Gli Impressionisti, da Washington all’Ara Pacis

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Provenienenti dalla “National Gallery of Art” di Washington, dal 23 ottobre 2013 al 23 febbraio 2014 sono in mostra al Museo dell’Ara Pacis 68 splendidi dipinti dei maggiori pittori francesi tra ‘800 e ‘900. La raccolta di quadri degli impressionisti e dei post-impressionisti francesi è una tra le principali attrattive del Museo pubblico statunitense: le opere in visione sono esposte per la prima volta in Italia in seguito ad accordi di scambio tra i musei americani e i musei romani. Una occasione da non perdere per guardare dal vivo almeno un quadro di pittori fondamentali quali Van Gogh, Cezanne, Renoir, Monet, Redon e per godere di una visione che, nell’insieme, può suggerire agli appassionati della pittura più di una considerazione sulla grande svolta artistica di fine ‘800. In evidenza anche il mondo del grande collezionismo americano: in questo caso è Andrew Mellon, il magnate fondatore della raccolta che ha dato origine al museo, che incarna quell’intenso legame fra il mondo ricco e raffinato dell’alta borghesia americana e l’arte della vecchia Europa al principio del ‘900.

L’Italia è un paese in cui l’interesse per l’impressionismo francese è sempre stato molto elevato: la grandiosa presenza della pittura rinascimentale e barocca ha alimentato curiosità e desiderio di conoscenza anche verso la pittura della seconda metà dell’800: pittura cui hanno dato il loro contributo anche notevoli artisti italiani, ma così lontana dalle linee della figurazione classica e precorritrice delle suggestioni dell’avanguardia storica.

Storicamente, si fa iniziare lo stile impressionista in pittura il 15 giugno del 1874 con la mostra collettiva organizzata dalla Société anonyme des Artistes, Peintres, Sculpteurs, Graveurs al Boulevard de Capucines a Parigi. Vi parteciparono trenta artisti, tra cui Claude Monet, Edgar Degas, Pierre-Auguste Renoir, Camille Pissarro, Berthe Morisot, Eugène Boudin, Alfred Sisley e Giuseppe De Nittis che esposero centosessantacinque opere. L’allestimento dei dipinti fu realizzato nello studio del celebre fotografo Nadar e fu progettato da Renoir. Fino ad allora il termine impressionismo era stato usato in pittura soltanto per descrivere gli schizzi a disegno e i bozzetti cromatici preparatori del vero e proprio lavoro sul quadro. Si diffuse, in seguito, una accezione scientifica del termine: si alludeva al fatto che i pittori impressionisti – influenzati dagli scienziati positivisti – avevano preso ad usare il colore al di fuori delle regole classiche ed accademiche del disegno e del chiaroscuro. Cercavano di influire direttamente sulla percezione del colore per come si fissava sulla retina dell’osservatore e adottavano la distinzione dei colori tra primari (rosso, giallo e blu) e secondari (arancio, violetto,e verde) come tecnica per condizionare la visione e la percezione della luce. In breve tempo, superando ogni implicita accezione negativa di superficialità e di incompiutezza, il nome di impressionista diventò la chiave per comprendere una modalità del tutto nuova e moderna della pittura. In particolare si indicò con tale aggettivo la pittura “en plein air”, cioè l’esecuzione dei dipinti all’aperto, in modo rapido e suggestivo, invece che nel chiuso di uno studio e si indicava anche la capacità di cogliere con immediatezza soggettiva gli effetti di luce, la naturalezza dei colori, le variazioni  atmosferiche per come si mostravano all’occhio dell’artista nel repentino mutamento della realtà oggettiva e che si ritrovavano proiettati dentro il quadro.

La mostra dell’Ara Pacis illustra e documenta bene tutti questi passaggi. Il piacere del nuovo fare pittura è rivelato dalle cinque sezioni tematiche dedicate a La pittura “en plein air”, a Ritratti e autoritratti, a Donne amiche e modelle, a La natura morta e a Vuillard e Bonnard, l’eredità dell’Impressionismo che raccolgono bene le tipologie dei dipinti esposti.

Col tempo è divenuto evidente che, con l’Impressionismo, si è prodotta una profonda trasformazione nella prassi della pittura e un mutamento nel suo valore sociale e culturale: una trasformazione che sarebbe stata gradualmente accettata sia dalla critica che dal pubblico. Con l’Impressionismo, l’arte borghese ha trasformato sia il suo oggetto che il suo metodo. L’oggetto non è stato più dettato dall’arte classica, dalle sue coordinate filosofiche e religiose, e non è stato neanche più modellato dagli ideali del mondo storico e culturale dei secoli della Rinascenza. Adesso la pittura si muove tutta dentro la società borghese e si sofferma sulla percezione individuale della realtà da parte dell’artista: i dipinti raffigurano il suo mondo quotidiano, le cose e le persone della sua vita catturate nell’opera secondo una intuizione radicalmente soggettiva.

Questa percettività borghese e personale non era però priva di sfumature di natura sociale inerenti ai gusti del nuovo committente: il pubblico borghese dei collezionisti cui era indirizzata l’arte impressionista. La nuova pittura era condizionata dalle tecnologie della riproduzione delle immagini (fotografia, cinema) di cui si acquisiva e si anticipava la visualità. Proprio in quegli anni, ad esempio, il genere del ritratto subiva una profonda trasformazione dovuta non solo ai cambiamenti della società, ma anche al diffondersi delle nuove tecniche fotografiche. Il tema pittorico non è più “universale”, l’oggetto del ritratto non implica l’esaltazione o la celebrazione del personaggio, ma la raffigurazione dell’uomo e della donna così come sono davvero, così come vengono a mostrarsi nello sguardo dell’artista. La prima idea degli Impressionisti era infatti stata quella di togliere la barriera che separava l’atelier dalla vita comune e di far uscire il pittore dal suo guscio e dal suo chiostro per porlo in una relazione con il cielo e con gli uomini del mondo non più intermediata dalle forme della cultura accademica.

Nella foto: Pierre-Auguste Renoir, Ritratto di Claude Monet

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