Audire atque percepi

Plinio il Giovane, nella sua lettera a Traiano, presenta i cristiani come un gruppo particolare che “ha la consuetudine di riunirsi…per cantare a cori alterni un inno a Cristo, come a Dio.” (Lettera a Traiano, 96). La testimonianza di Plinio ci tramanda il modo e il contenuto della preghiera liturgica dei primi cristiani. Essi si riunivano per celebrare il Cristo di Dio col canto degli inni eseguito in forma antifonica. Cantare la Liturgia significa percepire l’indicibile Mistero che, nella sacramentalità liturgica, viene sperimentato attraverso i santi simboli che lo rendono presente. Il gesuita Lodovico Cresolli Armorici, nel suo Mistagogus, ci fa conoscere la famosa questione della celebre Missa Papae Marcelli di Palestrina (1567). Egli scrive: “Durante le funzioni del Venerdì Santo, il pontefice rimase colpito dal contrasto fra la celebrazione di un doloroso mistero, ben espresso nelle parole del testo liturgico, e il carattere del servizio musicale, eseguito dalla cantoria: erano polifonie del consueto stile fiammingo, complesse e ampollose, in cui non solo le parole, ma anche il significato della ricorrenza sacra venivano sommersi, quasi annullati. Marcello II volle allora spiegare personalmente ai cantori come ben diversamente dovesse intendersi il compito della musica da chiesa, ausilio al sentire e all’intendere la parola divina”.
I verbi latini sono efficacissimi: “audire atque percepi”. Il Papa, giustamente, mette in evidenza come “ascolto e percezione” siano elementi fondamentali per una piena partecipazione alla celebrazione dei divini Misteri. L’arte liturgico-musicale è questione di fede o è problema di estetica? È adorazione del Mistero o pura venerazione dell’arte? La questione dell’arte “della Liturgia” non è il problema dell’arte autonoma “nella Liturgia”. Nella celebrazione liturgica, l’arte musicale, come anche le altri arti, è azione simbolico-ministeriale in rapporto all’entrare vivo nella celebrazione dei Misteri per potervi pienamente partecipare. La musica è, pertanto, arte simbolica, ministeriale e mistagogica. In quanto simbolica, la musica è arte che “rende visibile” il Mistero, evocandolo; in quanto ministeriale, è arte a servizio della celebrazione del Mistero; in quanto mistagogica, è arte che aiuta ad introdurre nel Mistero. Come gli altri segni liturgici, musica e canto sono “segni di Dio per l’uomo” che annunziano e attuano la salvezza, e “segni dell’uomo a Dio” come risposta di fede e apertura al Dono.
Dal felice connubio tra Mistero e arte, tra Rito e musica, tra Preghiera e bellezza, è fiorita una delle più affascinanti avventure dell’uomo: corpo e spirito, visibile e invisibile, suono e silenzio, tempo ed eternità, trascendenza e incarnazione: la Liturgia in canto. Mistero, bellezza e celebrazione non possono essere separati, ma integrati e armonizzati per celebrare la presenza e l’opera di Cristo attraverso la sublime azione dello Spirito Santo. Canto e musica devono modulare arte rispondente al discorso Logos-Pneuma-Melos. La Sacrosanctum Concilium situa il canto e la musica in prospettiva teologale: essi, infatti, partecipano al fine stesso della Liturgia che è “gloria di Dio e santificazione dei fedeli” (SC 112). Parole e gesti, ascolto e visione, profumi e sapori, ritmi e melodie della celebrazione liturgica diventano “realtà teandriche”, cioè, vita a due tra divino e umano; umanizzazione del divino e divinizzazione dell’umano. Nessuna “musica sacra” può essere compresa senza una vera e profonda conoscenza della divina Liturgia. Il canto liturgico, infatti, nasce e fiorisce come esperienza viva di preghiera liturgica dei credenti che si “riuniscono” per “ascoltare e percepire”, cantando “a cori alterni”, il sublime inno dossologico “per Cristo, con Cristo e in Cristo a Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo”.