Lo Spirito e la Sposa

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Come la speranza, anche la fede è ineffabile amore. L’amore di cui parla Gesù non si riduce a fatto sentimentale di pura memoria, come potrebbe intenderlo il filologo o il politico, ma a sublime esperienza di fede. Fede e speranza sono oboedientia fidei. Dice Gesù: Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità… Non vi lascerò orfani: verrò da voi (Gv 14,15-16.18a). Giovanni ci racconta che il pensiero dell’imminente partenza del Maestro mise i discepoli in uno stato di profonda angoscia e amara tristezza. Essi si troveranno soli nel mondo, il quale li odia perché non appartengono a esso. I discepoli devono solo credere fermamente in lui così come credono in Dio. Questa fede li aiuterà a superare l’amarezza della separazione e lo sconforto della solitudine in cui si troveranno sperduti in un mondo ostile. Nella casa del Padre suo, Gesù preparerà un posto per i suoi discepoli. La partenza da questo mondo aprirà loro la strada per raggiungere la casa del Padre. Secondo Platone, i discepoli di Socrate, alla morte del loro maestro, si sentono come privati del padre e destinati a vivere da orfani (Fedone 116°). Gesù, invece, fa la consolante promessa che non lascerà i suoi discepoli come orfani indifesi, ma ritornerà da loro.

Gesù, per consolarli, fa una triplice promessa: invierà un altro Paràkletos. Il termine greco paràclito proviene dal linguaggio giuridico e indica colui che è “chiamato vicino” a un accusato perché lo aiuti e lo difenda. Significa, dunque, difensore, avvocato, protettore, intercessore. L’opera del Paràclito è molteplice: nei riguardi di Gesù, Egli gli rende testimonianza dinanzi ai discepoli (v 26-27) e lo glorifica (16,14). Nei discepoli, rimane in loro (v 17) ed è loro maestro (14,26) e guida (16,13) perché li introduce alla piena comprensione dell’insegnamento di Cristo rendendoli suoi testimoni (15,27).

La glorificazione di Gesù non solo comporterà il dono dello Spirito, ma anche la presenza del Risorto nell’intimo dei suoi discepoli. Verrà, infatti, ad abitare per sempre nei discepoli (v 15-17); ritornerà tra loro (v. 18-21); anzi, Lui e il Padre verranno e prenderanno dimora in colui che lo amerà (v. 22-24).  Questa realtà divinizzante è dono ineffabile della Pasqua e della Pentecoste. Lo Spirito di Gesù, che è donato al battezzato, modella il credente configurandolo a Dio mediante l’amore. Il Paràclito, Amore del Padre e del Figlio, dona al cristiano quello stesso Amore che unisce Padre e Figlio. Egli continua l‘opera di Cristo, l‘Emmanuele, il Dio con noi. La sua presenza rende presente Cristo senza confusione o temporaneità, è, infatti, con noi in eterno. Il principio dei comandamenti del Cristo è lo Spirito di verità, proprio perché la disobbedienza ai comandamenti scaturisce dallo spirito della menzogna e quindi dall’odio verso Dio che inizia con la diffidenza nei suoi confronti. La nostra libertà di scelta è un’arma a doppio taglio, ma se il principio di essa è l’amore per il Signore, diviene obbedienza ai comandamenti. Lo Spirito Santo non elimina, quindi, la nostra libertà ma la illumina, non più con l‘imperativo della lettera della Legge, ma con la forza dell‘amore di Dio, che, in virtù dello Spirito, è effuso nei nostri cuori (cfr. Rm 5,5). Siamo qui nel cuore del cristianesimo! Dal precetto dell’amore accolto e vissuto, scaturisce l’affascinante avventura della nostra immersione in Dio Amore-Trinità. L’amore credente, allora, non è fantasma sentimentale di vaga religiosità esterna, ma è opera della volontà che divinizza l’uomo.

Tutto questo processo inizia con l‘accogliere e custodire i suoi comandamenti. Questo cammino, che parte dai comandamenti, porta ad amare Gesù e a essere amati dal Padre suo. Il discepolo non percepisce più su di sé l’ira di Dio a causa del suo peccato e neppure percepisce solo l‘amore di Dio verso le sue creature, ma quello più personale del Padre verso il Figlio. Non contempla Gesù solo nella relazione intima con il Padre, ma lo sperimenta in se stesso nell‘amore che Gesù ha per lui. Amando il suo discepolo, Gesù si manifesta a lui. Soltanto lo Spirito ci rende capaci di amare Dio. Questa azione santificante e beatificante è strettamente legata a Gesù.

Gesù è esplicito quando afferma che il vero amore consiste nell’osservare i suoi comandamenti. Amore e comandamenti non sono realtà differenti e contrapposte. I comandamenti scaturiscono dall’amore, sono la prima espressione dell’adesione all’amore di Dio che si lega all’esercizio dei comandamenti, anche se l’amore non può ridursi a misura dei comandamenti.  L’amore vero non ha  misura perché è donazione piena, totale ed eterna di se stessi. La realtà di questa vita d’amore, al mondo sembra una fiaba o un’ingenua illusione, perché non è commisurabile con i criteri del mondo. Lo Spirito è in noi e per sempre con il Padre e il Figlio. La risposta all’amore genera l’inabitazione, il livello più alto dell’esperienza cristiana: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (v. 23). Si chiude così il cerchio d’oro d’amore teandrico: Spirito Santo, Figlio e Padre vengono ad abitare negli apostoli e nei cristiani di ogni tempo, perché posseggano e pregustino, già e ora, un anticipo dell’unione celeste beatificante.

Suor Elisabetta della Trinità ha fatto di questa verità il cuore della sua vita consacrata: «Ho trovato il cielo sulla terra, poiché il cielo è Dio e Dio è nella mia anima… I tre che abitano in me… Mio Dio, Trinità che adoro!» (Scritti, Roma 1967, pag. 39, 605).

La vita divina in noi non è un fatto vago e occasionale, ma una realtà certa e definitiva; non è un pio desiderio, ma una verità reale e fondamentale. Soltanto attraverso la Chiesa sacramentale, il cuore del credente diventa “tabernacolo vivente” della Trinità. La presenza di Dio nell’uomo è legata all’azione santificante e beatificante dello Spirito. È presenza che avvolge e coinvolge il battezzato cambiandone totalmente la vita. Attraverso la sua presenza, lo Spirito modella l’anima del credente che ama e la configura a Cristo Gesù aprendola alla comunione con il Padre. Tutta la storia della salvezza ha come fulcro la presenza potente e trasformante di Dio con l’uomo e nell’uomo, l’amore ne è la sorgente e l’anima. Con la presenza delle tre divine Persone, la salvezza raggiunge la sua pienezza. La presenza della Trinità “in noi e per sempre” costituisce il più alto livello dell’essere e dell’agire cristiano.

La Chiesa diventa così il luogo privilegiato in cui lo Spirito si rivela e ci porta la Verità che è Gesù stesso e il suo Vangelo. Lo Spirito appartiene intrinsecamente alla Chiesa perché ne è l’anima e l’energia. Dove c’è la Chiesa, c’è lo Spirito; anzi, dove c’è lo Spirito, c’è sempre la Chiesa e dove c’è lo Spirito e la Chiesa, c’è il Padre e il Figlio.

All’uomo di oggi, smarrito in una storia convulsa, confusa e disorientata perché ha smarrito l’Amore di Dio, abbiamo la missione di gridare le ragioni della speranza che è in noi. Davanti al mondo, il nome di Gesù è soltanto un nome, nel vero credente esso evoca sia l’intera storia della salvezza, sia la partecipazione effettiva alla vita di Dio, fin dal momento presente.

La vita interiore del credente non è una vaga esperienza psicologica, essa si apre sul mistero della comunione trinitaria alla quale in certo modo partecipa. La vita della Chiesa è sorretta dal soffio vivificante dello Spirito senza il quale diverrebbe una sorta di reperto archeologico, così come tanti vorrebbero che fosse.

Il cristianesimo è la rivelazione del Dio vivente e vivificante che, nel Figlio suo, ci rende suoi figli e nello Spirito ci fa partecipi della sua pienezza.

Bisogna dissociarsi da tutti quei farisei della Chiesa che hanno fatto del cristianesimo la religione della legge e della soddisfazione di sé. Il cristianesimo non è fatto di divieti: esso è vita, fuoco, creazione, illuminazione, profezia. La serie dei “non” dei comandamenti, Gesù l’ha trasformata nella litania dei “beati” del Vangelo. L’Amore non ha misura perché è pienezza di vita in Dio. I precetti paradossali delle beatitudini oltrepassano la storia, relativizzano le sue pretese e aprono le vie della beata speranza.

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