I quaranta giorni di deserto

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Il tempo di Quaresima è solitamente definito “tempo forte”. Lo è certamente se si tiene conto delle “forti” proposte che vengono fatte ai credenti per configurarsi sempre più a Cristo. Insieme a “forte”, piace anche denominarlo “tempo della primavera quaresimale”, non solo per la coincidenza della Pasqua con la stagione primaverile, ma anche per l’autentica primavera dello spirito umano, che si sente rinascere quando avverte il fluire di una nuova linfa. È sempre Cristo, il Verbo di Dio, fattosi carne della nostra umana natura, che ci infonde la nuova linfa. Egli, infatti, ci nutre con la sua Parola e il suo Corpo immolato e ci disseta col suo Sangue versato, all’interno della Chiesa, suo Corpo e sua Sposa.

Il clima quaresimale non può assumere i toni della tristezza ma deve riflettere la luce della gioia pasquale. Nel I Prefazio di Quaresima, cantiamo: “Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché assidui nella preghiera e nella carità operosa, attingano ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova in Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore.” Anche la liturgia bizantina parla della santa e grande Quaresima come di un tempo di “radiosa tristezza”. Tutto è frutto squisito del dono del Padre in Cristo nell’amore dello Spirito Santo a noi comunicato. Il cammino di Gesù e del cristiano viene così a delinearsi come cammino inverso a quello di Adamo: l’umiliazione che porta all’esaltazione. La divina avventura del Messia atteso è un’esperienza di kenosis il cui protagonista è lo Spirito. Egli, infatti, unisce l’evento del Battesimo con l’episodio della lotta di Gesù contro il maligno nel deserto.

Ogni anno, la prima domenica di Quaresima ci fa contemplare il brano evangelico delle tentazioni di Gesù. Esse sono paradigmatiche delle tentazioni che ogni creatura umana conosce e sperimenta quotidianamente. Gesù non va nel deserto di sua spontanea volontà. Quello stesso Spirito che rese possibile l’incarnazione (Mt 1,20; Lc 1,35) e che scese su di lui per mostrare a tutti il compiacimento del Padre (Mc 1,11), ora lo conduce nel deserto come aveva condotto il popolo eletto (Dt 8,2). Egli, rivivendo in se stesso il “nuovo Esodo”, rifiuta un messianismo trionfalistico e accetta la strada del “Servo sofferente”, la glorificazione attraverso l’innalzamento sulla Croce, patibolo dello schiavo dal quale troneggia come Re.

L’evento delle tentazioni, diversamente da Matteo e Luca, Marco lo descrive con poche parole: lo Spirito lo sospinse nel deserto, e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano (1,12-13). Il verbo è lo stesso che l’evangelista usa per indicare la cacciata degli spiriti dagli indemoniati. La stessa potenza di Dio che discese su Gesù nel battesimo, ora lo spinge con forza nel deserto della sua quaresima. I “quaranta giorni” non sono da intendersi in senso strettamente cronologico, ma stanno a indicare un tempo di esperienza religiosa particolarmente intensa e significativa.

La parola “Satana” in aramaico indica “avversario”, “che accusa”, “che divide”. Satana è il “principe del male” e l’“antagonista di Dio”. La tentazione di Gesù è la stessa di ogni uomo che non ragiona secondo Dio ma secondo la mentalità degli uomini. Anche Pietro sarà chiamato “Satana” dal Maestro (cf Mc 8,33) quando non vorrà accettare la povertà della morte del Figlio dell’uomo. Il deserto è il luogo della lotta spirituale, della tentazione ma anche dell’intimo rapporto con Dio. Marco riferisce che, nel deserto, Gesù stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Con Gesù, infatti, ci sono le bestie selvatiche che stanno a indicare l’avvento del regno messianico già prefigurato nella profezia di Isaia (11,6-8). Questo simbolo sublime ci dice che Gesù, oltre a vincere la tentazione satanica, inaugura anche la pace messianica e la riconciliazione cosmica degli ultimi tempi. Quello stesso Spirito, il soffio creatore di Dio che era disceso su Gesù nel battesimo e ora lo dirige nel compimento della sua missione che inizia nel deserto, guiderà anche la Chiesa uscita dalla Pentecoste e inviata in tutto il mondo.

Gli evangelisti Matteo e Luca, invece, ci narrano le tre tentazioni costruendole parallelamente su quelle che il popolo ebraico subì nel deserto. In tal modo, ci fanno comprendere che, seguendo Gesù, i cristiani proseguono lo stesso itinerario per raggiungere la terra della promessa dopo essere stati liberati dalla schiavitù per vivere da libero popolo di Dio. I due evangelisti presentano le tentazioni in modo teologico volendo così premunire il cristiano contro le tentazioni dei falsi messianismi. Rivivendo la storia d’Israele, in particolare quella dell’Esodo e delle tentazioni nel deserto, Gesù, attingendo la forza dalle Scritture, vince satana ed esce vittorioso dalla prova: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (Dt 8,3).

Prima tentazione

Gesù ha fame e satana lo invita al miracolo del trasformare le pietre in pane. Il diavolo ha lo stesso volto del serpente tentatore della Genesi. È il manipolatore delle Scritture, l’ingannatore subdolo che seduce e solo il Figlio di Dio riesce a smascherarlo e a vincerlo. Satana lo istiga a seguire la via del messianismo glorioso, fondato sul prodigio materialistico e sul facile consenso della folla applaudente. Gesù risponde dimostrando che, nonostante le difficoltà, la fiducia in Dio dev’essere assoluta e totale. È la lezione che Dio dà al suo popolo pellegrino nel deserto, esortandolo a superare la tentazione del pane legata soltanto alla materialità delle cose.

Seconda tentazione

È quella collegata a Esodo 17. Il popolo sfida Dio preferendo la schiavitù inumana del faraone al cammino rischioso e drammatico della libertà. La risposta di Gesù è inequivocabile e decisa: egli è il Figlio obbediente al Padre (cf Dt 17-19). Gesù, oltre a rifiutare la via messianica di una salvezza fatta soltanto di benessere terrestre, rifiuta anche la via del messianismo miracolistico, spettacolare e da scoop religioso, col buttarsi dal pinnacolo del tempio per l’applauso pubblicitario: Non metterai alla prova il Signore tuo Dio (Dt 6,16). È vero che la fede è un “salto nel vuoto”, ma Gesù insegna che la vera fede è un tuffarsi sicuro nella fiducia in Dio.

Terza tentazione

L’ultima tentazione è collegata a Mosè quando nel deserto sale sul Sinai per l’incontro con Dio. Mentre tarda a scendere dal monte, il popolo si costruisce un vitello d’oro per adorarlo (cf. Es 32,1-10; Dt 6,13-15). In tal modo, i figli d’Israele si rendono schiavi della falsità allontanandosi da Dio e illudendo se stessi. Gesù si è incarnato per iniziare il regno di Dio in terra, ma satana vuole dominare sempre su tutti i regni della terra. Gesù lo caccia subito via affermando che solo Dio è l’unico Signore: Non avrai altri dèi di fronte a me, afferma la legge deuteronomica (Dt 5,7). Perciò: Temerai il Signore, Dio tuo, lo servirai e giurerai per il suo nome (Dt 6,13). L’unica e vera tentazione è sempre l’idolatria: Non seguirete altri dèi, divinità dei popoli che vi staranno attorno, perché il Signore, tuo Dio, che sta in mezzo a te, è un Dio geloso (Dt 6,14-15). Le tre tentazioni di Gesù sono tipico esempio di vittoria contro l’idolatria.

Prima di annunziare il Regno di Dio, Gesù prega e digiuna. Prima di entrare nella vita pubblica, va nel deserto. Prima d’immergersi nella folla, si chiude nella solitudine. Prima di andare in cerca degli uomini, va in cerca del volto del Padre che è il primo e assoluto dovere dell’uomo: cercare Dio, trovare Dio, aderire a Dio e abbandonarsi a Lui amandolo sopra ogni cosa. Gesù è tentato nel deserto della solitudine, fatta preghiera. Egli è cosciente di essere Figlio di Dio, ma proprio su questo punta il demonio: se sei Figlio di Dio non puoi avere fame, non puoi essere debole e povero, privo di un pezzo di pane; non puoi essere persona senza importanza e senza incidenza non avendo su chi comandare per essere servito, non puoi non fare spettacolo per far vedere agli altri chi realmente sei. Insomma, piuttosto che adorare Dio e rendergli culto, s’inseguono idoli, le “vane parvenze”. Bisogna, allora, farsi solidali con Gesù che, incarnandosi, si è fatto solidale con l’uomo anche nel rischio della libertà e, superando le tentazioni, ha insegnato a fare solo quelle scelte secondo il progetto di Dio.

In effetti, nelle tre tentazioni sataniche, Gesù non si è trovato di fronte alla scelta tra la gloria di Dio o il potere terreno. Satana lo istiga ad accumulare ricchezze o altro per metterle a servizio dell’annunzio evangelico. Lo spinge a raggiungere il potere con tutti i mezzi per poi servirsene a gloria di Dio. Gli suggerisce di fare spettacolo per attrarre gli altri verso Dio. In realtà, Gesù e satana si appellano alla stessa Scrittura, ma con prospettive opposte. Respingendo la tentazione, Gesù ci richiama ad adorare Dio e a Lui solo rivolgere il vero culto. Egli risponde come ogni uomo può e deve rispondere: che bisogna vivere del pane di Dio, che non è lecito tentare Dio, che bisogna servire solo Dio. Non è possibile credere al vangelo senza distruggere ogni forma d’idolatria.

C’è il rischio che anche il culto sia inquinato da strane forme d’idolatria mascherata da vacua solennità. Si cede all’idolatria satanica ogniqualvolta nella divina Liturgia si ascolta la parola di Dio e poi, con la vita, si cantano le modulazioni del mondo lontano da Dio. Il cuore dell’uomo, per palpitare d’amore, non può appoggiarsi sulle “vane parvenze”, ma soltanto sul Dio Uno e Trino, vivo e vero. Gesù, nostro unico Maestro e Signore, continua a ricordarci che ogni gesto idolatrico è falso culto che distrugge la Libertà, la Verità, la Profezia e la Carità. Non possiamo rivolgerci a Cristo con le stesse parole di satana: Se tu sei il Figlio di Dio, ma con la professione di fede di Pietro: Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo! Allora, saremo avvolti dall’amore del Padre che, nel Figlio, ci dirà: tu sei mio figlio, io ti ho amato di amore eterno

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