Claudel e Péguy, gli “ispiratori” del Concilio Vaticano II

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I poeti francesi Charles Péguy (1873-1914) e Paul Claudel (1868-1955) sono tra i più importanti scrittori cattolici dell’inizio del Novecento, e la loro opera ha ispirato il rinnovamento del cattolicesimo francese che ha contribuito a preparare il Concilio Vaticano II. Tra i loro più grandi stimatori c’era il gesuita Henri de Lubac (1896-1991), uno dei principali ispiratori del Concilio, nominato cardinale nel 1983 da Giovanni Paolo II. Ed è proprio de Lubac che, insieme a Jean Bastaire, presenta Claudel e Péguy in un libro con il semplice titolo “Claudel e Péguy”. Con eleganza ed erudizione questo libro racconta l’ironia della storia di due poeti che vengono spesso menzionati insieme, ma che in realtà non si sono mai incontrati e non si stimavano particolarmente. Il libro viene ora pubblicato in italiano dalla Marcianum Press (2013), ma fu pubblicato per la prima volta nel lontano 1974 per il centenario della nascita di Péguy. Si può dire che il libro fa parte dell’onda lunga del Concilio. Parte dell’interesse del libro sta proprio nel fatto che racconta un momento di quel lungo movimento, ormai quasi del tutto dimenticato, di rinnovamento spirituale e culturale che ha preceduto il Concilio. Henri de Lubac e Jean Bastaire presentano la corrispondenza tra i due poeti e raccolgono tutte le testimonianze su come i due scrittori si giudicavano a vicenda: un rapporto sempre di stima, ma anche di diffidenza. 

Claudel e Péguy scelsero di diventare cattolici credenti in un mondo intellettuale e culturale che si era molto allontanato dal cattolicesimo. Péguy diventò presto socialista come allievo di Romain Rolland e Henri Bergson all’École Normale Supérieure di Parigi negli ultimi anni dell’ottocento. Nel 1894 prese posizione per Alfred Dreyfus, l’ufficiale ebraico ingiustamente condannato per tradimento. L’affare Dreyfus stimolò sentimenti di antisemitismo, socialismo e patriottismo che divisero il paese provocando una crisi di coscienza e verità. Sia i socialisti che i dreyfusisti erano normalmente anticristiani, ma Péguy invece si avvicinava gradualmente alla fede cattolica, attratto dalla tradizione spirituale medievale della Francia, diventando una specie di Tolstoi francese. Nel 1907 si dichiarò cattolico e si profilò come scrittore cattolico negli anni seguenti fino al 1914, quando fu ucciso in guerra. I suoi vecchi amici furono sconvolti quando nel 1910 pubblicò “Le Mystère de la charité de Jeanne d’Arc” (Il mistero della carità di Giovanna d’Arco). Nei suoi versi si mescola coscienza sociale, un forte patriottismo tipico per l’epoca, e la sua ritrovata fede. De Lubac, che nel 1958 pubblicò “Cattolicismo. Aspetti sociali del dogma”,  trovò particolarmente interessante in Péguy l’incontro tra la fede e la passione per le questioni sociali. Ma Pèguy era un cattolico a modo suo. Non si fidava del clero e proclamava come modello di fede la semplice parrocchiana. Credeva molto nella preghiera, ma non si preoccupava molto dei sacramenti: non lo si può neanche definire praticante, perché non ha mai ricevuto la comunione se non, pare, da soldato un mese prima della morte. Claudel non capì mai questa scelta: “Compatisco la sua povera anima che non ha mai smesso di girare intorno all’altare, senza riuscire a prendere la comunione”.

Totalmente diversa fu la strada di Paul Claudel, su cui de Lubac ha pubblicato tre testi oltre questo libro. Claudel stesso disse che lui e Péguy avevano scalato la stessa montagna su due lati diversi e si potevano incontrare solo in cima. Dopo essere stato ispirato da ideali anarchici, a diciotto anni il giovane Claudel vive una fortissima esperienza di conversione nella liturgia di Natale del 1886 a Notre-Dame di Parigi, che racconta lui stesso:

“Ecco come era il giovane infelice che il 25 dicembre si recò a Notre-Dame di Parigi per assistere all’Ufficio di Natale. Cominciavo allora a scrivere e mi sembrava che nelle cerimonie cattoliche, considerate con superiore dilettantismo, avrei trovato uno stimolo opportuno e la materia per qualche esercizio decadente. In queste condizioni, urtando a gomitate la folla, assistetti alla Messa solenne con poco piacere. Poi, non avendo nient’altro di meglio da fare, tornai al pomeriggio per i Vespri. I bambini del Coro, vestiti di bianco, e gli alunni del Seminario Minore di Saint-Nicolas-du Chardonnet stavano cantando ciò che più tardi ho saputo essere il Magnificat. Io ero in piedi tra la folla, vicino al secondo pilastro rispetto all’ingresso del Coro, a destra, dalla parte della Sacrestia. In quel momento capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla. Improvvisamente ebbi il sentimento lacerante dell’innocenza, dell’eterna infanzia di Dio: una rivelazione ineffabile!”

La stessa sera cerca una Bibbia e ne trova solo una protestante, perché all’epoca i cattolici normalmente non avevano a casa una traduzione moderna della Scrittura: “La stessa sera … presi una Bibbia protestante che un’amica tedesca aveva regalato a mia sorella Camilla e, per la prima volta, intesi l’accento della voce così dolce e così inflessibile che non ha più cessato di risuonare nel mio cuore”. Il rapporto con la Scrittura lo segnerà profondamente. Dopo un tentativo di abbracciare la vita monastica si dedica invece alla diplomazia. Come diplomatico vive per lunghi anni fuori dalla Francia e viene segnato da ideali universalisti più che patriottici. Nei suoi scritti poetici e drammatici come “L’annonce faite à Marie” (L’annuncio a Maria, 1914) e “Le soulier de satin” (La scarpina di raso, 1929), esprime una fede violenta e passionale con sapori profetici e biblici. Al centro dei suoi testi teatrale c’è il dramma dell’uomo di fronte a una scelta che determinerà il destino eterno dell’anima. Nonostante questo contenuto religioso “ingombrante”, i suoi testi sono anche legati all’avanguardia teatrale dell’epoca.

Ciò che spinse Claudel e Péguy a tornare alla fede non era la personalità del papa dell’epoca, che non figura quasi mai nei loro scritti, ma l’incontro con la tradizione spirituale medievale del proprio paese, per Péguy, e con la liturgia e la Scrittura per Claudel. Più di un secolo dopo è interessante vedere come i due poeti trovarono, per vie diverse, la fede in un contesto culturale fortemente anticristiano, dominato da insoddisfazione e sentimenti anarchici che alla fine ricordano molte correnti culturali e politiche dell’inizio del XXI secolo. Eppure con le loro opere hanno contribuito a “ispirare gli ispiratori” del Concilio e del rinnovamento spirituale della Chiesa cattolica di oggi.

Henri de Lubac, Jean Bastaire, Claudel e Péguy, Venezia: Marcianum Press 2013
(ed. originale francese Claudel et Péguy, Paris: Aubier-Montaigne 1974; ristampa Paris 2008).

 

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