Il Meic ricorda papa Paolo VI

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Da oggi 17 ottobre si svolge a Fiuggi la XII assemblea Nazionale del MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) che si concluderà domenica 19 ottobre a piazza San Pietro con la beatificazione di Paolo VI sul tema ‘La Chiesa ci incoraggia, il mondo ci aspetta’. Il movimento fu fondato nel 1932-1933 con il nome di Movimento laureati di Azione cattolica, ad opera di Igino Righetti (già presidente nazionale della FUCI) e con il decisivo impulso di Giovanni Battista Montini per salvaguardare e perfezionare la formazione ricevuta dai giovani universitari cattolici nelle file della FUCI.

Ad esso appartenevano i laureati cattolici, che si riunirono a Camaldoli per scrivere proposte per la ricostruzione dell’Italia note come il ‘Codice di Camaldoli’. Negli anni il Movimento è stato protagonista della storia ecclesiale e civile del Paese, un punto di riferimento fondamentale per il mondo culturale cattolico, ‘un’avanguardia missionaria per il mondo della cultura e delle professioni’, come disse san Giovanni Paolo II.

Al presidente nazionale del Meic, prof. Carlo Cirotto, ordinario di Citologia e Istologia all’Università di Perugia, che in questa Assemblea termina il suo secondo e ultimo mandato, abbiamo chiesto di raccontarci l’impegno del Meic nella comunità civile ed ecclesiale: “A differenza di ciò che avveniva in epoche storiche, ormai passate, oggi alla testimonianza di fede non viene più attribuito il carattere dell’autorevolezza. Nella nostra civiltà occidentale, in particolare, si richiede che la testimonianza sia accompagnata da una solida motivazione razionale. Una simile richiesta è tanto più cogente quanto più estranei al costume dei più appaiono i comportamenti dei cristiani.

E’ come se, facendo riferimento alla raccomandazione dell’apostolo Pietro, il ‘rendere ragione della speranza’ che è in noi sia diventato tanto importante quanto la testimonianza stessa. La fede, insomma, non può essere disgiunta dalla cultura. Il Meic, che fa della cultura il mezzo stesso di testimonianza della fede, sente in maniera particolarmente intensa questa esigenza. La dedizione all’approfondimento culturale caratterizza il Movimento sia nel suo servizio interno alla comunità ecclesiale che nel servizio alla comunità civile.

I gruppi Meic sono altrettante fucine in cui attivamente ci si documenta e si discute intorno alle più diverse questioni. Non si tratta però di un esercizio puramente retorico, portato avanti per il semplice gusto di dibattere e di approfondire, ma l’impegno culturale si accompagna all’impegno di migliorare con i fatti sia la società che la Chiesa”.

Quale ruolo ha la cultura nella realtà ecclesiastica?
“Per tradizione antichissima la cultura ha sempre occupato un posto di grande rilievo all’interno della vita ecclesiale. Non c’è bisogno di citare le grandi personalità del passato, i grandi ‘cervelli’ che hanno arricchito il patrimonio di pensiero dell’umanità, cresciuti e maturati all’interno della ‘sei prego Chiesa’. Questa antica tradizione permane anche oggi. Ne è testimonianza il messaggio che Paolo VI rivolse agli uomini di pensiero e di scienza alla fine del concilio Vaticano II.

Si potrà forse obiettare che dai tempi del concilio ad oggi è passata molta acqua sotto i ponti. In effetti, la crescita del dialogo tra fede e cultura così insistentemente auspicata da papa Montini, sembra aver subito un certo rallentamento in questi ultimi tempi. E’ impegno specifico del Meic portare la voce della cultura all’interno del mondo della fede e la voce della fede all’interno della cultura odierna”.

Quale contributo può offrire il Meic alla formazione dei giovani?
“Non è possibile parlare di impegno culturale senza fare uno specifico riferimento alla formazione delle giovani generazioni. E’ a loro, infatti che deve essere ceduto il testimone nella corsa della fede di paolina memoria e nella elaborazione culturale della stessa fede. Come si può ben immaginare, non si tratta di un’impresa semplice, soprattutto nella temperie culturale in cui ci troviamo a vivere, caratterizzata da una pluralità sconcertante di opzioni e da una propensione al particolare piuttosto che all’universale. Nonostante queste difficoltà il nostro Movimento promuove specificamente contatti con organizzazioni giovanili, partecipa alle loro iniziative e dibatte con loro i problemi più impellenti che l’attualità propone”.

Quale è stata la volontà di papa Paolo VI nel dare vita al Meic?
“Lo spunto iniziale fu quello di accogliere dopo la laurea i ragazzi provenienti dall’esperienza fucina: il Meic infatti nacque nel 1932 a Cagliari durante un congresso della FUCI, quando si decise all’unanimità di dar vita a una nuova associazione chiamata ‘Movimento Laureati di Azione Cattolica’. A promuovere l’iniziativa, accanto al presidente della FUCI di allora Igino Righetti c’era l’assistente don Giovanni Battista Montini.

Il Movimento mantenne il nome fin dopo il Concilio Vaticano II quando l’esigenza di rispondere positivamente al rinnovamento della vita ecclesiale portò a cambiare profondamente l’assetto associativo e di conseguenza anche il nome. Nel 1980 nacque così il Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic). Mentre la Fuci deve a mons. Montini la conservazione nel tempo della sua fisionomia originaria, che il regime tentava di deformare, il Meic gli è debitore della sua stessa fondazione e della definizione dei propri caratteri fondamentali”.

Cosa significa: il Meic una fede che pensa, una ragione che crede?
“Il significato dello slogan che il Meic si è scelto sta tutto nella definizione di ‘fede’. Essa è stata definita come ‘fiducia ragionevolmente concessa’. Fiducia cioè data non a occhi chiusi né guardando il buio ma da uomini che cercano di scrutare e comprendere tutto ciò che fa parte del loro orizzonte vitale.

L’esercizio della ragione infatti arricchisce, corrobora e rende comunicabile l’esperienza di fede, di per sé assolutamente personale. Fa parte del carisma del Meic sperimentare sempre nuove vie verso questa meta. Il suo è un vero e proprio servizio rivolto alla chiesa e alla società. E’ una vera e propria ‘carità culturale’, per usare la terminologia di Paolo VI. E’ una moderna ed impegnativa forma di volontariato”.

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