Francesco, Peres e Abbas chiedono il coraggio di perseverare nella pace

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Papa Francesco che sottolinea come “per fare la pace ci vuole molto più coraggio che per fare la guerra”. Shimon Peres che afferma che “se noi perseguiamo la pace con perseveranza, con fede, noi la raggiungeremo”. Mahmoud Abbas che prega: “Riconciliazione e pace, o Signore, sono la nostra meta”. Tre testi diversissimi tra loro, quelli del Papa, il presidente israeliano e il presidente palestinese. Tre testi che sono parte di un’unica invocazione per la pace. Là dove le diplomazie non sono ancora riuscite, forse potrà riuscire l’immagine di questi tre uomini seduti l’uno di fianco all’altro, le loro delegazioni a fianco, per invocare la pace. Perché la preghiera è più forte della diplomazia, vuole sottolineare Papa Francesco.

Ci sono molte immagini che resteranno impresse, di questa giornata: la confidenza di Papa Francesco e Shimon Peres. La sua familiarità con Mahmoud Abbas. E poi la stretta di mano tra Abbas e Peres, sotto gli occhi del Papa, dopo che questi ha conversato separatamente e in privato con ciascuno di loro nella Domus Sanctae Marthae. E l’arrivo del Patriarca Bartolomeo I, che Papa Francesco ha voluto al suo fianco in questo momento importante. Era stato a Gerusalemme su invito di Bartolomeo, per commemorare i 50 anni dallo storico abbraccio tra Atenagora e Paolo VI. E questo momento, in fondo, è considerato dal Papa la conclusione del viaggio in Terrasanta, tanto che ha voluto nelle delegazioni i suoi due amici che già lo avevano accompagnato in Terrasanta, il rabbino Abraham Skorka e il dignitario islamico Omar Abboud. Un viaggio per la riconciliazione. Un viaggio per ri-accordare i cuori.

Ce lo ricorda la V sinfonia di Mahler, il sottofondo all’ingesso di Francesco, Peres e Abbas in quel triangolo di giardini vaticani dove le tre grandi religioni si incontrano, senza alcun sincretismo (tanto che il maestro delle cerimonie vaticano Guido Marini non è stato nemmeno coinvolto). La V ha un significato particolare: è la prima che Mahler non dota di un programma musicale, perché “una parte di mistero rimane sempre, perfino per il creatore”.

Il Papa ci arriva dopo un breve tragitto in pullmino, insieme a Bartolomeo, Peres e Abbas. E comincia l’incontro di preghiera. Un incontro anche questo musicale. Le religioni parlano in ordine cronologico di nascita: ebrei, cristiani, musulmani. Ognuno di questi momenti è diviso in tre parti: l’espressione di lode a Dio per il dono della creazione, la richiesta di perdono a Dio per aver mancato di comportarci come fratelli e sorelle e per i peccati contro Dio e contro il nostro prossimo; e infine l’invocazione a Dio affinché conceda il dono della pace in Terra Santa e renda tutti capaci di essere costruttori di pace.

E, visto che la diplomazia l’arte di accordare i cuori, la musica è preponderante, ogni parte è contrassegnata da un intermezzo musicale, e ogni parte è conclusa da un intermezzo musicale più prolungato.

Dopo la preghiera arriva il momento dei discorsi.

Papa Francesco ricorda che l’incontro è accompagnato dalla “preghiera di tantissime persone”, è “un incontro che risplende dell’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sognano un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratelli e non da avversari o nemici”. Ricorda, il Papa, che “il mondo è una eredità che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli che sono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’alba della pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia e di percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’amicizia trionfino”.

Sottolinea il Papa che per fare la pace ci vuole “più coraggio per fare la pace”, più che “per fare la guerra”. “Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza”.

Ma non bastano le “forze umane” perché “più volte siamo stati vicino ala pace, ma il maligno con diversi mezzi è riuscito a impedirla”. “Per questo siamo qui, perché sappiamo e crediamo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli”.

“Fratello” è la parola con la quale “spezzare la spirale dell’odio e della violenza”, ma per farlo si deve pregare, dice il Papa. E allora eleva una preghiera, in cui chiede a Dio di infondere in noi “il coraggio di compiere gesti concreti per costruire la pace”, di essere “artigiani della pace” e di essere responsabili ad “ascoltare il grido dei nostri cittadini che ci chiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, le nostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono”.

Un appello che è anche quello di Shimon Peres. A fine mese termina il mandato come presidente della Repubblica di Israele, e dirà addio ad una carriera politica dopo essere stato sulla breccia per 66 anni, e aver contribuito alla fondazione dello Stato di Israele. Voleva fortissimamente questo incontro che – filtra da vari ambienti – è pensato da più di un anno, e del quale ha parlato con il Papa quando arrivò in visita in Vaticano.

Peres ha trovato in Papa Francesco una sponda eccezionale, con la volontà del Papa di portare avanti una “cultura dell’incontro”. Ricorda di essere venuto da Gerusalemme, ovvero l’antica città di Salem. E Salem ha la stessa radice di “Shalom”, che significa pace. Peres lo rimarca. Recita il Salmo 122 (“Chiedete pace per Gerusalemme”) riparte dalla visita del Papa in Terrasanta, nella quale Francesco ha “toccato i cuori della gente, indipendentemente dalla sua fede e nazionalità”, ringrazia il Papa per essersi presentato “come costruttore di ponti di fratellanza e di pace”.

“Due popoli – gli israeliani e i palestinesi – desiderano ancora ardentemente la pace. Le lacrime delle madri sui loro figli sono ancora incise nei nostri cuori. Noi dobbiamo mettere fine alle grida, alla violenza, al conflitto. Noi tutti abbiamo bisogno di pace. Pace fra eguali”.

Peres sottolinea che il “Libro dei Libri” “ci impone la via della pace, di adoperarci per la sua realizzazione”. È un discorso denso di riferimenti biblici. “Ama il prossimo tuo come te stesso” è per Peres l’essenza della Legge, come commentato dal Rabbi Akiba (il quale commentava un passo del Levitico che Gesù aveva ripreso).

“La pace non viene facilmente. Noi dobbiamo adoperarci con tutte le nostre forze per raggiungerla. Per raggiungerla presto. Anche se ciò richiede sacrifici e compromessi”, dice Peres. Che – dopo aver chiesto di essere perseveranti nel perseguire la pace – conclude con una preghiera: “Colui che fa la pace nei cieli faccia pace su di noi e su tutto Israele e sul mondo intero, e diciamo: Amen”.

Ed è tutto una preghiera, con molte venature politiche, il discorso di Mahmoud Abbas. L’incontro con Shimon Peres forse ha rappresentato un disgelo, dopo la scelta del suo governo di fare un accordo con Hamas, considerato un Paese terroristico. Ma Abbas è venuto per la pace, dopo l’invito del Papa, del quale “apprezziamo moltissimo” la visita in Terrasanta e Palestina e “specificamente nella nostra città santa Gerusalemme e a Betlemme, la città dell’amore e la pace, la culla di Gesù Cristo”. E di Betlemme è presente pure il sindaco, Vera Baboun, una sorpresa, dato che non era tra i membri delle delegazioni annunciate”.

“O Dio del cielo della Terra, accetta la mia preghiera per la realizzazione della verità, della pace e della giustizia nella mia patria, la Palestina, nella regione e nel mondo intero”, prega Abbas.

Chiede Abbas “di rendere il futuro del nostro popolo prospero e promettente, con libertà in uno Stato sovrano e indipendente”, ma anche “sicurezza, salvezza e stabilità” al popolo della Regione”, e il salvataggio di Gerusalemme, “la prima Kiblah, la seconda Santa Mosche, la Terza delle due Sante Moschee, e la città della benedizione e della pace con tutto ciò che la circonda”.

“Riconciliazione e pace, O signore, sono la nostra meta”, dice Abbas. E cita Gesù Cristo, che dice a Gerusalemme “Se tu avesso conosciuto oggi la via della pace”. Cita San Giovanni Paolo II, che disse: “Se la pace si realizza a Gerusalemme, la pace sarà testimoniata nel mondo intero”. Riprende le beatitudini, quel “Beati gli operatori di pace” che sembra quanto mai appropriato”.

“O Signore, tu sei la pace e la pace promana da te! (…) O Signore, porta una pace comprensiva e giusta al nostro Paese e alla regione, cosicché il nostro popolo e i popoli del Medio Oriente e il mondo intero possano godere il frutto della pace, della stabilità e della coesistenza. (…) Noi desideriamo la pace per noi e per i nostri vicini”.

Termina l’incontro. Francesco, Peres e Abbas si salutano, raggiunti da Bartolomeo. E poi vanno insieme a piantare un albero di ulivo. L’albero della pace. Con la speranza che questo incontro abbia accordato definitivamente la musica delle diplomazie sulla via della pace.

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