Come ti cambio l’orientamento con un solo discorso

Condividi su...

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 14.10.2025 – Mario Proietti] – Offriamo una riflessione in tre parte sul mirabile e storico discorso di Sua Santità Leone XIV durante la suo visita ufficiale al Presidente della Repubblica italiana al Quirinale, “come Vescovo di Roma e Primate d’Italia”, a cura di Don Mario Proietti, CPPS, sacerdote della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, fondata da San Gaspare del Bufalo:

  • Il nuovo paradigma di Leone XIV e la rinascita della civiltà Cristiana.
  • Il ritorno del Primate d’Italia. Leone XIV e l’ordine spirituale del papato.
  • Un atto di magistero sulla civiltà Cristiana.

Attualmente, Don Mario Proietti è Direttore locale ed economo della Comunità di Lutriano nel Comune di Giano dell’Umbria e Arcidiocesi di Spoleto-Norcia, Responsabile dell’Abbazia di San Felice di Giano (Casa di fondazione) e Responsabile del Centro di Spiritualità che fa capo all’Abbazia [VvB].

Il nuovo paradigma di Leone XIV
e la rinascita della civiltà Cristiana

Un amico mi ha chiesto di offrire una lettura più ampia del discorso di oggi del Papa. Come la vedo davvero, al di là delle riflessioni “dovute”. Credo di poter rispondere iniziando con una convinzione profonda: leggendo il discorso di Papa Leone XIV, si evince subito che ci ha donato una visione piena dell’uomo e della società, capace di far intravedere una vera rinascita della civiltà cristiana. Ogni parola ha avuto la forza di un magistero spirituale che orienta l’Italia e il mondo verso la verità dell’uomo redento. Si coglie un passaggio deciso: dal Cristianesimo sociologico al Cristianesimo teologico, dalla pastorale dell’urgenza alla contemplazione della verità.

Nel citare il suo predecessore, ha disegnato una parabola di continuità che apre un nuovo paradigma. Il suo linguaggio completa il cammino precedente, riportando al centro temi che per un tempo avevano lasciato spazio ad altre priorità. La Chiesa ritrova così la pienezza della propria voce e la ricchezza del suo orizzonte spirituale.

Con il titolo di “Primate d’Italia”, Leone XIV ha restituito al papato la sua forma originaria: una paternità che unisce e custodisce. Roma diventa il cuore da cui la Chiesa irradia comunione e luce. La sua autorità si manifesta come servizio e la sua missione spirituale si radica nella fedeltà al Vangelo.

Nel parlare dell’ecologia, il Pontefice ha richiamato San Francesco, indicando che la custodia del creato è un atto di lode al Creatore. La terra è madre e sorella perché dono di Dio, e l’uomo ne è custode in quanto parte di un ordine più grande.

Nel tema della famiglia, il Papa ha espresso con chiarezza la verità più profonda: “padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna” sono parole che custodiscono la grammatica della vita. La famiglia è santuario dell’amore e fondamento della speranza di un popolo.

Riguardo alla vita, il suo insegnamento è limpido e forte: dal concepimento alla morte naturale ogni esistenza è sacra. Aborto, eutanasia e suicidio assistito feriscono la dignità dell’uomo. La vita è un dono, e chi la riceve partecipa all’opera creatrice di Dio.

Nel trattare il tema dei migranti e dell’integrazione, Leone XIV ha unito verità e carità. L’accoglienza raggiunge la sua pienezza quando è reciproca e si fonda sul rispetto dei valori della società che accoglie. In questa visione l’integrazione diventa incontro, comunione e crescita condivisa.

Nel riferimento ai modelli fluidi e massificanti, il Papa ha rievocato la diagnosi di Benedetto XVI nella Missa pro eligendo Romano Pontifice del 2005, quando fu denunciata la “dittatura del relativismo”. Il suo monito è di grande attualità: chi smarrisce la verità dell’uomo perde anche la libertà.

Leone XIV ha intrecciato i grandi temi della tradizione papale: la vita, la famiglia, l’identità umana, la custodia del creato e il valore della memoria. Ogni tema è collocato in un disegno armonico che restituisce alla fede la sua pienezza e alla Chiesa la sua coerenza interiore.

Questo orientamento rappresenta un mutamento di orizzonte. Il Pontefice non interpreta il papato come tribuna di messaggi globali, ma come centro di irradiazione spirituale. La Chiesa, nella sua visione, è chiamata a ricomporre il proprio ordine interno per offrire al mondo una testimonianza limpida e coerente. Le parole “persona”, “dignità”, “famiglia”, “verità” e “speranza” tornano a esprimere contenuti teologici, non semplici categorie morali o sociali.

Il cammino che si apre potrà essere confermato dai prossimi documenti pienamente suoi e dalle nuove nomine che rifletteranno la sua impronta pastorale e dottrinale. In essi si manifesterà la forma di un papato orientato alla restaurazione spirituale.

Fin da ora appare la figura di un Papa che desidera guarire la coscienza Cattolica, liberandola dal linguaggio frammentato e restituendole l’armonia della verità. Il suo paradigma è semplice e luminoso, con radici agostiniane: la verità genera libertà, la libertà genera ordine, l’ordine genera pace. Da questa logica discendono tutti i temi del suo insegnamento: la vita, la famiglia, l’identità, l’incontro tra i popoli, la custodia della creazione. Tutto converge in un unico principio: l’uomo trova se stesso solo nell’accoglienza di Dio come fondamento della propria esistenza.

Questo nuovo modo di parlare riflette la volontà originaria del Concilio Vaticano II, nei suoi tre elementi fondamentali:

Nello spirito: la Chiesa può dialogare con il mondo solo se non ne assume le categorie, ma ne illumina le domande.

Nel metodo: il linguaggio pontificio ritrova la sobrietà dei grandi maestri della fede.

Nel contenuto: il Papa indica i principi e costruisce comunione.

Da questo equilibrio nasce il movimento che Leone XIV ha inaugurato: dal “fare” al “credere”, dal “progettare” al “riconoscere”, dal “parlare di tutto” al “dire l’essenziale”.

È la nascita di un pontificato che vuole condurre il mondo non alla curiosità del dibattito, ma alla contemplazione della verità che salva. Il primo passo ufficiale, politico e spirituale, è stato compiuto oggi. Quando le parole saranno seguite dai gesti, e i documenti porteranno pienamente la sua impronta, credo che emergerà il progetto di un Papa che ri-pone al centro la santità, la dottrina e la bellezza della Fede.

Con buona pace di tutti: boves, oves et universa pecora.

Il ritorno del Primate d’Italia
Leone XIV e l’ordine spirituale del papato

Tra le parole pronunciate da Papa Leone XIV nel suo discorso al Quirinale, una in particolare ha risuonato con forza teologica e con intensità storica: “Come Vescovo di Roma e Primate d’Italia”. Questa definizione, rimasta a lungo silenziosa nei testi ufficiali, torna ora viva nella voce del Pontefice come segno di orientamento per la Chiesa e per l’Italia.

In poche parole si manifesta un gesto di magistero e di paternità. Dopo anni di interpretazioni prevalentemente universali del papato, Leone XIV ha voluto rinnovare la dimensione originaria del suo ministero: il Papa è Vescovo di Roma e, proprio per questo, guida e padre delle Chiese d’Italia. Il titolo di Primate d’Italia esprime la verità ecclesiologica che unisce la Chiesa universale alla sua radice concreta, riconducendo il primato di Pietro alla sorgente sacramentale e alla comunione delle Chiese locali.

Il titolo ha una lunga storia. Nei secoli in cui le comunità Cristiane cercavano unità e riferimento, Roma ne divenne il cuore per grazia e per comunione. San Gregorio Magno, nei suoi Registri, si definiva “servus servorum Dei” e agiva come custode della fede delle Chiese italiane, sostenendole nella verità e nella carità. In questa scia Leone XIV rinnova la paternità di Pietro, manifestando la continuità di un servizio che conferma e orienta.

Con Papa Francesco il titolo era stato relegato a “storico”, come altri titoli importanti. La visione del papato in chiave missionaria e globale aveva concentrato l’attenzione sulla Chiesa universale, lasciando in secondo piano il legame spirituale con l’Italia.

Ogni pontificato porta un accento proprio. Francesco ha orientato lo sguardo della Chiesa verso le periferie, offrendo al mondo la testimonianza di un Vangelo che si fa incontro. Leone XIV ha ripreso il titolo con un gesto di chiarezza e di fedeltà alla Tradizione, ponendo l’accento sulla sorgente da cui la missione prende forza: Roma, madre e maestra di tutte le Chiese.

Questo ritorno all’ordine spirituale del papato apre un orizzonte di equilibrio. La radice italiana del papato non riduce ma sostiene l’universalità, poiché la Chiesa che parte da Roma trova nella concretezza della storia il fondamento per aprirsi al mondo intero. Il Papa che si riconosce Primate d’Italia manifesta così la sua paternità concreta, radicata in un popolo e in una terra che custodiscono la Sede di Pietro e ne irradiano la grazia. In questo gesto si rinnova la consapevolezza della missione propria della Chiesa italiana: essere segno di unità, casa di comunione, cuore orante dell’Europa.

Non mancheranno coloro che, in prospettiva più critica, esprimeranno il timore di un ritorno a un eccesso di attenzione alla dimensione italiana del papato. Questa lettura nasce dall’impressione che l’accento posto sul legame con l’Italia possa limitare la visione universale. Tuttavia, bisogna ricordare che il riferimento all’Italia è fondamento e non confine. Quando si vuole ricordare che un Papa esprime una comunione universale, non si deve dimenticare che essa ha bisogno di radici solide. Di conseguenza, una Chiesa consapevole della propria identità diventa capace di servire meglio l’intera umanità, portando nel mondo la luce della fede vissuta.

Il ritorno al titolo di Primate d’Italia è una lezione di pedagogia ecclesiale. In un tempo in cui la società tende a separare la Fede dalla vita pubblica, il Papa ricorda che la storia d’Italia e la sua anima Cristiana sono inseparabili.

Il titolo di Primate d’Italia segna dunque un atto di chiarezza e di fedeltà. Esprime la natura del papato come ministero di grazia che unisce il visibile e lo spirituale, la Chiesa locale e quella universale. È la voce di Pietro che parla ai figli d’Italia e, attraverso di loro, a tutta la Chiesa. Si ristabilisce in questo modo il centro spirituale della Cattolicità. Roma rimane la sorgente, l’Italia la sua voce, la Chiesa il corpo vivo che ne riceve forza e respiro.

Un atto di magistero sulla civiltà Cristiana

La visita del Papa al Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha dato occasione per ascoltare un discorso che resterà nella memoria del nostro tempo come un atto di magistero sulla civiltà Cristiana. Nulla ha avuto di cortesia, ma è stata una lezione di storia e di spirito. Un gesto profetico che ha restituito dignità al rapporto tra Fede e vita pubblica. L’Italia e la Chiesa vi si sono riflesse come in uno specchio, ritrovando la loro comune vocazione: custodire l’anima dell’Occidente.

Il Papa, guardando all’Italia, ha saputo coniugare arte e Fede, bellezza e moralità. Un popolo che, con la sua arte e letteratura, riassume la visione cristiana della civiltà perché rende visibile l’armonia tra creatività e preghiera, tra intelletto e grazia. E la bellezza, quando nasce dalla Fede, così come è nata tutta la cultura Italiana, diventa linguaggio morale e strumento di pace.

Il cuore del suo messaggio è stato la persona umana. Leone XIV ha riaffermato che la dignità dell’uomo è il fondamento di ogni ordine civile, e che da essa derivano i doveri e i diritti che nessun potere può concedere o revocare. In questo ha fatto eco alla Pacem in terris di Giovanni XXIII e al pensiero di San Tommaso, per il quale la società è giusta solo se serve la perfezione morale dell’uomo. Il Papa ha chiesto che l’Italia continui a difendere i più fragili, riconoscendo in ciascuno il volto di Dio.

Un altro pilastro del discorso è stato il principio della distinzione e della collaborazione tra Chiesa e Stato. Leone XIV non ha cercato alleanze, piuttosto la concordia. Ha ricordato che la distinzione degli ambiti è la condizione perché la Fede illumini la società senza dominarla, e perché lo Stato serva l’uomo senza ridurlo a ingranaggio.

Nel richiamare i drammi della guerra, il Papa ha fatto risuonare le voci profetiche dei suoi predecessori. Da Benedetto XV a Pio XII, da Giovanni XXIII a Paolo VI, la Chiesa ha sempre gridato che la pace non nasce dal calcolo ma dalla conversione. Leone XIV ha proseguito quella linea con forza e dolcezza, indicando nella compassione il vero volto della diplomazia cristiana. Il suo pensiero è rivolto ai bambini di Gaza, agli innocenti che soffrono, ai popoli feriti, ma il suo sguardo abbraccia l’umanità intera: la pace, ha detto, è un atto di giustizia e di speranza, e non può essere costruita senza la verità.

Non è mancato un passaggio di rara bellezza che tocca quei valori non negoziabili che sono patrimonio della cultura Cattolica. Il Papa ha difeso la Famiglia contro i disvalori che fanno confondere le radici. Ha richiamato all’importanza e alla potenza delle parole semplici come padre, madre, figlio, figlia, nonno, nonna. In queste figure indispensabili nella costruzione sana delle relazioni sociali, è chiusa la grammatica dell’amore e tutta la struttura affettiva che genera il mondo. La natalità, ha detto, è un atto di fede nel futuro. Difendere la vita in ogni sua fase, quindi dal concepimento alla morte naturale, è custodire la civiltà stessa. Quando la vita non è accolta, muore la cultura.

Il Pontefice ha voluto elevare il discorso al livello della memoria e dell’identità. Ha chiesto di non rinnegare ciò che i padri hanno costruito, di non lasciarsi sedurre da modelli fluidi che cancellano la storia in nome di una libertà apparente.

Richiamando la figura del Poverello di Assisi, San Francesco, Patrono d’Italia, ha ricondotto l’ecologia a Cristo. Nella prossimità dell’ottavo centenario della morte, ha ricordato che Francesco è patrimonio italiano. In Lui, l’Italia ha ricevuto la missione di trasmettere al mondo la cultura del Creato. Il vero modo di avere a cuore la casa comune riconoscendo Cristianamente la terra come madre e sorella. Un invito a una conversione ecologica che nasce dalla contemplazione, non dall’ideologia: amare la terra perché vi si riflette la bontà del Creatore.

Anche nel riferimento ai migranti e al tema dell’accoglienza, Leone XIV ha voluto riorientare il senso autenticamente Cristiano dell’incontro tra i popoli. Le sue parole richiamano una verità profonda: l’accoglienza diventa feconda solo quando è accompagnata da una reale integrazione, capace di valorizzare sia chi arriva sia chi accoglie. Il Papa ha ricordato che l’incontro tra culture produce ricchezza e bene comune soltanto se si fonda sul rispetto reciproco e sull’amore per le proprie radici. La sua esortazione è chiara e lungimirante: l’integrazione nasce dal riconoscimento della propria identità e dal desiderio di condividere ciò che si è, così che nessuna differenza diventi ostacolo, ma occasione di crescita comune. In un tempo in cui in alcune realtà europee si diffonde un sentimento di rifiuto verso la cultura occidentale e i valori Cristiani che l’hanno formata, il Papa richiama tutti a riscoprire la vera fraternità, che non nega le differenze ma le armonizza nella verità e nell’amore.

Nel congedo, Leone XIV ha parlato dell’Italia come di una terra di “ricchezze immense, spesso umili e nascoste”. Ha invitato gli Italiani a riscoprirle, a ritrovare il senso delle cose semplici, a vivere con fiducia e speranza. In queste parole si avverte la certezza di chi vede nell’anima del popolo italiano la scintilla di una civiltà che non si è spenta, ma attende di essere riaccesa.

Questo discorso segnerà una pietra miliare del pontificato. È un testo che unisce la profondità di un’Enciclica alla semplicità di una parola paterna, capace di toccare il cuore e di orientare la coscienza. In esso il Papa mostra che la civiltà Cristiana non appartiene al passato, ma vive come progetto sempre attuale, fondato sull’amore per la verità, sul rispetto della vita e sulla fiducia nella Provvidenza.

L’incontro al Quirinale diventa così un messaggio e insieme un programma: un invito a rinnovare la cultura laicale nella sua forma più autentica, quella che riconosce la Chiesa come compagna e non come rivale nel cammino dell’uomo. Leone XIV ha ricordato che quando la Chiesa e l’uomo si ritrovano nella verità, la storia riacquista la sua anima e il tempo torna a essere luogo di grazia.

Postscriptum
La conoscenza dei segni

Papa Leone XIV non ha “cambiato stile”, ha restituito senso al simbolo. Ci sta ricordando che l’autorità nella Chiesa non nasce da un’opinione, ma è un servizio fondato su Cristo. Gli abiti, i titoli e i riti non sono ornamenti. Sono linguaggi teologici che rendono visibile una realtà invisibile: la grazia che regge e santifica la Chiesa.

Può sembrare paradossale, eppure la lotta contro la mondanità passa anche attraverso i segni esteriori appropriati. Averli storicizzati o lasciati cadere in disuso è stato, in realtà, un segno di mondanità, perché ha indebolito la capacità della Chiesa di comunicare se stessa nella verità del simbolo.

Il rischio di un papato troppo personalizzato è questo: che l’Istituzione resti senza forma e che ogni successore debba ricostruire ciò che era stato interpretato solo in chiave umana.

Leone XIV, a mio avviso, sta compiendo l’atto opposto: riportare il papato nella sua forma divina, dove il simbolo non divide ma educa, non seduce ma illumina.

In tempi come i nostri, in cui tutti si sentono autorizzati a giudicare tutto, e i “leoni da tastiera” ruggiscono più forte dei credenti in ginocchio, il vero Leone sta mostrando un coraggio raro. Sta compiendo un gesto che pochi avrebbero avuto la forza di concretizzare. Un confratello, con un sorriso, mi ha detto: “Siamo fortunati! Solo un americano poteva farlo.” Come dargli torto?

Rimane però una domanda che non possiamo eludere: come mai le stesse persone che lodavano il linguaggio informale di Francesco oggi si indignano davanti ai segni del papato restaurato? È, temo, il segno di un cuore credente ferito da troppi messaggi contraddittori. Abbiamo tutti bisogno di maturare, preti e laici, in una fede che non si nutra solo di emozione, ma di verità.

Senza la conoscenza dei segni, la fede si riduce a reazione; senza teologia, la speranza si confonde con la nostalgia; senza buon senso, la falsa buona fede finisce per costruire la via larga e dritta che non conduce alla salvezza, ma alla dissoluzione.

151.11.48.50