L’esame di coscienza dal Papa per preti e laici

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Sarà un discorso che conquista le pagine dei giornali. Papa Francesco ha lasciato l’abitudine dei predecessori di ricordare il lavoro positivo della Chiesa nell’ anno appena trascorso, gli impegni della Curia e della Chiesa di Roma, ma anche la vita della Chiesa nel mondo. Nel discorso per gli auguri alla Curua romana Papa Francesco scegli lo stile della omelia. Non è il Papa che parla, ma il parroco. Papa Francesco sceglie un paragone, teologicamente ardito, tra la Curia e il Corpo di Cristo. E un corpo va curato. Il Papa si rifà ai Padri del Deserto, e scegli dei richiami di tono spirituale per i suoi collaboratori. Li “richiama” al sacramento della confessione, e li “bacchetta” come farebbe un maestro con degli scolari. Ecco allora i quindici punti dell’ “esame di coscienza”, utili non solo per i prelati di Curia e non, ma anche per i cattolici laici impegnati in ruoli di responsabilità.   1. La malattia del sentirsi “immortale”, “immune” o addirittura “indispensabile” trascurando i necessari e abituali controlli. Una Curia che non si autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cfr. Lc 12, 13-21) e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine e non vede l’immagine di Dio impressa sul volto degli altri, specialmente dei più deboli e bisognosi8. L’antidoto a questa epidemia è la grazia di sentirci peccatori e di dire con tutto il cuore: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10).

2. C’è un’altra: La malattia del “martalismo” (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù (cfr. Lc 10, 38-42). Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a “riposarsi un po’” (cfr. Mc 6, 31) perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione. Il tempo del riposo, per chi ha portato a termine la propria missione, è necessario, doveroso e va vissuto seriamente: nel trascorrere un po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che insegna il Qoèlet che “c’è un tempo per ogni cosa” (3, 1-15).

3. C’è anche la malattia dell’”impietrimento” mentale e spirituale: ossia di coloro che posseggono un cuore di pietra e un “duro collo” (At 7, 51-60); di coloro che, strada facendo, perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non “uomini di Dio” (cfr. Eb 3, 12). È pericoloso perdere la sensibilità umana necessaria per farci piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono! È la malattia di coloro che perdono “i sentimenti di Gesù” (cfr. Fil 2, 5-11) perché il loro cuore, con il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cfr. Mt 22, 34-40). Essere cristiano, infatti, significa: “avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, sentimenti di umiltà e di donazione, di distacco e di generosità”

4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo: Quando l’apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscono, diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è necessario ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo che rimane sempre più grande, più generosa di ogni umana pianificazione (cfr. Gv. 3,8). Si cade in questa malattia perché “è sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate. In realtà, la Chiesa si mostra fedele allo Spirito Santo nella misura in cui non ha la pretesa di regolarlo e di addomesticarlo… Addomesticare lo Spirito Santo… Egli è freschezza, fantasia, novità”.

5. La malattia del mal coordinamento: quando i membri perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce la sua armoniosa funzionalità e la sua temperanza diventando un’orchestra che produce chiasso perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra. Quando, il piede dice al braccio “non ho bisogno di te”, o la mano alla testa: “comando io”, causando così disagio e scandalo.

6. C’è anche la malattia dell’Alzheimer spirituale: ossia della dimenticanza della “storia della Salvezza”, della storia personale con il Signore, del “primo amore” (Ap 2, 4). Si tratta di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie. Lo vediamo in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore; in coloro che non fanno il senso deuteronomico della vita; in coloro che dipendono completamente dal loro “presente”, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé dei muri e delle abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani.

7. La malattia della rivalità e della vanagloria11: quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza diventano l’obiettivo primario della vita, dimenticando le parole di San Paolo: “non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri” (Fil 2, 1-4). È la malattia che ci porta a essere uomini e donne falsi e a vivere un falso «misticismo» e un falso «quietismo». Lo stesso San Paolo li definisce “nemici della Croce di Cristo” perché “si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra” (Fil 3, 19).

8. La malattia della schizofrenia esistenziale: è la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo, ove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e iniziano a vivere una vita nascosta e sovente dissoluta. La conversione è al quanto urgente e indispensabile per questa gravissima malattia (cfr. Lc 15,11-32).

9. La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi: di questa malattia ne ho già parlato tante volte ma mai abbastanza: è una malattia grave che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci ammonisce: “fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri” (Fil 2, 14-18). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!

10. La malattia di divinizzare i capi: è la malattia di coloro che corteggiano i Superiori, sperando di ottenere la loro benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cfr. Mt 23:8-12). Sono persone che vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare. Persone meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo (cfr. Gal 5,16-25). Questa malattia potrebbe colpire anche i Superiori quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità.

11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri: quando ognuno pensa solo a se stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli altri. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo.

12. La malattia della faccia funerea: ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza. In realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile12 sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia ovunque si trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore felice che irradia e contagia con la gioia tutti coloro che sono intorno a sé: lo si vede subito! Non perdiamo dunque quello spirito gioioso, pieno di humor, e persino autoironico, che ci rende persone amabili, anche nelle situazioni difficili. Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo! Ci farà molto bene recitare spesso la preghiera di San Thomas Moore: io la prego tutti i giorni, mi fa bene.

13. La malattia dell’accumulare: quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà, nulla di materiale potremo portare con noi perché “il sudario non ha tasche” e tutti i nostri tesori terreni – anche se sono regali – non potranno mai riempire quel vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo. A queste persone il Signore ripete: “Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo … Sii dunque zelante e convertiti” (Ap 3, 17-19). L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente! E penso a un aneddoto: un tempo, i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la “cavalleria leggera della Chiesa”. Ricordo il trasloco di un giovane gesuita che mentre caricava su di un camion i suoi tanti averi: bagagli, libri, oggetti e regali, si sentì dire, con un saggio sorriso, da un vecchio gesuita che lo stava ad osservare: questa sarebbe la “cavalleria leggera della Chiesa”?! I nostri traslochi sono un segno di questa malattia.

14. La malattia dei circoli chiusi: dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando “un cancro” che minaccia l’armonia del Corpo e causa tanto male – scandali – specialmente ai nostri fratelli più piccoli. L’autodistruzione o “il fuoco amico” dei commilitoni è il pericolo più subdolo. È il male che colpisce dal di dentroe come dice Cristo: “ogni regno diviso in se stesso va in rovina” (Lc 11,17).

15 E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi  quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri. Anche questa malattia fa molto male al corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza! E qui mi viene in mente il ricordo di un sacerdote che chiamava i giornalisti per raccontargli (e inventare) delle cose private proprie e riservate dei propri confratelli e parrocchiani. Per Lui contava solo vedersi sulle prime pagine, perché così si sentiva “potente e avvincente”, causando tanto male agli altri e alla Chiesa. Poverino!

La conclusione del Papa riporta all’impegno dello Spirito Santo, unica anima del Corpo di Cristo, e un invito alla confessione con l’aiuto di Maria.

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