siriani ma nessuno ci ha mai dato una ragione per restare in Siria… E’ davvero difficile resistere senz’acqua ed elettricità per 24 ore al giorno, mentre le bombe continuano a cadere sulla città e uccidono persone innocenti.

Sono ormai più di quattro anni che viviamo questo stesso calvario. La fine della guerra è l’unica salvezza in cui possiamo sperare… Stati Uniti e Unione europea devono agire in Siria, perché qui ci sono milioni di persone, fedeli di ogni religione, che hanno il diritto di vivere. Non sono abbastanza quattro anni di guerra? Per quanto ancora saremo costretti a soffrire?”.

Dall’inizio della crisi in Siria nel 2011, Aiuto alla Chiesa che Soffre ha donato oltre 8.000.000 di euro per progetti a sostegno della popolazione siriana. D’altra parte la la sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre, a cui è risultato che l’intensificazione della persecuzione e della discriminazione motivate dalla religione e la loro estensione in un maggior numero di aree geografiche sia diventata tra le principali cause di fuga dai territori di origine, ha rivolto un appello alle istituzioni italiane perché la concessione di asilo politico a chi fugge dalle persecuzioni religiose sia reso più celere

con “corsia preferenziale, più rapida e con maggiori garanzie, per il riconoscimento dello status di rifugiato; e quindi perché le Commissioni territoriali siano sollecitate ad un esame veloce e dall’esito positivo, una volta accertate la zona di provenienza e la confessione religiosa di appartenenza: non è necessaria una approfondita istruttoria perché un cristiano proveniente da Homs in Siria o da Mosul in Iraq ottenga lo status di rifugiato”.

Infatti, secondo quanto riferito dall’agenzia Habeshia, tra i tanti profughi che approdano sulle coste italiane, i siriani rappresentano il gruppo maggiormente numeroso. E tra loro è alto il numero di cristiani. La stessa agenzia ha rivelato come negli ultimi anni, la percentuale dei cristiani tra i naufraghi che giungono sulle nostre coste sarebbe aumentata di circa il 30%. In questi anni, molte famiglie siriane hanno trovato la morte in mare.

Intanto è stata anche lanciata dalla Fondazione ‘Novae Terrae’ una petizione per chiedere alle Nazioni Unite di mantenere le promesse, e mettere in atto una road map per salvare i cristiani perseguitati: “Migliaia di civili sono tuttora nelle mani dei terroristi dello Stato Islamico. Sono in atto massacri su base etnica e religiosa, anche a danno di chi interpreta gli insegnamenti islamici in modo radicale. Oltre 420.000 yazidi sono stati costretti a fuggire, e ora vivono accampati tra Kurdistan, Siria e Turchia. Migliaia di ragazze sono vendute come schiave. Per 18 dollari”.

Una persecuzione, quella dei cristiani, riconosciuta dal Parlamento Europeo, ma anche dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra. Ma l’Occidente finora non ha agito, perché, come ha affermato ad Asia News padre Samir Khalil Samir, gesuita islamologo di origini egiziane, non è stato ancora colpito nei propri ‘interessi’:

“Per l’Occidente resta valido il principio della difesa del proprio interesse, che in queste aree si traduce nella parola petrolio… In ogni caso non vi può essere una soluzione militare, perché dalle armi si hanno solo risposte provvisorie. E’ necessario un progetto di pace che, al momento, nessuno vuole perché vincono le mire espansioniste e gli interessi personali.

Un po’ come quanto sta avvenendo da tempo fra Israele e Palestina dove non si riesce a raggiungere un serio compromesso, una soluzione fra le parti. E questa soluzione si può trovare solo nel dialogo, non certo nel potere e nella forza che trovano la loro sponda nell’ideologia fondamentalista”.

Ed un appello delle suore trappiste siriane, pur ringraziando la mobilitazione dell’Occidente, sostiene che le sanzioni al regime è un sistema iniquo di democrazia perché colpisce il ‘popolo’: “Qualcuno ha finalmente deciso di prendere seriamente in mano la questione delle sanzioni. Mobilitatevi anche voi, appoggiateli, create altre petizioni. Fate qualcosa. E’ veramente ora di finirla con questa vergogna…

Si sa benissimo che queste misure non colpiscono affatto chi è al potere. Le sanzioni colpiscono la gente, ed in modo durissimo… Niente materie prime per lavorare, niente medicinali, anche per le malattie gravi. Tutto carissimo, i prezzi degli alimenti sono arrivati a dieci volte tanto… Senza lavoro, in un paese in guerra, dilaga la violenza, la delinquenza, il contrabbando, la corruzione, la speculazione, l’insicurezza. Questi, sono i frutti delle sanzioni”.

Intanto un sondaggio della Charities Aid Foundation rileva che in Gran Bretagna un abitante su tre ha effettuato una donazione alle organizzazioni che si occupano dei profughi e ben 1.800.000 abitanti, pari al 7% della popolazione generale, sarebbero disponibili a ospitarne uno in casa. Ed in Italia?

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