Contemporaneità e contemplazione
Il mondo contemporaneo è ancora capace di percepire la bellezza della contemplazione e attualizzarla nella storia drammatica e affascinante della vita? La contemplazione non è astrattezza, non è passività o alienazione, essa è verità e stupore, rinnovamento e liberazione; dopo l’ascesi e l’estasi, essa produce operosità, stimola all’azione che trasfigura il mondo, purifica e rinvigorisce lo spirito per ricreare quotidianamente l’uomo.
Sant’Agostino ci insegna che “la contemplazione non porta al rifiuto della vita attiva”, ma, “mentre la vita attiva ci fa distinguere il bene dal male, l’altra non vede non se non il bene”. Il contemplativo è colui che vede tutto con lo sguardo di Dio e in quello sguardo sa percepire la storia per poterla vivere nella divina atmosfera della sua volontà.
J. Maritain parla degli Ordini più altamente contemplativi come quelli situati “alla sommità delle più alte torri della cristianità”, tuttavia queste realtà nascoste non sono avulse dal mondo, ma “si espandono di là sulla vita profana e temporale”. Essi scendono, in qualche modo, sino al più profondo del cosmo per trasformarlo alla luce della fede. La contemplazione è la fonte per la rinascita e il progresso del mondo.
Per entrare nel “monastero” o nell’“eremo” non è necessario essere disgustati della vita o aver subito delusioni e sventure. Entrare nei luoghi della contemplazione significa amare intensamente la vita. E’ capace di contemplare chi ha capito l’amore ed è capace d’accoglierlo e di donarlo. La forza di accogliere e ridonare amore si trova nella vita contemplativa. Soltanto chi si immerge nel dialogo dell’Amore trinitario e palpita all’unisono col cuore di Dio-Amore, può realizzare quanto ci insegna Gesù: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”(Gv 15,9). L’amore contemplativo è proiettato in senso discendente ecclesiologico: Padre-Cristo-discepoli. La visione contemplante pone l’accento, innanzitutto, sul rapporto originante Padre-Figlio (9-11), poi sul rapporto relazionale: Figlio-discepoli (12-17). La contemplazione dell’Amore cristiano parte dal Padre e va verso il Figlio, poi si innesta nei discepoli i quali devono rimanere in questo flusso d’amore centrato sul Cristo. Si rimane nell’amore quando se ne accetta l’intenzione obiettiva, che non è pura risposta sentimentale, ma forza con cui ci si lascia coinvolgere dalla dinamica del dono: dal Padre al Figlio, dal Figlio ai suoi discepoli, dai suoi discepoli a tutti gli uomini. Gesù è il “tronco” da cui germogliano i tralci e insieme la totalità della pianta, proprio perché i discepoli sono con Lui una cosa sola. L’amore cristiano non è, dunque, una definizione statica e fredda, ma un processo dinamico e divino. Questo processo, che ha la sua fonte originale e originante in Dio Padre che invia il Figlio suo Gesù Cristo a salvare gli uomini, è legge fondamentale della Chiesa di Cristo e vita che si espande oltre i limiti esclusivi delle comunità ecclesiali. Quest’esperienza contemplativa la può attualizzare soltanto chi vive d’amore teandrico. C’è da chiedersi, però, se il pericolo più grave non sia lo spirito utilitaristico che porta a possedere questa verità stupefacente senza avvertirne alcun senso di stupore, di lode e di gratitudine. Guglielmo di Saint-Thierry così prega: “ O Amore, da cui ha ricevuto il suo nome ogni amore, Amore santo e santificatore, vita che doni la vita, rivelaci il mistero del tuo santo Amore e il segreto del canto che sussurra nel cuore dei tuoi figli”.
E’ necessario trovare il “luogo” dove sia possibile gettare il ponte di luce e d’amore tra lo spirito dell’uomo e l’infinita trascendenza di Dio. I contemplativi non sono dei parassiti o dei pigri; non sono degli alienati o dei frustrati; non sono visionari psicopatici. Il vero contemplativo vive all’interno della storia, immerso nella pienezza dell’Amore Trinitario. Amore e contemplazione non sono attività indipendenti o conflittuali. L’attività contemplativa esiste perché esiste Dio-Amore. Contemplazione e amore si fondono nel dono gratuito si sé e nell’offerta di sé stessi all’Amore. Contemplare è vivere d’amore. Il profeta Elia è il prototipo dei contemplativi e il modello dei credenti che vivono armonizzando contemplazione attiva e apostolato contemplativo. Elia vede, crede e vive. Vede con lo sguardo trasfigurato e trasfigurante degli occhi che contemplano il Mistero; crede che Dio, il Vivente, con il suo sguardo abbraccia il cosmo e la storia; vive, nella fatica delle scelte, la vocazione dell’essere profeta e apostolo del Dio vivente, sorretto e animato dal cibo spirituale della contemplazione.
L’amore al “chiostro”, anche se non è vocazione, può essere sempre e per tutti i discepoli “clausura di desiderio”. Senza di essa la crisi d’identità del cristiano rischia di scivolare in una ecclesiologia di maniera o di appartenenza più o meno parziale, mentre, a tutti gli effetti, essa è pienamente cristologica: l’Amore è Dio, Cristo è il sacramento del Padre, il cristiano si sforza di essere trasparenza e specchio, cioè “sacramento” di Cristo. Ogni comunità ecclesiale dovrebbe essere sia il luogo privilegiato dello spirito dove il credente trova l’acqua viva per dissetare l’arsura della sete di Dio, sia lo spazio adatto per abbandonarsi ai momenti di grazia contemplante del cor ad cor con il Mistero trinitario.
Al di là di ogni religiosità coreografica, di ogni attivismo perditempo, di ogni ghettizazione asfittica e frantumante, di ogni ritualismo stereotipo e sterile, di ogni sproloquio maldicente e distruttivo, gli ambienti ecclesiali dovrebbero essere “eremo e cuore” in cui il battezzato è accompagnato lungo i sentieri insidiosi della storia per educarlo, per raffinarlo nei valori perenni dello Spirito, per richiamarlo nei momenti di confuso sbandamento, e per orientarlo verso i traguardi della Verità, dell’Onestà, della Giustizia e della Fraternità.
La Costituzione Sacrosanctum Concilium, mettendo in evidenza la genuina natura della Chiesa di Cristo, ne traccia le caratteristiche e afferma che essa è “nello stesso tempo umana e divina, visibile, ma dotata di realtà invisibili, fervente nell’azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina; tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all’invisibile, l’azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati”.
Si rileggono con interesse le espressioni efficaci e attuali della Nota pastorale della CEI “Il giorno del Signore”: “Il cristiano non è un ingenuo, non si illude di poter rendere la terra un paradiso. Il cristiano non sogna, ma agisce. E mentre contempla un ideale che sa irrealizzabile nel presente, si adopera, nondimeno, perché la realtà somigli sempre più a quell’ideale. Ma lascia a un altro giorno la sorte di introdurlo in quel mondo, in quella vita per tanto tempo contemplata, preparata, attesa”.
Traducendo in variazione la famosa frase di F. Dostoevskij nel capitolo V del celebre romanzo L’Idiota: “la bellezza salverà il mondo”, possiamo affermare con decisione che la bellezza della contemplazione salverà il mondo.
Giuseppe Liberto