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San Giovanni Paolo II nel ricordo della Chiesa

A 20 anni dalla morte, avvenuta la sera del 2 aprile 2005, la Chiesa ha ricordato, ieri, san Giovanni Paolo II: il papa che in un lunghissimo e denso pontificato ha traghettato l’universo cattolico nel terzo millennio ed ha cambiato il corso della storia, fino all’uscita dalla guerra fredda e dal mondo diviso in blocchi.
E’ stata ricordata con una cerimonia eucaristica officiata dal segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, che nell’omelia ha ricordato la sua testimonianza: “Questa celebrazione eucaristica avviene nella gratitudine e nella gioia, perché ci riunisce nella memoria benedetta della morte di un santo, Giovanni Paolo II… Innamorato di Gesù Cristo, san Giovanni Paolo II considerava il mistero dell’Incarnazione come il centro della storia universale”, tanto da esclamare, nella prima omelia del pontificato: Spalancate le porte a Cristo!… Solo Cristo sa che cosa è nell’uomo”.
Nell’omelia il card. Parolin ha rievocato “lo straordinario coraggio e la costanza della testimonianza di fede di Giovanni Paolo II, che non ha mai cercato di piacere agli uomini ma a Dio… Qui sta certamente uno dei fondamenti dello straordinario coraggio e della costanza della testimonianza di fede di Giovanni Paolo II davanti agli uomini, in ogni situazione, in tutta la sua vita e in tutta l’eccezionale durata del suo pontificato. Non ha mai cercato di piacere agli uomini, ma a Dio. Ha vissuto davanti ai Suoi occhi”.
Inoltre ha citato un passo del testamento: “La Divina Provvidenza mi ha salvato in modo miracoloso dalla morte. Colui che è unico Signore della vita e della morte, Lui stesso mi ha prolungato questa vita, in un certo modo me l’ha donata di nuovo. Da questo momento essa ancora di più appartiene a Lui. Spero che Egli mi aiuterà a riconoscere fino a quando devo continuare questo servizio, al quale mi ha chiamato. Gli chiedo di volermi richiamare quando Egli stesso vorrà. Nella vita e nella morte apparteniamo al Signore, siamo del Signore”.
Mentre ricollegandosi al Giubileo ha citato quello dell’anno 2000: “Non possiamo dimenticare quel grande passaggio della Porta Santa fra due millenni, come pure l’invito del Santo Papa al termine del grande Giubileo perché la barca della Chiesa riprendesse il largo con fiducia nel mare del terzo millennio. Ci ripeteva le parole di Gesù a Simon Pietro, ‘Duc in altum, prendi il largo e gettate le reti per la pesca’. E la risposta di Pietro, ‘Sulla tua parola getterò le reti’.
Le sue parole continuano a ispirarci e riecheggiano in quelle del suo successore Francesco anche oggi, anche in questo nuovo Giubileo. Esso ci vede Chiesa in uscita, navigatori in acque agitate, ma pur sempre pellegrini di speranza, alle sorgenti della misericordia e della grazia, guidati dal successore di Pietro e assistiti dallo Spirito Santo”.
Infine ha ricordato la venerazione dei fedeli: “Anche noi oggi, come gli innumerevoli pellegrini che venendo continuamente in questa Basilica domandano anche la sua intercessione presso l’altare dove riposa il suo corpo, ripetiamo ancora: Ci benedica, Santo Padre Giovanni Paolo II! Benedica questa Chiesa del Signore in cammino, perché sia pellegrina di speranza. Benedica questa umanità lacerata e disorientata, perché ritrovi la via della sua dignità e della sua altissima vocazione, perché conosca la ricchezza della misericordia, dell’amore di Dio!”
All’inizio della celebrazione eucaristica il card. Stanislaw Dziwisz, segretario personale del papa santo, ha ricordato san Giovanni Paolo II: “La Chiesa conserva il ricordo commosso di un Pontefice venuto da un Paese lontano, ma che dopo un lungo pontificato si è fatto vicino al cuore di milioni di fedeli di tutto il mondo. Crediamo che egli stesso ci guarda dall’alto, sostenendo tutta la Chiesa nel suo pellegrinaggio verso l’eternità. E siamo consapevoli di quanto frutto porti la sua santità. Il Santo Papa sta adesso alla finestra alla finestra della Casa del Padre. Ci vede e ci benedice”.
Ed ha pregato per la salute di papa Francesco: “Il nostro cuore si stringe al Santo Padre. Sappiamo che in questa ora si unisce spiritualmente con noi. Preghiamo per la sua salute. Che il Signore dia a lui la forza necessaria per guidare la Chiesa peregrina in questo anno giubilare all’insegna della speranza, in questi tempi difficili per la Chiesa e per il mondo”.
(Foto: Vatican Media)
Papa Francesco invita a nascere dall’alto

“Con questa catechesi iniziamo a contemplare alcuni incontri raccontati nei Vangeli, per comprendere il modo in cui Gesù dona speranza. In effetti, ci sono incontri che illuminano la vita e portano speranza. Può accadere, per esempio, che qualcuno ci aiuti a vedere da una prospettiva diversa una difficoltà o un problema che stiamo vivendo; oppure può succedere che qualcuno ci regali semplicemente una parola che non ci fa sentire soli nel dolore che stiamo attraversando. Ci possono essere a volte anche incontri silenziosi, in cui non si dice niente, eppure quei momenti ci aiutano a riprendere il cammino”: ancora dal Policlinico Gemelli, in via di ripresa, papa Francesco ha iniziato una nuova catechesi dell’Udienza generale, riguardanti gli incontri di Gesù.
Ed ha iniziato con l’incontro di Gesù con Nicodemo, narrato nel capitolo 3 del vangelo dell’apostolo Giovanni: “Comincio da questo episodio perché Nicodemo è un uomo che, con la sua storia, dimostra che è possibile uscire dal buio e trovare il coraggio di seguire Cristo. Nicodemo va da Gesù di notte: un orario insolito per un incontro.
Nel linguaggio di Giovanni, i riferimenti temporali hanno spesso un valore simbolico: qui la notte è probabilmente quella che c’è nel cuore di Nicodemo. E’ un uomo che si trova nel buio dei dubbi, in quell’oscurità che viviamo quando non capiamo più quello che sta avvenendo nella nostra vita e non vediamo bene la strada da seguire”.
Tale incontro è fondamentale nel vangelo giovanneo, che basa il suo racconto sulla ricerca della luce, anche se non comprende le parole di Gesù: “Nicodemo cerca dunque Gesù perché ha intuito che Lui può illuminare il buio del suo cuore. Tuttavia, il Vangelo ci racconta che Nicodemo non riesce a comprendere subito ciò che Gesù gli dice. E così vediamo che ci sono tanti fraintendimenti in questo dialogo, e anche tanta ironia, che è una caratteristica dell’evangelista Giovanni”.
Non le comprende, perché non riesce ad ‘uscire’ dai suoi pensieri: “Nicodemo non capisce quello che Gesù gli dice perché continua a pensare con la sua logica e le sue categorie. È un uomo con una personalità ben definita, ha un ruolo pubblico, è uno dei capi dei giudei. Ma probabilmente i conti non gli tornano più. Nicodemo sente che qualcosa non funziona più nella sua vita. Avverte il bisogno di cambiare, ma non sa da dove cominciare”.
Questo processo capita a tutti: “Se non accettiamo di cambiare, se ci chiudiamo nella nostra rigidità, nelle abitudini o nei nostri modi di pensare, rischiamo di morire. La vita sta nella capacità di cambiare per trovare un modo nuovo di amare. Gesù parla infatti a Nicodemo di una nuova nascita, che è non solo possibile, ma addirittura necessaria in alcuni momenti del nostro cammino”.
Il cambiamento inizia nel momento in cui Nicodemo capisce il significato della Parola di Gesù: “A dire il vero, l’espressione usata nel testo è già di per sé ambivalente, perché anōthen (ἄνωθεν) può essere tradotto sia ‘dall’alto’ sia ‘di nuovo’. Piano piano, Nicodemo capirà che questi due significati stanno insieme: se lasciamo che lo Spirito Santo generi in noi una vita nuova, nasceremo un’altra volta. Ritroveremo quella vita, che forse in noi si stava spegnendo”.
Ecco il motivo per cui il papa ha scelto questa figura: “Nicodemo ce la farà: alla fine egli sarà tra coloro che vanno da Pilato per chiedere il corpo di Gesù! Nicodemo è finalmente venuto alla luce, è rinato, e non ha più bisogno di stare nella notte”.
E’ un invito a non farsi spaventare dai cambiamenti: “Da una parte ci attraggono, a volte li desideriamo, ma dall’altra preferiremmo rimanere nelle nostre comodità. Per questo lo Spirito ci incoraggia ad affrontare queste paure. Gesù ricorda a Nicodemo (che è un maestro in Israele) che anche gli israeliti ebbero paura mentre camminavano nel deserto… Solo guardando in faccia quello che ci fa paura, possiamo cominciare a essere liberati”.
Quindi la libertà arriva attraverso il Crocifisso, che permette di rinascere: “Nicodemo, come tutti noi, potrà guardare il Crocifisso, Colui che ha sconfitto la morte, la radice di tutte le nostre paure. Alziamo anche noi lo sguardo verso Colui che hanno trafitto, lasciamoci anche noi incontrare da Gesù. In Lui troviamo la speranza per affrontare i cambiamenti della nostra vita e nascere di nuovo”.
Inoltre in questo giorno il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, ha inviato un messaggio al papa in occasione del 12^ anniversario dell’inizio del pontificato: “A tale riguardo, desidero richiamare gli spunti inediti di riflessione che il Suo alto Magistero ha posto al centro del dibattito in seno a importanti consessi multilaterali: alla Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, al Vertice G7 presieduto dall’Italia, al G20, Vostra Santità ha portato un vibrante richiamo alla riscoperta della speranza, all’accantonamento di logiche di forza e di prevaricazione, a quelle istanze di rinnovamento dischiuse da un uso etico delle nuove tecnologie. Mentre al livello internazionale sembrano affievolirsi le ragioni del Diritto e di una corretta articolazione della convivenza tra gli Stati, la Sua voce è e resta più che mai necessaria”.
Ed ha ricordato il gesto dell’apertura della Porta santa in un carcere: “L’apertura della Porta Santa presso il carcere romano di Rebibbia all’inizio dell’anno giubilare, nonché la decisione di innalzare nei prossimi mesi agli onori degli altari Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati (figure molto amate, anche dalle giovani generazioni) ispirano nei miei concittadini viva gratitudine nei confronti del Vescovo di Roma, di cui tutti avvertiamo la particolare sollecitudine per l’Italia”.
Papa Francesco: dal popolo mongolo un invito a guardare verso l’alto

Al termine dell’udienza generale odierna, salutando i fedeli di lingua inglese, papa Francesco ha pregato per le 74 vittime dell’incendio divampato la scorsa settimana in un palazzo nel centro di Johannesburg, in Sudafrica: “Con vivo dolore ho appreso dell’incendio scoppiato in un edificio di cinque piani scoppiato a Johannesburg in cui sono morte più di 70 persone tra cui diversi bambini. Vi invito a unirvi a me nella preghiera per le vittime. Ai familiari esprimo il mio cordoglio e invio una speciale benedizione per loro e a quanti si stanno prodigando per fornire assistenza e supporto”.
E, come di consueto dopo ogni viaggio pastorale, papa Francesco ha raccontato le motivazioni del suo viaggio apostolico in Mongolia, ringraziando per l’accoglienza: “Lunedì sono rientrato dalla Mongolia. Vorrei esprimere riconoscenza a quanti hanno accompagnato la mia visita con la preghiera e rinnovare la gratitudine alle Autorità, che mi hanno solennemente accolto: in particolare al Signor Presidente Khürelsükh,e anche all’ex Presidente Enkhbayar, che mi aveva consegnato l’invito ufficiale a visitare il Paese. Ripenso con gioia alla Chiesa locale e al popolo mongolo: un popolo nobile e saggio, che mi ha dimostrato tanta cordialità e affetto. Oggi mi piacerebbe portarvi al cuore di questo viaggio”.
Ed ecco il motivo per cui il papa è andato nel Paese al centro dell’Asia: “Perché è proprio lì, lontano dai riflettori, che spesso si trovano i segni della presenza di Dio, il quale non guarda alle apparenze, ma al cuore come abbiamo sentito nel brano del profeta Samuele. Il Signore non cerca il centro del palcoscenico, ma il cuore semplice di chi lo desidera e lo ama senza apparire, senza voler svettare sugli altri. E io ho avuto la grazia di incontrare in Mongolia una Chiesa umile ma una Chiesa lieta, che è nel cuore di Dio, e posso testimoniarvi la loro gioia nel trovarsi per alcuni giorni anche al centro della Chiesa”.
Ha raccontato la storia di una Chiesa missionaria, che è testimone di Gesù: “Quella comunità ha una storia toccante. E’ sorta, per grazia di Dio, dallo zelo apostolico (su cui stiamo riflettendo in questo tempo), di alcuni missionari che, appassionati del Vangelo, circa trent’anni fa sono andati in quel Paese che non conoscevano. Ne hanno imparato la lingua (che non è facile) e, pur venendo da nazioni diverse, hanno dato vita a una comunità unita e veramente cattolica”.
Proprio in Mongolia si può capire il significato della parola ‘cattolico’: “Questo infatti è il senso della parola ‘cattolico’, che significa ‘universale’. Ma non si tratta di un’universalità che omologa, bensì di un’universalità che s’incultura, è una universalità che si incultura. Questa è la cattolicità: un’universalità incarnata, ‘inculturata’ che coglie il bene lì dove vive e serve la gente con cui vive. Ecco come vive la Chiesa: testimoniando l’amore di Gesù con mitezza, con la vita prima che con le parole, felice delle sue vere ricchezze: il servizio del Signore e dei fratelli”.
Inoltre ha constatato che in Mongolia la Chiesa è nata nel solco delle opere di carità: “A compimento della mia visita ho avuto la gioia di benedire e inaugurare la ‘Casa della misericordia’, prima opera caritativa sorta in Mongolia come espressione di tutte le componenti della Chiesa locale. Una casa che è il biglietto da visita di quei cristiani, ma che richiama ogni nostra comunità a essere casa della misericordia: cioè luogo aperto, luogo accogliente, dove le miserie di ciascuno possano entrare senza vergogna a contatto con la misericordia di Dio che rialza e risana”.
Questa è testimonianza: “Ecco la testimonianza della Chiesa mongola, con missionari di vari Paesi che si sentono un’unica cosa con il popolo, lieti di servirlo e di scoprire le bellezze che già vi sono. Perché questi missionari non sono andati lì a fare proselitismo, questo non è evangelico, sono andati lì a vivere come il popolo mongolo, a parlare la loro lingua, la lingua di quella gente, a prendere i valori di quel popolo e predicare il Vangelo in stile mongolo, con le parole mongole. Sono andati e si sono ‘inculturati’: hanno preso la cultura mongola per annunciare in quella cultura il Vangelo”.
Eppoi ha apprezzato la ‘ricerca’ religiosa di quel popolo: “La Mongolia ha una grande tradizione buddista, con tante persone che nel silenzio vivono la loro religiosità in modo sincero e radicale, attraverso l’altruismo e la lotta alle proprie passioni. Pensiamo a quanti semi di bene, nel nascondimento, fanno germogliare il giardino del mondo, mentre abitualmente sentiamo parlare solo del rumore degli alberi che cadono!.. E per questo è importante, come fa il popolo mongolo, orientare lo sguardo verso l’alto, verso la luce del bene. Solo in questo modo, a partire dal riconoscimento del bene, si costruisce l’avvenire comune; solo valorizzando l’altro lo si aiuta a migliorare”.
Ha concluso l’udienza generale con l’invito ad ‘allargare’ lo sguardo: “Mi ha fatto bene incontrare il popolo mongolo, che custodisce le radici e le tradizioni, rispetta gli anziani e vive in armonia con l’ambiente: è un popolo che scruta il cielo e sente il respiro del creato. Pensando alle distese sconfinate e silenziose della Mongolia, lasciamoci stimolare dal bisogno di allargare i confini del nostro sguardo, per favore: allargare i confini, guardare largo e alto, guardare e non cadere prigionieri delle piccolezze, allargare i confini del nostro sguardo, perché veda il bene che c’è negli altri e sia capace di dilatare i propri orizzonti e anche dilatare il proprio cuore per capire, per essere vicino a ogni persona e a ogni civiltà”.
(Foto: Santa Sede)
Papa Francesco: saremo giudicati dalla misericordia

Al termine della celebrazione eucaristica nella basilica di san Pietro per i cardinali ed i vescovi defunti in quest’anno, papa Francesco si è recato al Campo Santo Teutonico per un momento di preghiera, come ha confermato Matteo Bruni, direttore della Sala Stampa della Santa Sede: “Il Papa si è fermato in preghiera silenziosa, dopo aver benedetto con l’aspersorio le tombe lì custodite. Subito dopo ha fatto rientro presso Casa Santa Marta”.
Papa Francesco invita a rinascere dall’alto

Papa Francesco, continuando il ciclo di catechesi sulla vecchiaia, ha incentrato la riflessione sulla rinascita prendendo spunto dall’incontro di Nicodemo con Gesù: “Tra le figure di anziani più rilevanti nei Vangeli c’è Nicodemo, uno dei capi dei Giudei, il quale, volendo conoscere Gesù, ma di nascosto andò da lui di notte. Nel colloquio di Gesù con Nicodemo emerge il cuore della rivelazione di Gesù e della sua missione redentrice”.