La cordialità come forma d’intelligenza
Ci sono parole molto semplici che hanno, però, un valore grandissimo soprattutto quando sono pronunciate con convinzione, senza gentile fariseismo o pura formalità, perché sono parole che sgorgano dal cuore. Una di queste parole è “grazie”: espressione comunissima di chi riconosce un dono ricevuto e sa apprezzarlo. Questa parola breve ma elegante e densa di significato, è capace di pronunciarla soltanto chi possiede quella spiccata sensibilità che non solo fa accogliere il dono ricevuto, ma, innanzitutto, sa vedere in quel dono la persona che lo offre e si comunica attraverso di esso. Nella società dell’avere e del ricevere, è difficile dire “grazie” o agire gratuitamente nella libertà di cuore. Si pretende, si esige, s’impone; talvolta si ferisce, si schernisce, addirittura si annulla come se tutto fosse dovuto, senza riconoscere né meriti né sacrifici. E’ chiaro che ogni lavoro ecclesiale abbia come fine la gloria di Dio e l’edificazione del suo popolo. Il grazie detto a Dio con cuore riconoscente ci dispone ad accogliere la grazia della salvezza, la sola di cui abbiamo veramente bisogno.
Tuttavia, la vera carità ci insegna che a ogni gesto di stima e di affetto devono sempre fare da contrappunto la riconoscenza e la gratitudine. Gesti che, oltre a onorare un profondo senso di giustizia, servono a edificare gli uni gli altri e a incoraggiare il lavoro e il dono sincero di sé, anche in situazioni complesse e faticose. Ritengo che la virtù più difficile da vivere non sia tanto la carità in senso astratto e generico, quanto le manifestazioni della stessa carità che sono la cordialità, l’amabilità, la gratitudine, la cortesia, la gentilezza, espressioni reali e concrete del vero amore che è rispetto sacrosanto e assoluto per ogni persona. Talvolta, però, non mi so spiegare perché in certi ambienti, soprattutto quelli caratterizzati da una sorta di regime farisaico, manchi questa rara forma di eleganza evangelica che fa vivere in armonia con quanti incontriamo, per così dire, sotto forma di cordialità. Camminando, ti incontri con volti seriosi e distanti, scostanti e inespressivi, che non ti guardano o, se ti guardano, fingono di non vederti.
Questi atteggiamenti fanno pensare ad altra tipologia di creatura umana che non è, certo, quella della Genesi plasmata a “immagine e somiglianza” del Creatore! Intanto, con quale sguardo incontriamo il volto di chi soffre, di chi è stato emarginato, del perseguitato, del calunniato, di chi si trova in qualsiasi tipo di bisogno? Lo stile con cui Cristo incontrava le persone dovrebbe essere esempio tipico per i veri credenti. Siamo convinti che i gesti di cordialità siano segni che doniamo, prima di tutto, a noi stessi e poi agli altri. La cordialità, quella sincera che sgorga dal volto del cuore, è la manifestazione più civile del nostro rapporto con il prossimo: essa, in certo senso, è la forma d’intelligenza più raffinata e, diciamolo pure, più evangelica.
E’ una regola di carattere universale, una sorta di “regola morale” che tutti i popoli dovrebbero rispettare proprio perché essa è radicata nella natura dell’uomo. E’ la “virtù” che più facilita il rapporto di armonia, di serenità e di pace con gli altri. Si dialoga volentieri, infatti, con chi ci mostra un volto sorridente e sincero, benevolo e “attraente” che manifesta serenità di spirito e verità di cuore. Ricordo un commento originale che Angelo Mundula scrisse sulla terza pagina de “L’Osservatore Romano”.
Lo scrittore, nel presentare il libro Elogio della cortesia di Giovanna Axia, fece, tra le altre, questa osservazione: “Naturalmente, nessuno ci impone di essere cortesi. Non esistono regole che ci obbligano a esserlo, se non il nostro codice interiore. E bisogna anche aggiungere che la società non fa davvero molto per esaltare questa grande dote dell’animo che, spesso, è innata e, talvolta, è il risultato di una lunga e severa educazione spirituale. E’ facile costatare, infatti, che la cortesia si accompagna, quando non ne è lo specchio, a tant’altre virtù similari quali la bontà, la generosità, la disponibilità, il rispetto del prossimo, se non proprio quell’amore del prossimo che è sempre più raro, ma non per questo meno vincolante, soprattutto per un cristiano”.
Certo, la cordialità non ha regole, ma è una delle forme più raffinate che scaturisce dall’intelligenza, e siamo pienamente convinti che, nella storia degli uomini, dettano le regole soltanto coloro che la fanno essere sempre più umana e civile, elegante e accogliente.