Servizio e potere

Dopo il secondo annunzio della Passione, tra gli Apostoli sorse una discussione: chi di loro fosse il più grande. Le baruffe tra gli Apostoli ci dicono che anche i grandi e i prediletti possono sbagliare. Non litigano soltanto i fratellini per il giocattolo, litigano anche i grandi per le precedenze, le onorificenze, le mille manie di essere “grandi”. Quante guerre honoris causa gli uomini ingaggiano tra di loro, scioccamente! Due Apostoli, i fratelli Giacomo e Giovanni, chiedono a Gesù di sedere uno alla sua destra e uno alla sua sinistra (cf Mc 10, 35-40). La richiesta testimonia un sogno di grandezza messianica del tutto terrena che è agli antipodi di quel che Gesù andava insegnando. Il Maestro, infatti, sogna una Chiesa, la sua Chiesa, fatta di umili e di piccoli, ma nella comunità degli apostoli sorge persino il problema di avere i primi posti. Il vero discepolo di Gesù, infatti, deve rinunziare alle lotte di competizioni per percorrere la strada dell’Amore annunziata dal Maestro. Alla domanda dei figli di Zebedeo Gesù dà una duplice risposta.
La prima contiene due interrogativi: “Non sapete quello che state chiedendo. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con il quale io sono battezzato?”. Che intende dire Gesù con: “bere il calice” ed “essere battezzato”? Nell’Antico Testamento “bere il calice” significa subire una sofferenza sino alla morte (cf Is 51, 17-22; Lam 4, 21; Sal 74,9). Paolo, infatti, insegna alla comunità di Corinto che “bere il calice” è celebrare la morte-risurrezione di Cristo e parteciparvi (1Cor 10,21; 11,26). Nel Nuovo Testamento essere battezzati comporta un morire per rinascere. San Paolo parla del battesimo come un morire per risuscitare (Rm 6, 1-14). L’espressione di Luca “c’è un battesimo che mi spetta” indica chiaramente la morte di Gesù da cui scaturisce la risurrezione. Nella risposta del Maestro, i discepoli sono presentati come coloro che partecipano allo stesso Battesimo e allo stesso Calice del loro Signore condividendo gli eventi della sua Morte e Risurrezione. Battesimo e celebrazione eucaristica sono punto di partenza e viatico per l’itinerario verso il Regno di Dio. Istruiti dal Maestro, i discepoli devono capire che la prenotazione dei primi posti è solo pretesa d’orgoglio umano che non s’addice alla logica evangelica della gratuità.
Agli altri apostoli, indignati perché gelosi, insegna la logica evangelica del Regno che Egli viene a instaurare e che è agli antipodi di quella dei regni terreni. Gesù, proponendo loro le ragioni profonde della nuova economia di una “comunità senza potere”, contrappone la comunità cristiana a quella della società civile. In questa, coloro che hanno il potere ne approfittano per rendere schiavi e farsi servire. Nella comunità cristiana, invece, “colui che comanda”, paradossalmente, è “colui che serve”. Nel suo Regno, Gesù vuole che l’autorità non deve avere altro scopo se non quello del servizio: “Fra voi però non è così, ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per tutti” (Mc 10, 43-45). Gravissimo è il peccato di quella comunità ecclesiale che si organizza a immagine e somiglianza dello Stato o che si inserisce come parte integrante delle sue strutture. Il gesto di “servire e darsi in riscatto” costituisce la motivazione fondamentale della paradossale ecclesiologia cristiana.
Ma cosa vuol dire Gesù con la parola “riscatto”? Il termine indica il prezzo versato per liberare un prigioniero di guerra o uno schiavo. Ai tempi di Cristo era gesto usuale pagare un prezzo per il riscatto a cui era legata l’idea di “servo”. Gesù da che cosa riscatta l’umanità? Secondo Marco il nostro è un mondo di schiavi; Gesù viene a riscattare gli schiavi divenendo con la sua Chiesa “Schiavo”e “Servo”. Gesù inizia il riscatto dell’umanità donando se stesso come vittima del potere e diventando Egli stesso il “Servo” di tutti. La Chiesa di Cristo, obbedendo al suo comandamento, non dovrà mai offrire al “potere demoniaco” l’alternativa di un “potere ecclesiastico”, questo gesto sarebbe un cedere alla più pericolosa tentazione. Soltanto una comunità di “liberi servitori” potrà liberare l’umanità da tutte le diaboliche schiavitù. Sul monte delle tentazioni, satana, dopo avere mostrato tutti i regni della terra, dice a Gesù: “darò a te tutto questo potere e la gloria di questi regni perché è stata affidata a me e la concedo a chi voglio” (Lc 4,6). Gesù annulla la diabolica tentazione con l’umiltà della Grotta e l’abbassamento del Calvario: da qui scaturisce la Gloria e l’Esaltazione.
E’ la storia dei due alberi: l’albero del giardino dell’Eden e l’albero del giardino dove svetta la Croce. La via della “grandezza” è inscritta sull’albero del primo giardino: la via della conoscenza del bene e del male. Non era stato detto forse sul natale del primo uomo: “Se mangerete… diventerete come Dio?” Questa via porta inesorabilmente ad un esito mortifero, conduce ad uno svelamento deprimente: “Si accorsero di essere nudi”. Nudi in una umanità decaduta. La via della “piccolezza”, invece, è incisa sull’albero della Croce, albero fiorito, albero della rivelazione di Dio, albero in cui nasce la nuova umanità divinizzata. Gesù, il vero “Piccolo”, svuotato di ogni grandezza nella mangiatoia del suo Natale e sul legno della sua Croce, con quella nascita e quella morte ha svelato la falsità e la menzogna della via della “grandezza”. Natale e Risurrezione sono nascosti nella Notte dello Splendore. Soltanto il silenzio della “piccolezza” sente e percepisce il Mistero, ascolta e scruta la Parola vivente del Padre, amando e adorando la segreta “grandezza” di Dio. Davide si illude di vincere vestendosi delle pesanti armature della “grandezza” che gli impediscono di camminare.
Natale e Risurrezione rivelano l’Onnipotenza divina nel silenzio dell’umiltà, nella piccolezza della povertà. Il principio della grandezza umana soffoca i palpiti d’amore, sgretola la fedeltà dell’amicizia, distrugge l’armonia della fraternità. Natale e Risurrezione sono il capolavoro d’arte della concordia che unisce in sé beatitudine di Dio e miseria dell’uomo. Natale e Risurrezione sono l’incontro tra la miseria dell’uomo e la misericordia di Dio, tra la “piccolezza” di Dio e la “glorificazione” dell’uomo. Natale e Risurrezione sono eventi di salvezza che realizzano in noi la storia di redenzione. Non basta guardare, con gli occhi incantati di bimbo, il Presepe del Natale e la Tomba vuota della Risurrezione, è necessario soffermarsi e contemplare, gustando e assaporando, il mistero della “piccolezza di Dio” per potere cantare nel Magnificat con Maria di Nazareth: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome”.
Oh, se le comunità ecclesiali vivessero in pieno lo stile della “piccolezza” di Dio, quante “cose grandi” realizzerebbero nel ministero dell’essere “servi del Signore”!