Attesa di speranza

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In Avvento s’accende sempre più intenso lo splendore della speranza, la virtù che illumina l’uomo e lo dispone a superarla nel suo compimento dell’eternità. La Redenzione è avvenuta perché il Verbo si è incarnato nel tempo e nella storia assumendoli in sé e orientandoli verso la pienezza escatologica. La trascendenza non fa uscire la Chiesa dal mondo, dalle vicende storiche, dalle esigenze culturali. Come pellegrina, non identificata col mondo, cammina, oltre il tempo, verso il Regno eterno.
La spiritualità dell’Avvento non è attesa di vuota speranza ma vigilanza operosa, costanza fiduciosa, tensione gioiosa, desiderio orante, possesso d’amore.

Vigilanza operosa che ci dà capacità di “andare incontro con le buone opere a Cristo che viene” e “che verrà di nuovo nello splendore della gloria, quando ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora osiamo sperare vigilanti nell’attesa” (Prefazio I d’Avvento). Speranza cristiana non è attesa inerte di una futura ricompensa ma operosità della vita in Cristo, non è solo desiderio di possedere beni futuri ma autenticità di vita che mette il credente in confronto col suo tempo come segno di Cristo, operatore di pace, costruttore di carità, laborioso nel suo impegno, responsabile e attento ai segni dei tempi accolti e vissuti nel presente (Cf GS 39).

Costanza fiduciosa. San Giacomo ci esorta a essere fiduciosi nel costante esercizio della pazienza: “Siate dunque costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina” (Gc 5, 7-8). La costanza cristiana non è pazienza di rassegnazione forzata ma abbandono fiducioso e pieno alla Parola del Signore che si misura sui “tempi di Dio”. San Cipriano afferma che “il fatto di essere cristiani è questione di fede e di speranza; ma perché la speranza e la fede possano arrivare a portare frutto, è necessaria la pazienza…L’attesa e la pazienza sono necessarie perché portiamo a compimento quello che abbiamo cominciato a essere e raggiungiamo quello che speriamo e crediamo perché Dio ce lo rivela” (Liturgia delle Ore, vol. 1°, pag. 185). L’attesa della parusia sarà l’ultimo motivo della pazienza cristiana. San Paolo ce lo descrive magnificamente così :”Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il Regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza” (1Cor 15, 22-24).

Tensione gioiosa. E’ la qualità che dà stile alla personalità del cristiano che si mostra costantemente disteso, libero, semplice, affabile. “O Signore – pregava S. Teresa d’Avila – liberami dalle sciocche devozioni dei santi dalla faccia triste!”. La gioia è il primo frutto della speranza, essa si colloca nella sfera della salvezza, nell’amorosa ricerca di Dio, nella certezza di possederlo, nella sicurezza di goderlo pienamente ed eternamente. Tutta la Liturgia d’Avvento è intessuta di gioiosa speranza e tensione d’attesa: “Gioisci, figlia di Sion, esulta, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re” (Zac 9,9). La tensione non è atteggiamento nevrotico causato dal limite del vuoto interiore. La tensione d’attesa è amore impaziente che cerca amore vero e profondo, pieno e definitivo, perciò stimola e rinnova donando perenne giovinezza dello spirito. Tensione è attenzione. L’Avvento ha un imperativo divino: “State pronti!”. E’ questo il culmine del “discorso escatologico” (Mt 24, 37-44). Tensione è attesa del ritorno finale del Signore per essere pronti ad accoglierlo, responsabili e consapevoli, con la lampada della vigilanza sempre accesa: “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Mt 25, 13).

Desiderio orante che spinge l’uomo, cosciente della propria fragilità, a cercare Dio e a ricorrere a Lui con amore fiducioso. Sant’Anselmo nel suo Proslogion ci offre una pagina di intensa spiritualità: “Orsù, misero mortale, fuggi via per breve tempo dalle tue occupazioni; lascia per un po’ i tuoi pensieri tumultuosi. Allontana in questo momento i gravi affanni e metti da parte le tue faticose attività. Attendi un poco a Dio e riposa in lui”. Il santo Vescovo esorta poi a entrare nell’intimo dell’anima, nella profondità del proprio cuore, lì dove avverrà l’attesa visione del volto di Dio. Il desiderio ardente d’intima comunione, diventa intensa orazione: “Guarda, o Signore, esaudiscici, illuminaci, mostrati a noi. Ridonati a noi perché ne abbiamo bene, senza di te stiamo tanto male. Abbi pietà delle nostre fatiche, dei nostri sforzi verso di te, non valiamo nulla senza di te. Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: non posso cercarti se tu non m’insegni, né trovarti se non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti, che io ti trovi amandoti e ti ami trovandoti” (Liturgia delle Ore, 1 vol. pag. 178). Il credere comporta sempre ricerca e contemplazione dell’Amato che viene, appoggiandosi su di lui con fiducia assoluta. Il sospiro orante dell’Avvento ci fa invocare: Vieni! L’ansia d’attesa diventa desiderio orante. Nel commento al Salmo 37, 13-14, sant’ Agostino così si esprime: “Se il tuo desiderio è davanti a lui, il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà. Il tuo desiderio è la tua preghiera: se è continuo il tuo desiderio, è continua la tua preghiera” Poi il Santo specifica che c’è un’altra preghiera quella interiore del desiderio e scrive: “Se non vuoi interrompere di pregare, non cessare di desiderare. Il tuo desiderio è continuo, continua è la tua voce. Tacerai se smetterai d’amare… La freddezza dell’amore è il silenzio del cuore, l’ardore dell’amore è il grido del cuore. Se resta sempre vivo l’amore, tu gridi sempre; se gridi sempre, desideri sempre; se desideri, hai il pensiero volto alla pace” (Liturgia delle Ore, vol. 1, pag. 288).

Possesso d’Amore. Il desiderio della venuta di Cristo genera amore che brama la presenza dell’Amato che ci ha amati per primo. L’abate di Saint-Thierrj, Guglielmo, nel trattato La contemplazione di Dio, ci offre una pagina di raffinata mistica: “Proprio così: ci hai amato per primo, perché noi ti amassimo; non che tu avessi bisogno del nostro amore, ma perché noi non potevamo essere ciò per cui ci hai creati se non amandoti. Il tuo parlare per mezzo del Figlio altro non fu che manifestare chiaramente quanto e come ci hai amati… Hai voluto dunque che ti amassimo noi che non potevamo essere salvati con giustizia, se non ti avessimo amato, né potevamo amarti, se non ne avessimo avuto il dono da te. Veramente; Signore, come dice l’Apostolo del tuo amore e noi stessi abbiamo detto, tu per primo ci hai amato e per primo tu ami tutti coloro che ti amano. Ma noi ti amiamo con l’affetto d’amore che tu ci hai infuso” (Liturgia delle Ore, 1 vol. pag. 258).

Amore è insieme desiderio e possesso. Lo Spirito, Amore del Padre e del Figlio, comunica identico amore allo spirito dell’uomo assetato d’amore. La creatura umana unita a Dio, immersa in questo vortice d’Amore trinitario, diventa “come Dio”. E’ la promessa di Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14, 23). L’amore di cui Gesù parla non è pura esperienza sentimentale ma obbedienza di fede, osservanza di comandamenti, accoglienza della sua parola che diventa stile di vita del credente.

L’amore, allora, realizzando il possesso, riassorbe in sé la speranza e, sin dal presente, fa vivere l’uomo in comunione col Padre, per il Figlio, nello Spirito.

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