Giovanni è il suo nome

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Nascita e nome

Nel Vangelo di Luca, la nascita e il nome del Battista sono presentati dall’angelo come lieto annunzio (Lc 1,19) e chiari segni dell’irruzione di Dio nella storia dell’uomo. Il nome “Giovanni” – che significa “JHWH ha fatto grazia”, il Signore usa misericordia, – è ispirato da Dio e indica già la vocazione e la missione del bambino.

Il cantico del padre Zaccaria, finora muto, ma ora diventato “uomo della Parola”, è inno di lode e di rendimento di grazie a Dio per gli avvenimenti che si stanno compiendo e che anticipano il compito e la missione di Giovanni: Benedetto il Signore, Dio d’Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo (Lc 1,68).

Reciprocità tra Giovanni e Gesù

Lo stretto rapporto che intercorre tra il Battista e Gesù non è solo cronologico, ma soprattutto teologico-spirituale. All’annunzio della nascita di Giovanni a Zaccaria, segue l’annunzio della nascita di Gesù a Maria (cf Lc 1,5-25 e 1,26-38). Alla nascita e alla circoncisione di Giovanni, seguono la nascita e la circoncisione di Gesù (Lc 1,57-66 e 2,1-21). Giovanni cresceva e si fortificava nello spirito (Lc 1,80); Gesù cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui (Lc 2,40). Annunzio, nascita e infanzia si snodano in armonia tra lo stupore e la meraviglia della gente (Lc 1,65-66 e 2,18-19). In Giovanni, profeta dell’Altissimo, l’attesa secolare d’Israele diventa voce che grida e indica la venuta del Messia Gesù, Sole che sorge dall’alto, porta luce dove regnano le tenebre della morte (Lc 1,78-79).

Giovanni, dunque, precede, prefigura e preannunzia Cristo nelle varie tappe della sua vita di Verbo fatto carne della nostra umana natura. Egli non vuole che i suoi seguaci lo confondano con il Messia, egli è soltanto il testimone e, di fronte a Gesù, si auto professa servo e schiavo: Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali (Mc 1,7). Il salto di qualità più straordinario viene annunziato dal Battista con un’antitesi: Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo (Mc 1,8). Nel suo battesimo, infatti, Gesù rinnoverà il cuore dell’uomo donandogli la forza creatrice che comunica la vita nuova e crea l’umanità rinnovata.

Ogni incontro con Cristo deve essere preparato e la figura del Precursore è illuminante perché l’itinerario di fede sia fecondo. Il cammino di fede non è mai ovvio, esso è ricerca costante all’interno di un deserto in cui la sete di verità diventa evento della presenza di Dio. La vocazione profetica del cristiano, come in Giovanni, deve sviluppare la docilità allo Spirito per accogliere la salvezza.

Il Canto del Prologo

Il nome di Giovanni appare improvvisamente nel Prologo del quarto vangelo e poi scompare: Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce (1,6-7-8).

Il vangelo di Giovanni costruisce l’esistenza terrena del Verbo incarnato come un conflitto radicale, di carattere metafisico, tra luce e tenebra, di lotta politico-religiosa tra Gesù e i giudei. Il dramma della croce è l’ultimo atto che chiude il conflitto e che coinvolge non solo Gesù ma tutta la storia messianica che inizia nel viaggio dell’Esodo, continua lungo le generazioni provocando segni e prodigi e culmina nella voce profetica del Battista attraverso il simbolo del battesimo donato a chi accoglieva la conversione del cuore.

Giovanni è pienamente convinto di non essere lui la luce, ma il testimone della luce (v. 7), di non essere lui il Messia, ma voce che grida la necessità della preparazione (v. 23). Il suo è un battesimo d’acqua che cederà il posto al battesimo di spirito (v. 23).

Giovanni non è contro il popolo giudaico ma contro l’apparato della classe dirigente giudaica che credeva di interpretare ufficialmente la storia e lo spirito di quel popolo, travisandolo. Quella struttura politico-religiosa giudaica incarnava le tenebre. Ogni volta che l’attesa messianica si faceva viva, lo zelo preoccupato e preoccupante dei giudei si trasformava in avversione, in odio, in persecuzione omicida.

Ad accogliere l’invito di conversione del Battista sono i poveri, gli umili, i malati, i pentiti, quelli che i profeti chiamavano gli anawim, cioè “il resto d’Israele” che attendeva con fiduciosa speranza l’avvento del Messia. Il mondo politico-religioso giudaico non attendeva, ma temeva e perciò inviava commissari d’inchiesta appena si subodorava un sintomo messianico. E tale era, agli occhi di quel mondo immerso nella tenebra, il successo popolare del Battista. Giovanni, tuttavia, tranquillizza gli emissari del potere rispondendo loro con una frase misteriosa e allusiva: Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete (1,26). Il Messia entra nella storia come uno sconosciuto, anche se profondamente legato al suo popolo.

E se al giudaismo ufficiale, il Battista addita Gesù come un personaggio sconosciuto, alla folla lo indica come la figura messianica ben conosciuta che sta al centro della storia del popolo eletto, quell’agnello di Dio è il Servo sofferente di Jahvè (cf Is 53,7): Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato dal mondo (1,29). La coscienza del popolo è ben lontana da quella dei capi politici e religiosi. Giovanni rivela il Messia non come un principe terreno ricoperto di vesti d’oro, applaudito da sceneggiate trionfalistiche, assetato di potere politico, ma chiama Gesù Agnello di Dio. I discepoli accetteranno il paradosso del Messia sofferente e non trionfatore e condottiero politico.

 

Atmosfera nuziale messianica

Colpisce l’atmosfera nuziale carica di tensione profetico-messianica che circonda il Battista. L’alleanza di Javhè con il suo popolo è alleanza d’amore. Giovanni si riferisce a questa tradizione nuziale quando si autodefinisce “amico dello sposo” che deve andarsene perché lo sposo è già arrivato: Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire (3,29-30).

Il pensiero di Gesù sul Battista è chiaro e positivo: egli è il più grande dei profeti, ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui (cf Mt 11,9-11). La grandezza di un uomo si misura, infatti, dalla sua partecipazione al regno: Giovanni lo ha annunziato, ma non lo ha potuto godere pienamente. Egli è il vero profeta legato radicalmente alla chiamata di Dio che gli indica la via per andare innanzi al Signore a preparargli le strade. Il vero profeta non esaurisce la sua vocazione nella concretezza dell’immediato con la gratificazione dei successi o con l’amarezza degli insuccessi, ma incarna fino alla fine il coraggio di testimoniare il primato di Dio.

Giovanni non è una canna sbattuta dal vento, non è un debole impaurito di fronte al potere politico e religioso, non è un adulatore di melliflui e violenti individui di corte; egli è il profeta che grida a tutti di convertirsi al Signore, testimoniando, con l’offerta della vita, la fedeltà al Messia atteso, venuto e indicato. Giovanni stimola a guardare in alto col cuore spalancato al Dio vivente e veniente, ed essere così invocazione, supplica e dossologia vivente.

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