Dal Mistero al ministero
L’arte liturgica è, e non può non essere se non “teologia estetica”.
Nella divina Liturgia l’uomo cerca l’epifania, l’apparire luminoso di Dio; soltanto in questa prospettiva si possono comprendere sia il valore culturale sia la dimensione estetica del canto e della musica a servizio della celebrazione liturgica.
Pio X, nel suo Motu proprio “Tra le sollecitudini” del 22 novembre 1903, parlava della musica sacra come “umile ancella” della Liturgia. Pio XI, nella costituzione apostolica “Divini cultus sanctitatem” del 20 dicembre 1928, la definiva “serva nobilissima”. Pio XII, nell’enciclica “Musicae Sacrae disciplina” del 25 dicembre 1955, la chiamava “sacrae liturgiae quasi administra”. Queste definizioni già prefigurano la nobilitazione ministeriale del concilio ecumenico Vaticano II che parla di munus ministeriale in dominico servitio. Da san Pio X alla Sacrosanctum Concilium c’è tutto un crescendo istruttivo che esalta progressivamente l’esplosione del tema in tutta la sua “sinfonicità”.
Documenti pontifici e Costituzione conciliare affermano che il munus ministeriale del canto e della musica per la Liturgia si concretizza in un molteplice servizio: alla Parola di Dio, ai Riti, ai Ministri della celebrazione, alla declinazione sonora nell’articolazione celebrativa dell’anno liturgico, all’interno di una determinata cultura.
– Alla Parola di Dio
“La Chiesa – afferma la Dei Verbum – ha sempre venerato le divine Scritture come lo stesso Corpo del Signore, non tralasciando mai, massimamente nella santa Liturgia, di prendere e di porgere ai fedeli il Pane della vita dalla mensa così della Parola di Dio come del Corpo di Cristo” (DV 21).
“La santa Scrittura – scrive C. Valenziano – è il luogo in cui si trovano le divine proclamazioni e salmodie della celebrazione liturgica (liturgia verbi); il soffio di respiro, la connaturalità nell’eccedenza, per i testi composti da noi uomini e destinati alla celebrazione liturgica (praeces); il senso referenziale dei gesti e dei simboli con i quali si svolge la celebrazione liturgica (ritus)” (La Riforma del Concilio. Cronaca teologia arte, EDB, Bologna 2004, p. 98).
Il munus ministeriale raggiunge, pertanto, il suo vertice quando la bellezza sonora traduce e interpreta la Parola. La musica, penetrando l’arcano significato del Testo santo, lo esprime, lo esalta, lo potenzia e lo innalza.
– Ai Riti
Essi costituiscono la forma esteriore più evidente della comunicazione salvifica tra Dio e l’uomo. Nella Liturgia, afferma il Concilio, per mezzo di segni sensibili viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell’uomo e viene esercitato… il culto pubblico integrale (SC 7).
Il Rito è il punto d’incontro tra il divino e l’umano. La bellezza musicale è a servizio della verità rituale. Tra musica e rito vi è una tale simbiosi, antichissima, che non è pensabile un rito che non comporti un fatto musicale, e una musica che non sia connessa al rito: a ogni funzione rituale, quindi, deve corrispondere una forma musicale adeguata.
– Ai ministri della celebrazione
L’ordinamento autentico della celebrazione liturgica presuppone la debita divisione e l’esecuzione degli uffici, per cui “ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio, compia solo e tutto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza” (SC, 28). Non ha senso, infatti, in un rito che pretende di fare celebrare tutti e ciascuno a suo modo, non far cantare tutti e ciascuno a suo modo nell’assemblea.
Quest’articolata partecipazione non va pensata in termini concertistici di divisione tra esecutori e pubblico, ma come esercizio ministeriale di comunione e come manifestazione della natura gerarchica e comunitaria di comunione ecclesiale.
– Alla declinazione sonora nell’articolazione celebrativa dell’anno liturgico.
L’anno liturgico, radicato nel Mistero di Cristo-tempo, è la storia della salvezza che si fa presente ed è il Mistero di Cristo “rivissuto” dall’assemblea che celebra nel fluire del tempo. Il Verbo di Dio, con la sua incarnazione, si è “inscritto”, non in un tempo astratto o mitico, ma nel tempo della storia dell’uomo, facendone un tempo di reale e attuale storia di salvezza.
L’anno liturgico costituisce uno dei “sacramentali” privilegiati della presenza di Cristo ed è il luogo delle epifanie del suo essere-restare con noi sino alla consumazione del tempo.
Canti e musiche sono, pertanto, intimamente legati all’hodie liturgicus che celebra il Mistero che si attualizza ritualmente per anni circulum.
– All’interno di una determinata cultura
La celebrazione dell’Agape racchiude tutte le creature in uno splendido cerchio d’amore che consiste nell’unire e nell’accordare uomini d’ogni razza, lingua e cultura in un’armoniosa e perenne Pentecoste in cui lo Spirito, pur nella “diversità delle lingue”, dà a ciascuno il potere di esprimersi e di farsi comprendere (Cf. At 2, 4).
E’ lo Spirito il centro unificatore e propulsore del Corpo ecclesiale. E’ lo Spirito che raduna, non per un’assemblea statica, muta, inerte spettatrice anonima di una scena sacra a cui assistere, ma per un’assemblea che crede, che vive ciò che crede, che canta con la voce e con il cuore ciò che crede e vive.
Tra fascino e dramma, stiamo continuando a vivere il grande momento della transizione di un’epoca ormai conclusa verso un’epoca che ancora non ha pienamente la chiara visione di se stessa. La riforma liturgica del concilio ecumenico Vaticano II si colloca in questo periodo in cui è difficile cogliere in modo globale i frutti di tanto prezioso lavoro operato all’interno dell’attuale storia della Chiesa di Cristo. Si tratta di un processo irreversibile e dinamico. Da qui la necessità di una seria formazione musicale che scaturisca dalle varie esigenze liturgiche.
L’esercizio di un determinato ministero comporta tutta una serie di doni e di competenze. L’Ordo Lectionum Missae, per quanto riguarda il ministero dei Lettori, sottolinea che essi “siano veramente idonei e preparati con impegno”. Poi specifica: “Questa preparazione dev’essere soprattutto spirituale, ma è necessaria quella propriamente tecnica. La preparazione spirituale suppone almeno una duplice formazione: quella biblica e quella liturgica” (OLM 55). Ogni ministerialità a servizio della celebrazione del Mistero è data in base al carisma che è dono dello Spirito; l’esercizio del carisma suppone la competenza che comporta l’accoglienza del dono e lo studio per acquisire la necessaria e indispensabile professionalità. Entrambi sono in funzione della ministerialità per l’esercizio artistico all’interno delle celebrazioni liturgiche.
In questo campo specifico, la Sacrosanctum Concilium sottolinea con chiarezza che quella dei musicisti chiamati a coltivare la musica per la Liturgia è una vera e propria missione. Non basta perciò eseguire “bene” musica “buona” all’interno delle celebrazioni liturgiche, occorre comprendere dall’interno e per esperienza la vera natura di quella che Sacrosanctum Concilium definisce “attività per eccellenza della Chiesa” e specifica: “I musicisti, animati da spirito cristiano, comprendano di essere chiamati a coltivare la musica sacra e ad accrescere il suo patrimonio; compongano melodie che abbiano le caratteristiche della vera musica sacra, che possano essere cantate non solo dalle maggiori scholae cantorum, ma che convengano anche alle scholae minori, e che favoriscano la partecipazione attiva di tutta l’assemblea dei fedeli” (SC 121). Il motto di S. Pio X fu: Instaurare omnia in Christo. Ogni opera di rinnovamento, se non ha Cristo come sorgente, modello e meta, non porterà mai frutti autentici di novità. E’ Cristo il fine, lo scopo, il soggetto e la materia della vera arte liturgica: Lui, Dei Verbum, fatto Carne della nostra carne per noi uomini e per la nostra salvezza; Lui, Lumen Gentium, Splendore della Gloria del Padre, celebrato e cantato dalla sua Chiesa e nella sua Chiesa; Lui, Gaudium et Spes, venuto per servire l’uomo, la storia e il cosmo.