Arturo Mari, una vita con i Papi

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Duemila scatti per udienza, 51 anni di lavoro al servizio dei Pontefici, la prima foto scattata da bambino ai graffiti sulla tomba di San Pietro. Poche cifre per raccontare Arturo Mari, il fotocronista dell’Osservatore Romano che ha ritratto 6 diversi Papi. Fu il conte Dalla Torre a chiamare il giovane Arturo, figlio di un capo squadra dei sanpietrini che scavarono la Tomba del Principe degli Apostoli, a fare foto all’Osservatore. Era il 9 febbraio del 1956. Da giugno del 2007 Arturo ha iniziato una nuova carriera. Non più capo dei fotografi del quotidiano vaticano, ma testimone della vita del Papa. Di uno in particolare, di cui si sentiva figlio: Giovanni Paolo II. Ventisette anni trascorsi insieme, ogni giorno, quasi ogni ora. Ne ha di cose da raccontare, Arturo: aneddoti, fatti divertenti, commoventi, momenti difficili e bellissimi, imbarazzanti o scherzosi. Troppi per raccontarli. “Sono tutti quì, nel mio cuore”, dice. Una casa a Borgo Vittorio piena di ricordi e di foto. “Da riguardare quando sarò molto anziano con mia moglie e mio figlio sacerdote”. Ogni mattina, per anni, con tre macchine fotografiche, iniziava una nuova giornata. Tre macchine per non perdere niente, neanche un’immagine. Un servizio alla gente, che spesso grazie alla foto dell’incontro con il Papa è riuscita anche ad affrontare le difficoltà della vita. In Giovanni Paolo II ha trovato un padre, racconta, che aveva tempo per tutti. E questo vuole dire attraverso le foto. Così come vuole raccontare la dolcezza di Papa Benedetto XVI. Progetti e idee non mancano a questo giovane di 68 anni per il quale la fotografia è passione, amore, sacrificio e gioia. Lo incontro in una mattina d’estate, in una breve sosta tra un viaggio e l’altro. È appena tornato da Cracovia, gli amici non si dimenticano. Ci fermiamo a prendere un caffè a Borgo Pio. Arturo è “borghigiano”, è nato qui, in questo quartiere che abbraccia il Vaticano e che vive per il Papa. Ci conosciamo da anni. Ho tante foto che mi ha scattato, fin da quando, adolescente, venivo alla udienze generali con la scuola. Ho anche una foto con lui che riprende un mio incontro con Benedetto XVI. Ma oggi è un onore grandissimo chiacchierare con lui del futuro e del passato come fosse presente. Vestito scuro impeccabile, camicia con cifre e gemelli. Una tenuta da lavoro che è diventata uno stile. Eredità della mamma, figlia di una famiglia nobile. In Arturo c’è tutto il cuore di Roma. Eredità del papà, al servizio dei Papi per lavoro e vocazione. E’ con lui che Arturo ha iniziato ad amare la fotografia, appunto, durante gli scavi della Tomba del Principe degli Apostoli. Una vita all’ombra di Pietro. Caffè, l’immancabile sigaretta e si comincia.

Chi è Arturo Mari?

“Diciamo che è un essere umano qualunque, come tanti esseri umani che esistono sulla terra. Poi la vita ha presentato ad Arturo Mari un compito nella sua professione, un compito eletto, nel quale ho cercato di mettere tutta la credibilità e l’impegno”.

La prima foto l’hai scattata a sei anni …

“Il mio papà era appassionato di fotografia. Perché quello che io chiamo “mio nonno“, Padre Kirschbaum, il sacerdote che ha scoperto le ossa di San Pietro, era sempre in casa nostra. Lui era amante della fotografia, mio papà anche, e io a 6 anni, quando finivo la scuola e papà tornava dal lavoro, lo aiutavo in camera oscura con i micro-film. Da questo nasce un po’ tutta la mia vita, per cui a 6 anni ho iniziato a mettere le mani nel mondo fotografico”.

Una vita trascorsa in Vaticano. Ti è mai venuta voglia di fare un altro tipo di fotografia?

“No, no! (ride) Adesso che ho più tempo, mi piacerebbe provare a fare foto sempre nello stesso settore, però non con il Papa. Raccontare un po’ i luoghi dove io ho vissuto 51 anni della mia vita. Questa è una idea che mi è venuta in mente parlando con mia moglie e con mio figlio, vedremo: prima devo sistemare tante cose, e poi ci sarà tempo anche per questo”.

Il Papa per te è sempre presente, un Papa in particolare: Giovanni Paolo II…

“Certo, 27 anni insieme, una vita. 27 anni non si cancellano in un attimo, 27 anni che hanno cambiato la mia vita, cambiato il mio cuore, il mio modo di ragionare. Lui mi ha dato tante possibilità, girando il mondo, di poter parlare, vedere, toccare gente. E queste sono esperienze che non si possono dimenticare. E come uomo non posso essere insensibile a tutto questo”.

Quando scatti una foto si vede che non pensi solo alla luce, al fuoco, ma anche a che cosa servirà.

“Il mio primo pensiero, grazie a Dio, è proprio questo. Io ho sempre cercato di poter documentare il meglio possibile il lavoro del Papa, di far vedere veramente che cosa faceva Giovanni Paolo II. Un uomo che lavorava dalle 6 e mezzo di mattina fino alla undici di sera, sempre di corsa, affrettato, un uomo che passava tutto il giorno pregando, avendo incontri con la gente, con i bambini, con i malati”.

Il tuo lavoro e la tua vita sono fatti di discrezione e presenza puntuale.

“Penso che la prima questione sia questa, la mia presenza: proprio perché deve essere molto vicina al Papa, deve essere molto discreta. Perché debbo ricordarmi che davanti a me, di fianco a me, c’è una persona che è il Papa, per cui è un segno di rispetto. Questa è la prima cosa. E poi è il Papa che la gente guarda, e io non posso e non debbo disturbare in queste situazioni. E allora bisogna trovare sempre il modo e la maniera di essere presenti ma non visibili: sembra impossibile, ma ci si può riuscire”.

Con Giovanni Paolo II hai avuto un rapporto speciale, ma come era fotografare, ad esempio, Paolo VI?

“Si cambiavano un po’ le tecniche ma la base era sempre quella. Io posso rispondere in un solo modo per tutti e sei. Ognuno è un Papa, è un uomo, ha un carattere. La cosa più importante per me era entrare in sintonia con la persona che avevo davanti. Sentire sulla pelle cosa lui mi poteva trasmettere. Sensazione che io poi dovevo impegnarmi e portare nel mio mestiere, cioè fotografare. E questo è quello che mi ha aiutato al cento per cento”.

Gli altri la domenica pomeriggio vanno allo stadio, la sera a cena fuori”. Tu lavori negli orari più incredibili. Tra noi vaticanisti si dice: ”Li c’è Arturo, allora ci deve essere il Papa”. Che altro hai potuto fare nella tua vita?

“Non sembra, ma tante cose. Al primo posto la mia famiglia. Io amo la mia famiglia, per cui il mio primo pensiero è sempre stato trascorrere il tempo libero in casa. Non perché non avessi possibilità di andare al mare o altrove, ma perché è anche giusto dedicarsi alla moglie, al figlio, che poi ora è sacerdote. Quindi si è creato un rapporto bellissimo; anche grazie alla pazienza di mia moglie, non ho mai trovato nessuna difficoltà”.

In tanti anni hai incontrato tanti colleghi, giornalisti e fotografi: come è stato il tuo rapporto con loro, tu eri sempre un po’ privilegiato?

“Il mio rapporto con i colleghi è stato sempre ottimo perché mi hanno sempre rispettato e il mio primo pensiero è stato quello di rispettare chi non aveva la possibilità che io ho avuto di essere vicino al Papa. Una delle mie priorità era quella di poter aiutare i miei colleghi, e l’ho fatto attraverso i cosiddetti pools. Con questo sistema ho dato loro l’opportunità di coronare e completare il loro servizio, basti pensare che in 51 anni non ho avuto nessuno screzio e nessuna battaglia o rivalità”.

Hai affrontato professionalmente ed umanamente un cambio di pontificato significativo…

“Umanamente lascio a te decidere, dopo 27 anni, che cosa vuol dire da un giorno all’altro una nuova vita. Ma devo ringraziare veramente il Santo Padre Benedetto XVI che con la sua dolcezza, con la sua intelligenza, con il suo amore mi ha accompagnato. Devo dire veramente un grazie particolare a questo Papa perché è stato di un amore, di un affetto e di un carisma che non immaginavo”.

Tu avevi fotografato anche il Cardinal Ratzinger. E’ cambiato?

“No, no! Dico la verità: lui non è cambiato, anzi è migliorato ancora di più, e lo vediamo come si comporta con la gente. Poi basta vedere con i propri occhi, non spetta a me dire queste cose”.

Quale è la foto che ti piace di più o anche quella che non avresti mai voluto scattare?

“Se uno non voleva fare una fotografia è quella dell’attentato a Giovanni Paolo II. Come ho sempre detto, come ho fatto queste fotografie non me lo ricordo. Tante volte dico che la mano della Madonna ha guidato la mia perché non lo so neanche io in quegli attimi cosa ho fatto. Non so se è stata l’esperienza, non parlo di bravura. Comunque le foto ci sono. Ecco, queste non le avrei mai volute fare”.

E la più bella?

“Ce ne sono tante, ho lavorato più di mezzo secolo. Ma posso dire che se non avessi avuto tutti giorni una motivazione, uno stimolo che i Papi mi hanno dato, la vita sarebbe stata noiosa e le fotografie sarebbero state tutte uguali. Quindi non saprei davvero dire quale sia stata la foto più bella”.

Ci sono state delle volte in cui ti sei trovati in imbarazzo, che avresti voluto non essere presente con la macchina fotografica?

“E’ successo un paio di volte con dei Capi di Stato; il Papa era Giovanni Paolo II e l’ho visto difendere con fermezza i principi della vita. Ma non entro nei dettagli, sono ricordi che porto nel cuore. Tuttavia posso dire di avert avuto davvero la sensazione di quale fosse l’apostolato del Papa, la forza di quest’uomo, la sua determinazione, perché tante volte ha reagito in quella maniera forte quando si parlava dei bambini, delle donne, della famiglia, del lavoro”.

27 anni di aneddoti sono davvero tanti, aspettiamo un tuo libro di racconti. Ma vorresti più raccontare Giovanni Paolo II o il Vaticano?

“Il mio programma prevede di far conoscere alla gente la vita del Papa. Perché è facile dire: ‘Che bella la vita del Papa’, ma vi assicuro che essere Pontefice è davvero un grandissimo onere”.

Aspettiamo allora la vita dei Papi raccontata da Arturo Mari… Ma prima un’ultima domanda: discutevate mai di calcio tu e Giovanni Paolo II?

“Si! (ride) Ma non lo posso dire…”.

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