Come dissociarsi

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Un raggio di sole sfiora l’antica vetrata del Duomo:

s’avvivano fulgidi i colori

come fiori di prato a primavera,

come nubi striate di rosso a tramonto.

Nasce morta ogni cosa

che non ha radici di luce nel cuore.

Chi non conosce la luce

è come l’ipocrita:

tomba sigillata di ceneri mute.

 

La verità a volte è faticosa da sostenere, ma senza la verità facilmente si attesta la simulazione che conduce inesorabilmente all’ipocrisia: menzogna sottile, perversa e, talvolta, bene organizzata per apparire, per far vedere, per sembrare ciò che si vorrebbe essere, ma non si è. Da questi atteggiamenti saltano fuori le varie, strane, vergognose e violente manie comportamentali che difendono l’ambizione, il potere e gli sporchi interessi. Un acuto anonimo così descrive gli ipocriti: «La gente falsa non parla, insinua. Non conversa, spettegola. Non elogia, adula. Non desidera, brama. Non chiede, esige. Non sorride, mostra i denti. La gente falsa è povera di spirito, poiché nella vita non cammina, striscia, sabotando la felicità altrui. La gente falsa ignora la bellezza e la nobiltà d’animo perché è incapace d’amare, e così, finisce per non vivere, esiste appena». L’ipocrisia non è semplice menzogna ma inganno per acquistare la stima, anche attraverso gesti religiosi. L’ipocrisia religiosa, infatti, agisce apparentemente per Dio, mentre, in verità, opera per se stessa. L’ipocrita è un vile schiavo, vittima di se stesso.

Gesù, sull’esempio dei profeti e dei sapienti, con forza ineguagliata, mette a nudo le radici e le conseguenze dell’ipocrisia. Gli ipocriti non accordano i pensieri del cuore con le parole dalle labbra e con lo stile di vita. Gesù contro di loro scaglia parole dure, graffianti e, talvolta, offensive; li qualifica sepolcri imbiancati (cf Lc 11,37-54). Cedere all’ipocrisia significa ammettere una vita duplice e divisa. Gli ipocriti, a forza di ingannare il prossimo, in verità ingannano se stessi, perché sono incapaci di vedere la luce. Gesù, infatti, li qualifica ciechi perché prendono per verità ciò che vogliono far credere agli altri. La morte di Gesù fu il prezzo pagato alla libertà e al coraggio di smascherare l’atteggiamento ipocrita di quella falsa religiosità che è veleno insidioso per gli uomini di tutti i tempi.

Nel Vangelo di Matteo è descritta tutta una serie di invettive contro scribi e farisei: Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno (Mt 23,2-3). Dopo un’introduzione (v. 1), il discorso contiene una descrizione polemica dei dottori della legge e dei farisei (v. 2-7). Poi una breve istruzione ai discepoli (v. 8-12), seguita da sette maledizioni introdotte dalla frase: Guai a voi, scribi e farisei ipocriti (cf 23,13-21), che termina con invettive di una violenza terribile (v. 32-33) e con l’annunzio della persecuzione per i cristiani (v. 34-36). Il capitolo chiude con l’amaro lamento su Gerusalemme (v. 37-39) in cui il tono collerico si trasforma in tristezza e le invettive per l’amore tradito in amarezza di dolore che si schiude in sorriso di speranza.

Come dissociarsi dagli ipocriti?

San Paolo, nella seconda lettera ai Tessalonicesi, assumendo improvvisamente un tono severo, dà delle preziose esortazioni e consiglia di dissociarsi da quei fratelli che si comportano in modo “indisciplinato” e turbano la pace vivendo nella pigrizia disordinata e nell’agitazione violenta e anti-evangelica. La lezione dell’Apostolo è istruttiva anche per il comportamento verso gli ipocriti: Vi ordiniamo pertanto, fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, di tenervi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata e non secondo la tradizione che ha ricevuto da noi… Voi, fratelli, non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene. Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo per lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello. Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni modo (3,6-16).

Dinanzi all’opacità ambigua del male non bisogna mai scoraggiarsi, ma vincerlo operando il bene. Paolo disdegna i mezzi violenti e propone il comportamento del mite e del costruttore di pace. L’ipocrita è tanto strano che suole scambiare la mitezza per imbecillità e il pacifico per debole e incapace. Il comando tenetevi lontani e interrompete i rapporti non è una pena canonica o un distruggere i rapporti di umana concordia, ma un serio provvedimento pratico per portare a resipiscenza gli oziosi e gli sfaccendati di cui sta parlando. La quotidiana esperienza ci insegna che l’oziosità, come anche l’ignoranza, è sempre causa di altri vizi. Chi non sa fare nulla, chiacchera molto, s’intromette su tutto, critica e crea confusioni danneggiando la pace e l’armonia della comunità. E allora, pur interrompendo i rapporti, lo scopo supremo rimane sempre la correzione fraterna che non reprime, ma ammonisce per educare e per edificare.

Anche nella Lettera a Tito, Paolo fa un richiamo al pericolo dei falsi dottori, dei quali Tito non deve imitare lo spirito puntiglioso e polemico, perdendosi dietro a discorsi inutili e dannosi: Procura, invece, di evitare sciocche investigazioni, genealogie, risse e polemiche riguardo alla legge, perché sono cose inutili e vane. Dopo un primo e un secondo ammonimento evita l’uomo eretico, sapendo che un tale individuo è ormai pervertito e continuerà a peccare condannandosi da se medesimo (Tt 3,9-10). In effetti, l’uomo eretico è colui che, nel campo della verità di fede, segue il proprio criterio di scelta e di valutazione, piuttosto che l’insegnamento apostolico. L’eretico diviene l’uomo di parte che distrugge l’unità della fede. Nella lettera ai Filippesi l’Apostolo esorta: Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo (2,14-15).

L’insegnamento di Gesù e le istruzioni di Paolo ci danno indicazioni comportamentali ben precise. Gesù inveisce non contro quei farisei che erano persone sincere nella loro religiosità e nel loro retto modo di vivere, ma contro quel gruppo religioso e politico farisaico che viveva ipocritamente. Paolo parla di sfaccendati e di eretici, e ci esorta ad assumere il comportamento della dissociazione improntato alla carità in vista di una conversione. La dissociazione richiesta è distacco da tutto ciò che ci impedisce di andare avanti per realizzarci, da tutto ciò che non ci fa fiorire e fruttificare, da tutto ciò che non ci permette di essere ministri della verità per la costruzione del Regno. Nel vissuto quotidiano ci accorgiamo che l’appartenere a certi gruppi di potere riveste l’individuo d’ipocrisia. L’ipocrita non proclama il primato della coscienza, intesa come evento centrale dell’identità personale e della soggettività cristiana. L’ipocrita non si lascia mai invadere dal Verbo divino che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1,9), ma si lascia corrompere dall’arbitrarietà di quell’individualismo che spersonalizza l’uomo. Dissociarsi dagli ipocriti permette di respirare quella libertà di coscienza che è la voce di Dio nel cuore dell’uomo. Parlo di quella coscienza come luogo del superamento della mera soggettività nell’incontro tra interiorità dell’uomo e verità di Dio.

C’è il pericolo che il cristiano, soprattutto se riveste funzione di guida, corra il rischio di diventare ipocrita. Talvolta ci si chiede come mai un certo tipo di credenti possieda l’arte di appiattire con fredda prassi ecclesiale e di snaturare con comportamenti ipocriti ciò che nel vissuto di nostro Signore Gesù è così vivo e vero, così umano e spontaneo. Al di là del “ruolo” di fare il “cattolico” con i cosiddetti incarichi rivestiti di titoli onorifici altisonanti, il Vangelo insegna che bisogna incontrarsi, innanzitutto, come “persone” dai volti umani e trasparenti che rendono visibile la verità del cuore nella fraternità del rapporto. Gli ipocriti, pur di gustare le gocce del potere, come gli hypocritès teatrali, si ricoprono il viso con la maschera dell’ambiguità e della convenienza provocando disorientamenti, fratture e discordie.

Il cristiano ha il dono di vivere, come il neonato, in semplicità di spirito, consapevole che l’ipocrisia potrebbe attenderlo al varco (cf 1Pt 2,1s), col pericolo subdolo di cadere persino nell’apostasia (cf 1Tm 4,2). La fedeltà sincera alla Chiesa non è finta fedeltà a una Chiesa matrigna fatta idolo, in cui si è spettatori allegri della teatralità di un certo pregare. Nella Chiesa di Cristo, vivere la verità nella carità è, per statuto divino, l’unica via che rende i cristiani: un cuor solo e un’anima sola (At 4,32).

Il giudizio di Dio svela sempre e puntualmente la verità anche se talvolta è abilmente mascherata dall’uomo. Ti credevi un superuomo? Avevi distrutto in te il segno dell’umanità. Ti cercavano perché avevi un ruolo e, perciò, il potere per distribuire favori ai tuoi collegati! Non ti cercavano perché avevi la dignità di essere uomo-persona. Il giudizio di Dio è sempre sulla verità che esalta la libertà e la dignità dell’uomo.

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