I vescovi della Calabria contro la ‘ndrangheta

Condividi su...

La ‘ndrangheta “non ha nulla di cristiano. È altro dal cristianesimo, dalla Chiesa. Non è solo un’organizzazione criminale che, come tante altre, vuole realizzare i propri illeciti affari con mezzi altrettanto illeciti e illegali, ma – attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi e di formule che scimmiottano il sacro – si pone come una vera e propria forma di religiosità capovolta, di sacralità atea, di negazione dell’unico vero Dio”. Lo scrivono i vescovi della Calabria nella Nota pastorale sulla ‘ndrangheta “Testimoniare la verità del Vangelo” presentata questa mattina a Reggio Calabria dal presidente della Cec monsignor Salvatore Nunnari. “L’appartenenza ad ogni forma di criminalità organizzata – sottolineano i presuli – non è titolo di vanto o di forza, ma titolo di disonore e di debolezza, oltre che di offesa esplicita alla religione cristiana. L’incompatibilità non è solo con la vita religiosa, ma con l’essere umano in generale. La ‘ndrangheta è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale”. Il documento richiama diverse prese di posizione dell’episcopato calabro e richiama il monito di papa Francesco durante la visita alla diocesi di Cassano allo Ionio: parole chiare” quelle di papa Bergoglio, che oltre “ad evidenziare la gravità di alcune situazioni, hanno ribadito con chiarezza la distinzione tra il Vangelo, la sua coerente attuazione personale e comunitaria, da una parte; e qualsiasi effettiva o presunta aggregazione mafiosa, dall’altra”.
“Configurando la mafia come apostasia, i suoi adepti, che non sono in comunione con la Chiesa, sono – si legge nelle nota – collocati automaticamente fuori dalla comunità cristiana e dalla retta professione di fede: costituiscono, quindi, una contro-testimonianza”. Da qui l’esortazione, riprendendo un documento del 2007, al popolo di Dio, che vive in Calabria, “a compiere ogni sforzo per rinunciare ad atteggiamenti che possono alimentare il fenomeno mafioso”. Per i vescovi calabri il mafioso, “se non dimostra autentico pentimento, né volontà di uscire da una situazione di peccato, non può essere assolto sacramentalmente nel rito della Confessione-Riconciliazione, né può accedere alla Comunione eucaristica; tantomeno può rivestire uffici e compiti all’interno della comunità ecclesiale. Nel cammino di conversione la Chiesa, però, non lo lascia solo, ma lo accompagna con pazienza e amore, come ci ha insegnato Gesù”.

“Accanto alla gramigna, silenziosamente cresce il campo del bene che si distingue, senza mezzi termini, per la sua luminosità e la sua coerenza. Un campo seminato dal lavoro capillare e feriale di pastori e di laici che, nella predicazione, nella catechesi, nell’impegno sociale, hanno dissodato e coltivano il terreno, perché cresca il buon grano”.
Per inquadrare bene la realtà della Chiesa e della ‘ndrangheta, è – secondo i vescovi calabresi – necessario “richiamare le rispettive nature e finalità: sono due realtà incommensurabilmente tra loro lontane; e su ciò si fonda l’abissale differenza tra una comunità, la nostra, fondata sull’amore di Dio e del prossimo, rispetto all’altra, costruita sulla minaccia e sulla paura, su una falsa fede e una distorta religiosità, su aggregazioni di odio e di sangue contro chi viene considerato nemico giurato e perciò da eliminare anche fisicamente”.

Il “deleterio” fenomeno della ‘ndrangheta ha “infestato la nostra vita sociale ed è penetrato anche in certi scenari religiosi di alcune comunità ecclesiali locali. Possiamo affermare che lo stravolgimento subito dalle devozioni e dalle pratiche di culto della Chiesa ha portato, a volte, alcune belle forme di pietà popolare a diventare autentiche manifestazioni di idolatria, mascherata di religiosità”. I vescovo sottolineando quindi che la Chiesa si è di “continuo pronunciata, schierandosi dalla parte degli ultimi” e conferma oggi di “non poter tacere o restare indifferente” sottolineando che Chiesa e istituzioni civili, ciascuno nel suo ambito e con la propria missione o finalità, devono “impegnarsi insieme per il riscatto di questa terra, nella comune battaglia atta a prevenire stili di vita illeciti, soprattutto a sradicare i tentacoli della mafia, che cerca di infestare ogni ambiente, ogni coscienza, ogni istituzione. I poteri dello Stato di legiferare e di intervenire, attraverso la magistratura e le forze dell’ordine, devono trovare un terreno dissodato: coscienze preparate, ricche di senso civico e morale, acquisito attraverso il cammino formativo delle nuove generazioni”.

La Chiesa calabra invita quindi chi fa parte di queste organizzazioni criminali di “convertirsi” intraprendendo un “un cammino di redenzione umana e di reinserimento sociale, ovvero di conversione, non come atto intimistico, ma come proiezione sul piano storico di un’avvenuta trasformazione esistenziale; tale cammino esige, comunque, la riparazione per il male inferto agli altri e al corpo sociale, nonché per le ingiustizie commesse a danno delle persone e della società. Nel caso specifico dello ‘ndranghetista, l’espiazione-riparazione non potrà certo ridare vita agli uccisi, o alle vittime dei reati e degli atteggiamenti mafiosi, ma potrà almeno contribuire alla ricostruzione personale e spirituale e, soprattutto, potrà, con una vita diversa, attaccare il male alla radice, per demolire le fondamenta stesse dell’organizzazione mafiosa”.

Attraverso questa nota “vogliamo infondere – si legge nel testo – coraggio e, soprattutto, rilanciare la fiducia nelle grandi capacità dei calabresi, credenti e persone di buona volontà, troppo spesso vanificate dalla indifferenza, dalle omissioni, dalla mancanza di impegno e dalla rassegnata indulgenza di molti. L’atavico fatalismo, che si ritrova in alcune nostre realtà, ha finito talvolta per travolgere ogni esperienza, facendo della sterile attesa la cifra essenziale dell’esistenza, il contrario cioè dell’autodeterminazione e della responsabilità, dell’impegno attivo e del rinnovamento”.

“Non ci siamo impegnati a scrivere questo documento contro qualcuno, ma per annunciare la Verità eterna del Vangelo di Gesù Cristo. 
E’ chiaro che questo annuncio diventa come una ‘spada affilata’ e trafigge chi si pone in una situazione opposta al Vangelo. Ed è qui che si radica il discorso sulla ’ndrangheta. Chi ne fa parte non solo tradisce il Vangelo, ma è come se vivesse calpestandolo ogni giorno”, ha detto mons. Salvatore Nunnari, presidente della Cec presentando la nota pastorale sulla ‘ndrangheta. “Noi Vescovi – ha aggiunto – facciamo riecheggiare l’eco di alcune parole indimenticabili, quali quelle di Papa Wojtyla ad Agrigento e quelle di papa Bergoglio a Sibari; ma ricordiamo anche tante prese di posizione lungo questi ultimi 70 anni dell’ episcopato calabrese” presentando, in questo documento, in maniera “davvero toccante qual è il volto reale della mafia e della ’ndrangheta, senza mezze parole, ma con una chiarezza estrema, che va alla radice di questo fenomeno aberrante, che è in tutta evidenza opera del Maligno.
Un fenomeno, che è insieme l’antistato, con le forme di dipendenza, che crea nei paesi e nelle città; e l’anti-religione, con i simbolismi e gli atteggiamenti utilizzati al fine di guadagnare consenso”. La conclusione, per mons. Nunnari, “non può essere che una: chi fa parte della mafia, anche se non ha ricevuto una scomunica scritta, si pone automaticamente fuori dalla comunione ecclesiale”. Mons. Nunnari ha quindi annunciato a breve la pubblicazione di un Direttorio, nel quale quanto in questo Documento “offriamo” come riflessione diventerà “legge”

Fonte: Calabria Ecclesia Magazine

Free Webcam Girls
151.11.48.50