Monsignor Alfred Xuereb: Quando Papa Benedetto suonò il canto natalizio della mia Malta.

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“Guardare i Papi in contrapposizione impoverisce perché si perdono gli aspetti belli e arricchenti significativi delle loro personalità.”

Monsignor Alfred Xuereb parla per esperienza diretta. Per quasi sei anni è stato nella segreteria particolare di Benedetto XVI, e dal marzo di quest’anno è al servizio di Papa Francesco. Un lavoro discreto e solerte. É stato proprio Papa Benedetto a offrire al suo successore il monsignore maltese  come possibile segretario.

“Sono stato con Benedetto XVI fino a tre giorni dopo l’elezione di Papa Francesco- racconta- poi sono venuto in Vaticano, a Santa Marta. Il giorno che sono partito lo ricordo minuto per minuto, perché è stato un momento molto particolare per me. Per quasi sei anni sono stato accanto ad una persona molto speciale, che mi ha voluto bene come un padre, che mi ha permesso di beneficiare di una confidenza rispettosa ma intima. Poi è arrivato il giorno del doloroso distacco.”

Don Alfred ha una lunga esperienza al servizio dei pontefici. É stato Prelato di anticamera negli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II, poi nella segreteria particolare di Benedetto XVI e ora è al fianco di Francesco. La sua discrezione quasi britannica magari non lo ha fatto conoscere al grande pubblico, ma in Vaticano il suo sorriso e la sua affabilità sono molto apprezzati: “ In sintonia con lo stile di Papa Francesco e per sbrigare con serenità la mole considerevole di pratiche che giungono alla Segreteria Particolare, come d’altronde in tutti gli altri uffici, si predilige il lavoro di scrivania” spiega. Papa Francesco lo ha anche recentemente delegato a vigilare e tenerlo informato sul lavoro della Commissione referente sullo IOR e sulla Commissione di studio e di indirizzo sull’organizzazione della struttura economico-amministrativa della Santa Sede.

Nato a Victoria nel 1958, sacerdote dal 1984, ha studiato prima a Gozo e poi all’Istituto di Spiritualità del Teresianum a Roma, ha vissuto un anno di lavoro a Münster, in Germania. Dal 1991 al 1995 è stato segretario del rettore della Università Lateranense, ha lavorato poi in Segreteria di Stato e nella Prefettura della Casa Pontificia.

 

A qualche mese dagli eventi che hanno cambiato la storia don Alfred ci racconta come li ha vissuti, ma soprattutto apre le pagine dei ricordi per raccontare Benedetto XVI visto da vicino. Il racconto dei giorni di marzo è ricco di intensità.

 

“Benedetto XVI aveva scritto una bellissima lettera di cui mi ha consegnato una copia che conservo come un prezioso gioiello, nella quale ha menzionato al nuovo Papa alcuni miei pregi. Magari nella sua bontà ha voluto evitare di elencare i miei difetti, assicurando al nuovo Papa che mi aveva lasciato libero, poiché il nuovo Papa non osava chiedere di sottrarmi a Lui. Del resto era forse l’unico tra 115 cardinali che non aveva un segretario suo. Io ricordo anche il momento in cui ho fatto le valigie. Mi dicevano: affrettati il Papa ha bisogno di un segretario, sta aprendo lui  stesso le lettere, è solo. Io non sapevo niente di quello che succedeva a Santa Marta.”

 

Ma lei come ha salutato il Papa emerito?

“Il momento più toccante è stato quando sono entrato nel suo ufficio a Castelgandolfo per salutarlo personalmente. Poi c’è stato l’ultimo pranzo, ma il momento privato è stato intensissimo. Io piangevo e gli ho detto, come riuscivo, con un nodo alla gola: Santo Padre per me è molto difficile distaccarmi da Lei, io la ringrazio tantissimo per quello che Lei mi ha donato in questi anni, per la sua grande paternità. Lui si è alzato dalla scrivania e, mentre gli baciavo l’anello che ormai non era più quello del Pescatore, ha sollevato sulla mia testa la mano destra e mi ha benedetto.”

 

I ricordi sono tanti e sgorgano dal cuore del sacerdote vividi e intensi.

 

“ Una volta- racconta don Alfred-eravamo a Castelgandolfo, ci fu un incontro con seminaristi e sacerdoti. Uno dei sacerdoti aveva fatto notare come fosse difficile seguire i ritmi della preghiera. Perché la parrocchia era grande e c’era tanta gente da seguire. E diceva, quasi scusandosi, che non riusciva sempre a pregare il breviario, perché magari doveva accudire i fedeli. Forse attendeva quasi una approvazione. Invece il Papa gli ha detto: questa tua premura pastorale è molto lodevole, ma ricordati che anche quando preghi il breviario stai facendo una azione pastorale perché stai pregando per i tuoi parrocchiani. Come è importante aiutare una persona ascoltandola e facendo cose concrete per venirle incontro, è altrettanto importante aiutarla e sostenerla con la tua preghiera. Questo i parrocchiani lo apprezzano tanto quando vengono a saperlo. E così il Papa ha incoraggiato il parroco a non trascurare la Liturgia delle Ore.”

 

Una paternità che la “famiglia del Papa”, di cui don Alfred ha fatto parte, ha vissuto in tanti gesti quotidiani che dimostrano la umanità e semplicità di Benedetto XVI. Nelle richieste di preghiera,  ad esempio, Ratzinger ha proseguito alcune abitudini di Giovanni Paolo II, che chiamava sempre semplicemente, il Papa.

“Ogni giorno arrivavano numerose lettere con richieste di preghiera a Papa Benedetto. Succedeva lo stesso con Giovanni Paolo II ed era un compito di don Mietek, che io ho ereditato, quello di prepararle su un fogliettino per il Papa. Arrivavano alla segreteria particolare tante richieste di persone malate e il Papa rimaneva impressionato di quante famiglie vivessero questo dramma, pensando non solo al malato, ma anche a tutta la famiglia che giorno e notte, Natale e Pasqua, estate ed inverno doveva accudire il familiare infermo. E poi c’era l’angoscia per i bambini. Il Papa, che pure ha mille pensieri, considerava la sua preghiera per i malati un ministero pastorale importantissimo. Mettevo i fogliettini in cappella sul suo inginocchiatoio, e so che Benedetto li sfogliava e li rileggeva conservandoli nel cassettino. Mi sorprendeva quando, dopo qualche giorno, mi chiedeva se avevo avuto notizia di qualcuno dei malati che conoscevo personalmente.”

 

E poi il raccoglimento prima della messa: “La messa iniziava alle 7.00, ma ci furono dei giorni in cui si sentiva l’orologio del cortile di San Damaso che suonava l’ora ma lui rimaneva in raccoglimento. Ricordo un periodo in particolare, che si fermava a lungo anche dopo l’orario di inizio. Avevo la netta sensazione che stesse pregando per una intenzione particolare. Forse era il momento del travaglio interiore che lui ha avuto prima di arrivare all’eroica decisione della rinuncia. Era un raccoglimento molto particolare.”

 

Nella vita quotidiana c’erano anche momenti speciali di festa come il Natale. Ricorda il suo primo Natale con Papa Benedetto?

benedetto-canta“Eravamo intorno all’albero con le candele accese come si usa in Germania. Cantavamo i canti natalizi in tedesco in latino e in italiano. Ad un certo momento il Papa si gira verso di me e mi dice: il suo predecessore, don Mietek, ci cantava qualche canto in polacco, lei ne ha qualcuno maltese?

Io avevo degli spartiti dei canti popolari nostri, in particolare uno che è il più tradizionale: Ninni la Tibkix Izjed, Ninna nanna a Gesù, non piangere più. Si canta sempre. Corsi nel mio ufficio presi gli spartiti e fu grande la mia sorpresa e la mia emozione quando il Papa prese gli spartiti e si mise al pianoforte a suonare. Sentendo questa melodia suonata dal Papa ancora oggi il pensiero mi emoziona. La vigilia di Natale dopo cena, in attesa della messa, ci riunivamo attorno all’albero acceso, il Papa prendeva il brano del Vangelo della natività di Gesù e lo leggeva, poi ci scambiavamo gli auguri. Mi spiegò che ogni padre di famiglia in Baviera fa così. Mi piaceva arricchire la grande religiosità maltese popolare con quella della Baviera.”

 

A tavola e dopo i pasti o magari dopo le passeggiate nei Giardini Vaticani per la recita del Rosario il Papa e i suoi segretari parlavano delle udienze del giorno, delle persone incontrate, talvolta anche delle critiche che arrivavano da fuori e dentro la Chiesa. “L’ho visto dispiaciuto certo, ma non contrariato. Non l’ho mai sentito dire una frase di sdegno. Quando ci fu la triste vicenda del nostro Aiutante di Camera, che trattava come un figlio, ha manifestato il suo dispiacere per la sua famiglia e per lui stesso. Ma mai una parola di indignazione.”

 

Don Alfred lei era con Papa Benedetto quando Papa Francesco appena eletto lo ha chiamato al telefono?

“Benedetto ha vissuto con molta aspettativa il conclave e l’elezione del nuovo Papa, era ansioso di sapere chi gli sarebbe succeduto. Abbiamo pregato intensamente sentendoci uniti a tutta al Chiesa che invocava lo Spirito Santo. Il momento dell’ “annuntio vobis gaudium magnum” lo abbiamo seguito in tv. É stato molto commovente essere presente alla telefonata che il nuovo Papa ha fatto a Papa Benedetto. Gli ho passato il cordless, sentivo Benedetto XVI dire: “La ringrazio Santo Padre e -già sentire Benedetto che dice questo suscitava ammirazione- la ringrazio che abbia subito pensato a me e prometto fin d’ora la mia obbedienza e la mia preghiera.”

Queste parole dette da una persona con la quale ho vissuto, perché era il mio Papa, sentirgli dire questo, ecco ne rimasi molto edificato.”

 

Come ha vissuto la decisone della rinuncia?

“Il mio timore era una incomprensione e magari una condanna generale. Temevo che si potesse dire: ha iniziato un’opera e non ha avuto il coraggio di completarla! Invece io vedo ancora oggi la sua eroicità proprio in questo, lui non ha badato a questo rischio. Era convinto di quello che il Signore gli stava chiedendo in quel momento: io non ho più forze per continuare la mia missione, la mia missione è conclusa, affido a qualcun’ altro che ha più energie di me il compito di portare avanti la Chiesa. Perché la Chiesa non è del Papa, ma di Cristo. Chi ama la Chiesa considera tale decisione “un grande atto di governo””.

 

Qual è stata la sua prima reazione alla notizia?

“Mentre mi comunicava la notizia mi veniva subito di dirgli: No, Santo Padre, perché non ci pensa un po’!

Poi ho frenato me stesso e mi sono detto: ma chissà da quanto tempo ci pensa! E mi sono passati nella mente, come in un baleno, i momenti di preghiera prima della messa, lunghi e raccolti.

E l’ho lasciato parlare, lo ascoltato smarrito. Era tutto ben deciso, quando comunicarlo e come. E mi ha detto: Lei andrà con il Papa nuovo. E me lo ha ripetuto per ben due volte, al punto che stavo per dirgli: sarei disposto, ma chi sa se il nuovo Papa mi vorrà?”

 

Qualcuno pensa che Benedetto XVI sia stato un Papa troppo intellettuale, con la testa solo sui libri.

 

“Considero il Papa emerito con una personalità costituita da due dimensioni che potrebbero sembrare contrastanti, e invece sono complementari. Da una parte è un gigante di intelletto, di profondità teologica, filosofica, liturgica, biblica… e dall’altra parte, grazie alla sua crescita in una famiglia normale e senza fronzoli in Baviera, è rimasto un uomo semplice con lo sguardo di un bambino evangelico. Due parti che rendono la personalità ancora più completa. E la sua discrezione è un modo per non sopraffare l’altro, anzi fa sempre lo sforzo di tirare fuori il bene che ha l’altro e il suo carattere affinché si crei una sintonia. Ecco l’arte di rapportasi con gli altri che Benedetto XVI mi ha insegnato.”

 

C’è una parola che meglio descrive Benedetto XVI?

 

“Non voglio racchiudere Papa Benedetto in una parola o una frase, perché sarebbe come tentare di racchiudere una intera città sotto una campana di vetro. Ma la parola che io ho sentito di più pronunciare da Papa Benedetto è: grazie! In continuazione. Lo aiutavamo a vestirsi per la messa, gli davamo la croce pettorale, e lui: grazie. Gli portavo il bastone: grazie! Gli toglievo il bastone: grazie! Una volta, quando ero Prelato di Anticamera, stavamo attendendo un ospite nella biblioteca, e mi permisi di fargli un complimento per una omelia che aveva appena fatto. Mi colpì molto il modo con cui lo ha accettato. Innanzi tutto lo ha accettato. E, con umiltà, ha abbassato gli occhi e mi ha detto: grazie! Dagli scritti di Benedetto XVI possiamo imparare tanto, perché è un grande maestro, ma non senza sceglierlo come modello di vita.”

 

L’articolo è pubblicato dal settimanale CREDERE n 38 

 

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