L’Europa ed i muri della Storia

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Dal 23 ottobre al 10 novembre 1956 l’esercito sovietico invase l’Ungheria per annientare l’insurrezione di chi aveva scelto di lottare per la libertà e la democrazia: 250.000 cittadini, il 3% della popolazione, lasciarono il Paese per trovare accoglienza e rifugio nell’Europa occidentale, Stati Uniti, Canada e Australia. Paradosso della sorte a quasi 60 anni dal tragico evento la storia si ripete, ma con una piccola variante:

la costruzione di un nuovo muro e di una nuova sanguinosa repressione in quella terra. Infatti è stato sottolineato che tra i Paesi UE più ostili alla ‘soluzione quote’ ci sono soprattutto gli Stati che hanno beneficiato dell’allargamento dei ‘confini’ della Comunità Europea negli anni 2004-2007, quando 12 Paesi, tra cui Ungheria, Slovacchia e Romania, sono entrati a far parte dell’Unione Europea, la quale tra il 2004 e il 2009 ha accolto ogni anno circa 250.000 cittadini provenienti da questi Stati, nonostante le molte ‘paure’ di invasione.

In un messaggio papa Francesco ha invitato gli ungheresi a dare una prova ‘di una carità piena di misericordia’: “Penso che la caratteristica più bella di un popolo è quella dei discepoli di Cristo, che vivono lo stile del buon Samaritano e che si fanno prossimi ai loro fratelli”.

Infatti, ora come allora, è la Chiesa a cercare di sconfiggere questa paura, come ha detto a Radio Vaticana mons. Csaba Tӧrӧk, coordinatore per la Conferenza Episcopale Ungherese dei programmi cattolici trasmessi dalla televisione pubblica: “La Caritas ungherese e il servizio dei volontari dei Cavalieri di Malta è presente al confine fin dalle prime settimane dell’ondata di profughi. Nei campi di Roszke e a Budapest prestano aiuto medici e infermieri.

Diversi parroci già si sono mostrati disponibili per compiere la volontà del Papa e garantire alloggio per i migranti. Il cardinale Erdő ha già segnalato al governo che ci sono immobili ecclesiastici che potrebbero essere destinati a questa emergenza… Non lo dobbiamo però nascondere il fatto che molte persone in Ungheria hanno paura. Qui si sono vissuti 150 anni di dominio turco, un periodo infelice per la storia del nostro Paese.

Ci sono molti che vogliono tornare all’epoca in cui l’Ungheria contrastava l’islam, considerato un pericolo. C’è da aggiungere che la crisi economica ha pesato e pesa molto sugli ungheresi e che questa situazione finisce per acuire le povertà… E’ chiaro che se non conosciamo qualcuno o qualcosa, ne abbiamo paura. La Chiesa qui ha il dovere di aiutare l’Ungheria che si sente senza punti fissi…

Deve farsi sentire un po’ di più. Il servizio caritativo è molto importante ma è una cosa ‘facile’. La cosa difficile è un cambiamento nella mentalità. Di questo abbiamo bisogno. Siamo quelli che vogliono restare a difesa di confini ben saldi. Dobbiamo ritrovare invece un certo senso di cattolicità, che è universalità, apertura verso l’intera umanità”.

Ed Amnesty International ha denunciato il trattamento subito dai migranti, tra cui molte famiglie fuggite dai conflitti in Siria, Afghanistan e Iraq. Gauri van Gulik, vicedirettrice per l’Europa di Amnesty International, ha dichiarato: “Per i rifugiati scappati dalle terribili situazioni delle zone di conflitto, essere accolti con tale dispiego intimidatorio di forza militare è scioccante… Il filo spinato e le leggi draconiane non sono una soluzione. Siamo di fronte a persone che cercano salvezza.

L’unica soluzione è che Ungheria e Unione europea inizino a rispettare i loro obblighi internazionali, mostrino solidarietà e assicurino ai richiedenti asilo un ordinato e regolare accesso al territorio e alla procedura d’asilo. E invece, l’Unione europea è paralizzata e l’Ungheria ha preso la direzione sbagliata”.

Anche Save the Children ha denunciato che tra luglio e agosto si è registrato in Serbia un incremento del 66% negli arrivi di minori non accompagnati, che si trovano in condizioni di salute sempre più difficili e precarie: tra gli oltre 130.000 profughi arrivati nel Paese dall’inizio dell’anno, ci sono infatti 25.000 bambini, dei quali oltre 5700 sono soli, circa uno su quattro, e sono i più vulnerabili e a rischio di tratta e sfruttamento, come ha denunciato Andrea Zeravcic, direttore di Save the Children nell’area Nord-Ovest dei Balcani:

“Centinaia di bambini arrivano qui ogni giorno esausti e molti di loro si sono ammalati per le difficili condizioni che hanno incontrato durante il viaggio. La chiusura della frontiera da parte dell’Ungheria ha spaventato ulteriormente le loro famiglie che non sanno dove andare e cosa ne sarà di loro… Sono fuggiti da sofferenze inimmaginabili e hanno rischiato la vita per arrivare qui. I leader europei hanno il dovere di aiutarli…

L’uso della forza contro persone vulnerabili, per impedire che possano cercare sicurezza, è vergognoso… E mostra l’assurdità della risposta dell’Europa all’attuale situazione dei rifugiati. L’Unione Europea deve creare alternative legali e fornire passaggi sicuri per tutte queste persone…”.

La maggior parte dei rifugiati giunti attualmente in Serbia arrivano dalla Siria, mentre il 15% proviene dall’Afghanistan, il 5% dall’Iraq, il 2% dal Pakistan e il 2% dalla Somalia.

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