Orientalismo di Matisse

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Fino al 21 giugno si può vedere alle Scuderie del Quirinale la bella mostra “Matisse, arabesque”. Promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, da Roma Capitale, la mostra è organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in coproduzione con MondoMostre, il catalogo è a cura di Skira editore. La mostra propone, con grande ricchezza di quadri, arredi, oggetti e materiali critici, una profonda riflessione sull’opera di Henry Matisse (1869-1954) uno dei più famosi e celebrati pittori francesi, divenuto un simbolo dell’estro pittorico e della fantasia dell’arte del ‘900.

La mostra è curata da Ester Coen, con un comitato scientifico composto da John Elderfield, Remi Labrusse e Olivier Berggruen. In visione vi sono oltre cento opere di Matisse –  alcune per la prima volta in Italia – provenienti dai maggiori musei del mondo: Tate, MET, MoMa, Puškin, Ermitage, Pompidou, Orangerie, Philadelphia, Washington, oltre che da prestigiose collezioni private. L’esposizione delle Scuderie si fa apprezzare per la vasta apertura antropologica e culturale – indicata nel titolo dalla parola “arabesque” – che evidenzia la capacità dell’arte europea della prima metà del secolo scorso di svilupparsi oltre i confini della tradizione pittorica occidentale e di aprirsi a contaminazioni e scambi con le civiltà artistiche di tutti i continenti. Il cosmopolitismo dell’arte europea sarebbe entrato in stridente contrasto con il mondo di lacerazioni e conflitti tra popoli e culture che la storia del secondo ‘900 ci avrebbe proposto e che ancora, drammaticamente ci presenta.

“La révélation m’est venue d’Orient” scrisse Henri Matisse nel 1947 al critico Gaston Diehl, a seguto di una intensa frequentazione dell’Oriente e dell’Africa e di viaggi, incontri e visite a mostre ed esposizioni effettuati soprattutto negli anni 1906-1920. Henri Matisse non era destinato alla pittura, Figlio di un commerciante, abbandonò gli affari e dal 1893 frequentò l’atelier del pittore simbolista Gustave Moreau per iscriversi all’École des Beaux Arts nel 1895, dove insegnavano molti pittori Orientalisti. Quindi, piuttosto che essere attratto dal classicismo e dai contenuti ideologici e letterari della pittura occidentale, Matisse studiò la collezione islamica del Louvre e frequentò le mostre che, nel 1893-1894 e nel 1903, vennero dedicate all’arte islamica dal Musée des Arts Decoratifs di Parigi. All’Esposizione mondiale del 1900, scoprì i paesi musulmani nei padiglioni dedicati a Turchia, Persia, Marocco, Tunisia, Algeria ed Egitto. Matisse frequentò anche le gallerie dell’avanguardia artistica, come quella di Ambroise Vollard, e acquistò nel 1899 un disegno di Van Gogh, un busto in gesso di Rodin, un quadro di Gauguin e uno di Cézanne.

L’espansione colonialista della Francia in Africa e in Asia divenne per Matisse una occasione per la integrazione culturale piuttosto che per la interiorizzazione della subordinazione dei popoli. L’idea di un’arte fortemente colorata e programmaticamente decorativa – come era quella del Vicino oriente (arte islamica e bizantina), del Nord africa e del Giappone – si fuse con i contenuti religiosi e magici della scultura Centro-africana e dell’arte primitiva in generale, fornendogli un linguaggio pittorico che abbandonava l’eurocentrismo e diveniva celebrazione universale della vita e delle forme. Come per Cezanne, Van Gogh, Gauguin, Picasso, anche per Matisse lo spirito dell’avanguardia spinse la pittura a sperimentare stili e contenuti assolutamente nuovi rispetto alla tradizione accademica e museale europea.

Viaggiando in Algeria (1906) ne riportò ceramiche e tappeti da preghiera, in Italia (1907) visitò Firenze, Arezzo, Siena e Padova: gli affreschi di Giotto gli suggerirono il cromatismo e l’apertura esistenziale piuttosto che la celebrazione religiosa. L’“Esposizione di arte maomettana” di Monaco di Baviera nel 1910 – visitata anche da Kandinsky e da Le Corbusier – fu seguita da un viaggio a Mosca nell’autunno 1911 e, nel 1912, da un ritorno in Africa e in Marocco. Matisse abbandonava le destrutturazioni e le deformazioni formalistiche e concettuali dell’avanguardia: era interessato ai modelli di arte “barbarica” e “primitiva”, come pure cercava di uscire dalla pittura intimistica di tradizione ottocentesca alterandone i contenuti figurativi.

Nei suoi dipinti si trovano giustapposti e integrati – attraverso la grammatica dell’avanguardia  artistica – i simboli e gli schemi della pittura ottocentesca (il ritratto, ì’interno di una stanza, il paesaggio con figure) con ampie superfici decorate e policrome e disegni orientalistici: tendaggi, tappeti, arredi cessano di svolgere una funzione di sfondo rispetto agli altri soggetti del quadro per diventarne parte preponderante e ribaltare i paradigmi antropocentrici e logocentrici occidentali. Sono il Marocco, l’Oriente, l’Africa e la Russia caucasica che gli comunicano una essenza spirituale che va oltre la dimensione semplicemente decorativa e l’uso del colore nell’arredamento e nell’abbigliamento.

Negli Anni Quaranta Matisse – ormai anziano ma sempre teso a sperimentare nuove forme artistiche – realizzò i “Papiers découpées”, composizioni di carte ritagliate e colorate che si estendevano su grandi superfici e sostituivano con il ritaglio delle forbici il lavoro di matite e pennelli. Si trattava di una tecnica già sperimentata in importanti progetti decorativi per il teatro – nel 1920 aveva realizzato scene e costumi per “Le Chant du rossignol” di Igor Stravinsky messo in scena dal Balletto Russo di Sergej Diaghilev – e che si sarebbe esaltata in “Jazz”, pubblicato nel 1947, probabilmente il più bel libro d’artista del ‘900, in cui l’idea dell’improvvisazione ritmica e del flusso musicale si abbinava a squillanti notazioni di colori e di forme.

Nella foto: Henry Matisse, “Il paravento moresco” 1921.

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