La Concordia come forma di accoglienza, Agrigento 19-21 giugno 2015

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Concordia

La concordia è il distintivo caratteristico del vero discepolo di Cristo che vive nella beatitudine della pace. La concordia non elimina le differenze, non rende tutti uguali, anzi, le differenze, alimentate dalla concordia, costruiscono la civiltà dell’amore.

Il Signore Gesù, per i suoi discepoli, chiede ed esige l’unità dell’essere una cosa sola, indispensabile perché il mondo creda: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri (Gv 13,34-35). La concordia nell’unità è invocata da Gesù nella sublime preghiera che il Maestro innalza per quelli che credono in lui: Che tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me ed io in te che anch’essi siano in noi in modo che il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17,20-21).

Quest’unità è prospettata su due dimensioni: quella invisibile, che è comunione alla stessa unità trinitaria, e quella visibile, che è capacità di convincere il mondo che Gesù è l’inviato dal Padre e che il Padre ama gli uomini come ama il Figlio suo (cf Gv 17,21-23). La concordia nell’unità costituisce la fortissima testimonianza della divina missione di Cristo e della sua Chiesa. Infatti, il mondo non si è ancora convertito perché nella Chiesa la concordia non è stata pienamente raggiunta.

La prima comunità cristiana, nata dal cuore della Pentecoste, viveva con convinzione e con entusiasmo il comandamento nuovo, per questo era una comunità spirituale e pacifica, credibile e missionaria. Animata dalla forza dello Spirito, portava la salvezza di Gesù a tutti gli uomini. Il segno caratteristico del loro stile di vita era, appunto, la concordia nella comunione: La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola (At 4,32). Il sacramento della con-cordia era meraviglia allo sguardo e stimolo alla volontà per quanti volevano abbracciare la fede. In seguito, però, in quelle comunità si annidò il tarlo diabolico della dis-cordia, della frantumazione della carità. Ogni gesto di discordia, infatti, rimane lacerazione del Corpo di Cristo.

San Paolo, venuto a conoscenza che nella comunità cristiana di Corinto vi erano divisioni, invia la prima lettera nella quale, dopo averli esortati a essere tutti unanimi nel parlare… e in perfetta unione di pensiero e di sentire, scrive: Infatti, a vostro riguardo, fratelli, mi è stato segnalato… che tra voi vi sono discordie. Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: ”Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “Io invece di Cefa”, “E io di Cristo”. È forse diviso il Cristo? (1,10-13a). Le discordie nella comunità ecclesiale, per Paolo, costituivano un’autentica lacerazione del Cristo mistico.

Accoglienza

Fin dagli inizi della sua missione, Gesù proclama un anno di grazia. La parola “grazia” è da intendersi come “accoglienza” (Lc 4,19). L’evangelista Luca parla, infatti, di “accoglienza” della Parola (8,13), del Regno (18,17), dei discepoli (9,5.48; 10,8.10), dei peccatori da parte di Gesù. La mutua accoglienza ha un grande valore perché è accesso alla vita.

L’accoglienza amabile e sincera non ha nulla a che fare con la debolezza di carattere, con le sdolcinature ipocrite di falsa gentilezza, tanto meno con l’ilare imbecillità degli inetti. L’umiltà e la semplicità aprono il cuore all’accoglienza che si manifesta attraverso la mite amabilità dell’incontro con gli altri. La beatitudine della mitezza è dono squisito che lo Spirito elargisce a chi possiede libertà di coscienza, umiltà di cuore e povertà di spirito. Chi non pratica queste beatitudini sarà come quel ricco epulone che non ha né sguardo di cuore per vedere il “mendicante” né braccia spalancate capaci d’accogliere il fratello. Il suo sguardo è rinchiuso in se stesso perché ha il cuore impietrito, le mani giunte e inchiodate alle braccia ingessate.

Il mendicante è colui che non è accolto, altrimenti non sarebbe tale! Ricordiamo il povero Lazzaro che, coperto di piaghe e bramoso di sfamarsi, stava alla porta del ricco epulone rivestito di porpora e di lino finissimo (cf Lc 16,19-31): intento a banchettare lautamente ogni giorno, il ricco senza nome non si accorgeva di chi gli chiedeva accoglienza! La parabola di Gesù è drammatica storia quotidiana: la ricchezza abitualmente divide e isola, solo la concordia è capace di spalancare cuore e braccia per accogliere quei poveri che gridano aiuto.

Accogliere è aprirsi alla vita.

Accogliere è ricevere e donare.

Accogliere è accorgersi che l’altro è tuo fratello in umanità.

L’accoglienza è come il mare: unisce ciò che divide.

La mutua accoglienza è arricchente come l’incantevole bellezza: non è utile bisogno, ma estasi gratuita che infiamma l’anima e spalanca il cuore.

Un mosaico è bello soltanto se non manca nessuna pietruzza e se ogni singola tessera concorda con l’armonia dell’insieme. La storia di ogni comunità dovrebbe essere come un mosaico di preziose pietruzze coordinate l’una con l’altra, sino a comporre la sinfonica storia della vita personale e comunitaria. Accogliere chi bussa alle porte dell’Occidente e spesso perde la vita per raggiungerlo è come dare l’elemosina a chi tende la mano nel bisogno: è un aiuto soltanto immediato, che non risolve il problema alla radice. Queste persone hanno bisogno innanzitutto di ritrovare la loro dignità, di avere un lavoro, di poter esercitare in pieno i loro diritti. In una parola, abbiamo bisogno di una società nuova, più umana, giusta e solidale. La società sognata da Cristo e la cui costruzione egli ha affidato ai suoi discepoli in concorde collaborazione con tutte le persone di buona volontà.

Nella travagliata storia contemporanea, la concordia dovrebbe sempre essere forma d’accoglienza come sublime arte capace di costruire l’edificio delle comunità che convivono in reciproco e incantevole amore.

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