Concordia e Pace
Concordia, dal latino concordia, concors ordis, designa conformità di sentimenti, di voleri, di opinioni fra due o più persone, non disgiunta da reciproco affetto o armonia spirituale. Gradiamo anche la derivazione da cum cordis, cioè, armonia di cuori che è il distintivo caratteristico dei poveri in spirito, dei miti, dei costruttori di pace.
Orazio, in Epistole I,12,19, scrive un verso che suona così: quid velit et possit rerum concordia discors (quale sia il significato e il potere dell’armonia discorde delle cose). Il poeta si riferisce alle teorie di Empedocle che concepiva l’universo come perpetua lotta fra due principi contrari: Amore e Discordia. L’espressione, ormai, è usata per significare un’armonia che risulta da una positiva diversità di pareri, d’idee o di sentimenti; armonia che non elimina le differenze, omologando tutto e rendendo tutti uguali, ma polifonia delle differenze che, alimentate dalla concordia, costruisce la civiltà dell’amore.
Per i suoi discepoli, Cristo chiede ed esige che si realizzi l’unità dell’essere “una cosa sola”, indispensabile perché il mondo creda. La prima comunità cristiana, nata dal cuore della Pentecoste, viveva con convinzione ed entusiasmo il comandamento nuovo, per questo era una comunità vera, spirituale e, perciò, credibile. Il segno caratteristico del loro stile di vita sgorgava dalla comunione tra di loro, infatti: “La moltitudine di quelli che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola” (Atti 4,32). Il “sacramento” della concordia era meraviglia allo sguardo e stimolo alla volontà per quanti volevano abbracciare la fede.
San Paolo, quando parla dei carismi che abbondano nella comunità di Corinto, mostrando che la loro diversità non dev’essere causa di discorde divisione, fa il paragone con il corpo umano e scrive: “Come il corpo è uno e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un solo corpo, così anche Cristo; poiché tutti… siamo stati battezzati formando un solo corpo, e tutti siamo stati abbeverati in un unico Spirito” (1Cor 12,12.13). Nasce così la splendida metafora della Chiesa come “Corpo di Cristo”. A Paolo, folgorato sulla via di Damasco, Gesù dice: “Io sono quel Gesù che tu perseguiti”. Sant’Agostino, con concisa chiarezza commenta: unus Christus et multi Christi. Le parole di Gesù affermano la sua identità con i cristiani, sia con ciascuna persona, sia con tutta la comunità, per cui ogni divisione all’interno della Chiesa diventa lacerazione del Corpo di Cristo.
Se la concordia costruisce unità, l’unità nella concordia fa fiorire la pace.
Nell’Antico Testamento, la parola sàlòm, dalla radice ebraica designa il fatto di essere “intatto”, “completo”. Nonostante le varie sfumature di significati, alla base della parola vi è sempre il concetto di benevolenza, benessere e prosperità; nell’esistenza quotidiana indica lo stato dell’uomo che vive in armonia con Dio, con se stesso e con la natura.
La pace è concordia di vita fraterna: Il familiare, l’amico, il compagno di lavoro… è la “persona della mia pace”. La pace, come la vita, è dono di Dio e frutto della sua benedizione. Se hai la pace, il Signore è con te perché è lui che la crea e che la offre (Is 45,7). Tutti i profeti annunziano che Dio, Principe di pace, ha sempre per il suo popolo “piani di pace e non di sventura” (Ger 29,11). Il Libro della Sapienza contempla che “le anime dei giusti sono nelle mani di Dio… Agli occhi degli insensati essi sembrano morti… ma sono nella pace” (3,1-3). Isaia sogna un “principe della pace” (9,5) che concederà “pace senza fine”, che “la natura si sottometterà all’uomo e le nazioni vivranno in pace” (2,2).
Il vangelo di pace è realizzato dal Messia, il Re pacifico, che col suo sacrificio annunzia qual’è il prezzo della vera pace. Alla sua nascita gli angeli evangelizzano la grande gioia che “è nato il salvatore” e cantano: “Gloria nei cieli e pace sulla terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,10-14).
Cristo Risorto, a ogni incontro pasquale, dona la pace che suscita gioia in chi la riceve. “Pace a voi” non è semplice saluto, non è augurio a vuoto ma proclamazione e offerta del bene sommo che è la pace messianica. Quando la tristezza invade i discepoli che stanno per essere separati dal Maestro, Gesù li assicura: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14,27). La pace, quindi, è “giustificazione” operata da Dio nella “riconciliazione” degli uomini con sé.
San Paolo, a proposito del buon ordine che deve regnare nelle adunanze cristiane, afferma che “Dio non è il Dio del disordine ma della pace” (1Cor 14,33). “Egli è, infatti, la nostra pace” (Ef 2,14). “Egli è colui che opera (realizza) pace”. Pace complessiva con Dio e tra gli uomini nell’universale riconciliazione (Rm 5,10). L’apostolo è convinto che il messaggio cristiano è “il vangelo della pace” (Ef 6,15). Tale ministero è affidato da Dio ai discepoli di Cristo (cf. 2Cor 5,18-19) i quali irradieranno sino ai confini del mondo la pax israelitica che sul piano religioso è la trasformazione della pax romana (cf Atti 7,26; 9,31; 15,23). Tale ministero è vissuto nella “sollecitudine di conservare l’unità dello Spirito nel vincolo della pace” (Ef 4,37). La Chiesa, come comunità di “operatori di pace” (Mt 5,9), è il luogo, il segno, la sorgente della vera pace fra i popoli di ogni razza e di ogni luogo, quella pace visibile e tangibile nei segni del perdono, dell’accoglienza e della solidarietà.
Quest’ideale, purtroppo, si può corrompere presto perché le potenze politiche o economiche cercano di procurarsi la pace, non come frutto di giustizia divina, ma mediante alleanze spesso empie. In pieno stato di peccato, esse osano proclamare una pace duratura. Il profeta Geremia, in nome di Dio, accusando i falsi profeti, grida: “Essi guariscono superficialmente la piaga del mio popolo dicendo: Pace! Pace! Mentre pace non c’è” (Ger 6,14).
La pace si ricerca attraverso il laborioso, faticoso e fecondo dialogo del pluralismo e del confronto, dove regnano intatti i valori dell’accoglienza e del rispetto della persona, nonostante le diversità di opinioni e di scelte.
L‘8 dicembre 1967, Paolo VI, annunziando l’annuale giornata della Pace, diceva: “La pace non è pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita ma proclama i più alti e universali valori della vita: la verità, la giustizia, la libertà, l’amore”.
L’uomo ottiene questo prezioso dono divino mediante la preghiera fiduciosa che fa invocare: Da pacem, Domine. La pace ottenuta, però, non è bene intimistico ma tramite d’integrale concordia (cf Col 2,12-15). Non possiamo, perciò, essere soltanto fruitori del dono ma, attraverso il dono, essere anche promotori e operatori di quella pace che ci rende beati figli di Dio: Beati pacifici, filii Dei vocabuntur.
Il pacifico è colui che evita conflitti con gli altri, vince la gelosia, l’invidia e il gusto della contesa. Il pacifico cerca la pace convertendo se stesso e impegnandosi attivamente a stabilirla là dove ci sono divisioni. San Giacomo scrive che “la sapienza dall’alto è innanzitutto pura, poi pacifica (eireniké)” (cf Gc 3,13-18). La vera sapienza, quindi, è pacifica, produce frutti di giustizia per chi compie opere di pace. La falsa sapienza, invece, è incline alla contesa, provoca disordine, aizza alla guerra. Coloro che operano per la pace non sono semplicemente persone che amano vivere in pace con se stessi e con tutti, essi sono veri e propri operatori di pace. Il Vangelo insegna che esiste un’intima relazione tra opera pacificatrice e filiazione divina. Dio, nel suo regno escatologico, chiamerà gli artefici di pace “suoi figli”, così come consolerà gli afflitti, sazierà gli assetati di giustizia, farà misericordia ai misericordiosi. È chiaro che l’essere “figli di Dio” non è un semplice titolo, il nome nuovo esprimerà la nuova realtà. Gli operatori di pace, ricevendo il nome nuovo di figli di Dio, diventeranno ciò che esso significa ed entreranno in possesso dei privilegi annessi a tale nome e a tale qualità.
Può esserci titolo più alto di questo? Chi non è capace di operare pace, può avere tutti i titoli di qualsiasi regno, ma non avrà mai quello regale del Regno di Dio.