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Dal Sinodo uno sguardo ai luoghi

Oggi la giornata sinodale si è aperta nel ricordo di José Carlos de Sousa (il poeta brasiliano che viveva in povertà sotto il colonnato di piazza San Pietro, morto ad agosto e di cui stamani sono state celebrate le esequie). Mentre nel pomeriggio è stato proiettato il film ‘Io Capitano’, diretto da Matteo Garrone, per su iniziativa del Dicastero per la cultura e l’educazione e nella sua relazione il card. Hollerich ha sottolineato l’importanza della Parte III dell’Instrumentum laboris, dedicata ai luoghi della missione con uno sguardo alle città e alle megalopoli, in una visione non statica ma dinamica che comprende anche le migrazioni.

Il relatore generale ha introdotto i quattro paragrafi che costituiranno la sezione ‘Luoghi’. Il primo, intitolato ‘Territori in cui camminare insieme’, è un invito ‘a mettere a tema come, nel nostro tempo, le persone vivono la dimensione del radicamento a un contesto’. Eppure, il bisogno di appartenere c’è, solo che esso “trova risposta in trame di relazioni con un ancoraggio territoriale più dinamico ed elastico che in passato, fino al caso limite dell’ambiente digitale”.

Parlare di “contesti locali significa anche prendere in considerazione le relazioni che si instaurano tra luoghi e culture”: questi, infatti, “sono sempre in relazione gli uni con gli altri, e“ancora di più lo sono le Chiese che li abitano, in ragione del vincolo della comunione che le stringe nell’unità della Chiesa tutta di cui il Vescovo di Roma è principio visibile”. La comunione nell’unità, delle varie Chiese con la Chiesa universale, ‘presiede anche alla vita interna di ciascuna Chiesa locale’, evidenziando come il secondo e terzo paragrafo trattino proprio, rispettivamente, delle ‘Chiese locali nell’una e unica Chiesa cattolica’ e dei ‘legami che danno forma all’unità della Chiesa’.

Mentre nella meditazione di apertura la riflessione di suor Maria Ignazia Angelini si è concentrata  sul tema de ‘Il luogo della Chiesa sinodale in missione’. Il radicamento ecclesiale in un posto concreto, un contesto, una cultura è ‘un nodo che già dagli inizi ha inquietato le prime comunità cristiane’, infatti ‘riguardo ai luoghi della vita, i cristiani si identificavano, paradossalmente, come ‘stranieri residenti’. 

Nella mensa, “luogo fortemente simbolico la costitutiva itineranza dell’annuncio trova necessaria sosta, le relazioni affondano radici e la fame è messa a nudo. Lì, dove il bisogno scava uno spazio di relazione non vano con l’altro”. Ribaltando l’insidia del suo ospite, per “giungere a un’etica dell’interiorità e dell’autenticità Gesù indìce una nuova convivialità, basata sul dono: Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro”.

Oratori: mons. Gervasi al COR chiede di annunciare il Vangelo ai bambini

Un forte invito a non lasciar perdere, a seguire l’esempio del fondatore, il Venerabile Arnaldo Canepa, ha espresso mons. Dario Gervasi, Vescovo ausiliare di Roma per il settore sud e delegato per l’ambito della cura delle età e della vita presiedendo la solenne celebrazione eucaristica a Santa Maria Odigitria al Tritone. L’appuntamento, organizzato dal Centro Oratori Romani per fare memoria della conversione del suo fondatore, ha visto soci e amici dell’associazione pregare insieme nella piccola chiesa legata alla storia di Canepa e al suo servizio fra i bambini e i ragazzi.

“E’ sempre molto importante tornare sui luoghi dove si è sentito che Dio parla”, ha esordito don Dario commentando il brano evangelico del giovane ricco. “Questa piccola chiesa, che oggi è sommersa dalla città prettamente turistica, ha visto il momento centrale della vita di Canepa, quando tutto quello che sarebbe stato il futuro della sua opera, il COR, è stata a lui donato, una sorta di radice di tutta l’associazione. Sono convinto che sia stato il suo rapporto personale con Dio a dargli la forza per rispondere alla chiamata, una vera irruzione dell’amore soprannaturale nella nostra piccolezza umana.

E’ un dono immenso che sicuramente ha vissuto anche Canepa perché la Madonna lo ha guardato con la stessa intensità con cui Gesù guarda il giovane ricco. Arnaldo, a differenza di quest’ultimo, ha risposto positivamente a questa chiamata. Nel tempo ha donato tutta la sua vita e le sue ricchezze per i ragazzi e per l’oratorio. Ha dedicato tutta la sua vita al servizio, alla sequela di Cristo ma certamente il suo segreto era questo rapporto speciale con il Signore. Una relazione che lo ha spinto a diventare quel seme che si è moltiplicato in migliaia e migliaia di giovani”. 

Invitando i presenti a fare personalmente memoria della propria conversione, don Gervasi ha chiarito come “ritornare, alla conversione, ricordare che siamo stati mandati dal Padre con lo Spirito che ci guida, è fondamentale perché le nostre forze prima o poi si esauriscono. Quelle di Dio no! E’ importante chiedere al Signore una costante conversione: Dio ci conduce sempre avanti, ci aiuta ad affrontare quelle difficoltà dell’oggi e a Lui dobbiamo chiedere la forza di annunciare il Vangelo”.

Il Vescovo Gervasi ha anche sottolineato la geniale intuizione di Canepa per aver compreso come avviare l’oratorio in un periodo storico disastroso. “Lui stesso veniva da una vita borghese in un tempo complesso anche per la vita della Chiesa e della nostra città di Roma”, ha proseguito nel corso dell’omelia, “ma ha avuto questa forza intensa che si spiega solo per il forte rapporto personale con Cristo. La situazione di oggi è anch’essa drammatica perché i giovani vivono uno sbandamento generale enorme.

Chi gira di notte in questa nostra città conosce l’emergenza di giovani ed adolescenti, spesso preda di chi li spinge a buttarsi via. Ci vuole proprio il cuore di Canepa perché aiuti noi tutti a capire cosa si possa fare. Sono convinto che ogni ragazzo che riusciamo ad attirare all’oratorio, in qualche modo viene aiutato ad uscire da queste situazioni. Dovremmo capire come fare per avvicinare anche tutti loro.  I giovani sono terreno fertile: se riuscissimo ad entrare nel loro cuore come faceva Arnaldo sicuramente potremmo portare avanti questa opera. Dobbiamo andare avanti, non perdere la fiducia e pensare che ogni ragazzo che si pone al servizio dei piccoli è una benedizione.

Adesso vedremo la partenza degli oratori estivi, che a Roma stanno vivendo un certo risveglio, ma dobbiamo andare avanti anche per quello feriale e credere che possiamo veramente incidere nella vita di questi ragazzi toccando il loro cuore, specie se il nostro rimane sempre aperto. Penso alla potenzialità del COR: dobbiamo capire insieme come fare perché i nostri oratori continuino ad essere un luogo sano per i nostri ragazzi”.

“Il Signore ci ha chiesto, a ciascuno personalmente e insieme come comunità del COR, di servirlo nella speciale vocazione all’oratorio mettendoci a disposizione della Chiesa di Roma e delle giovani generazioni” ha sottolineato da parte sua la Vicepresidente del COR, Micaela Castro, salutando il Vescovo all’inizio della celebrazione. “In ogni bambino che incontriamo riconosciamo il volto di Colui che ci ha chiamato e intendiamo accompagnarli verso un incontro personale con l’intera Trinità che abbiamo appena celebrato liturgicamente. Lo facciamo come catechisti e animatori, ma anche attraverso il servizio nei territori di questa grande e complessa città accompagnando sacerdoti e laici nella formazione e nella progettazione degli oratori”.

(Foto: COR)

Geopolitiche del Sahel

Come simboli del nostro pensiero, potremmo prendere tre elementi molto comuni del nostro spazio saheliano.  Polvere, vento e sabbia… Innanzitutto la polvere, che entra dappertutto e colpisce il nostro SGUARDO in modo talvolta pericoloso. E’ di questo che vorrei parlare per prima cosa, perché tutto nella nostra vita dipende dal modo con  cui guardiamo le cose…

La prima cosa da osservare, quando si studia qualsiasi argomento, è proprio il tipo di sguardo col quale osserviamo una determinata realtà… Dove e come leggiamo la realtà! Da qui guardiamo (e leggiamo) la realtà dal Sahel, uno spazio umano, geografico, politico, economico e culturale. Questo è già un aspetto interessante, ma da solo non basta, perché bisogna scegliere il luogo socio-umano da cui guardarla. Ci sono luoghi privilegiati che diventano lo specchio della società…

Uno di questi luoghi è la migrazione: i migranti rivelano molto del nostro Sahel! La seconda fase consiste, come detto prima, nella scelta del tipo di visione, della qualità della nostra sguardo… di ciò che stiamo cercando. Potremmo dire che dobbiamo scegliere il giusto tipo di occhiali con cui guardare… ed è in questo senso che dobbiamo stare attenti alla… polvere! I nostri occhi possono essere, spesso senza rendersene conto, ‘colonizzati’ dalla mentalità dominante, capitalista, neoliberista, guerrafondaia.

Una realtà in cui la ricerca del profitto, del prestigio e del potere prevalgono sulla ricerca del bene comune, cioè del bene dei poveri. E’ questo tipo di sguardo che può leggere i segni del futuro nella realtà, i segni della speranza negli occhi dei giovani e dei poveri, gli unici che vogliono scoprire un mondo diverso. Per farlo, dobbiamo spolverare i nostri occhi, perché siano liberi e aperti a cogliere il nuovo, spesso nascosto come l’acqua del sottosuolo che solo i rabdomanti sanno scoprire!

Conosciamo il vento nel Sahel: porta polvere e libera dalla polvere! Il vento è il simbolo della mobilità, dello spostamento e del cambiamento. Prima ho accennato alla migrazione e ai migranti come ‘luogo’ privilegiato per leggere ed ‘ascoltare’ la realtà. E’ un fatto sociale totale, una sorta di SPECCHIO attraverso il quale possiamo vedere noi stessi, come società, sistema economico, politico e sociale. Per secoli, il Sahel è stato una zona di transito per carovane, schiavi (purtroppo) e merci di ogni tipo: un luogo di passaggio e di transito.

In seguito, abbiamo subito una colonizzazione pesante e dolorosa, che ha contribuito a trasformare le migrazioni e spesso ha cercato di fermarle, modificarle e indirizzarle, ad esempio con il lavoro forzato. Conosciamo la figura saheliana dell’esodante…, dell’avventuriero, questi personaggi fanno parte della cultura sociale ed economica del Sahel, soprattutto in alcune stagioni dell’anno. E’ anche la mobilità della transumanza dei pastori che costituisce una delle ricchezze del Sahel.

Tuttavia, in questi diversi processi di spostamento e mobilità, abbiamo codificato e spesso “mercificato” la migrazione e i migranti. La mobilità verso la costa atlantica o verso il Nord Africa, o ancora più lontano, verso l’Europa, l’Asia o le Americhe, ha assunto una nuova dimensione per una serie di ragioni che ci portano alla geopolitica in questione. La crescente demografia, con una maggioranza di giovani, la ricchezza del sottosuolo, la riduzione delle aree di pascolo e dei punti d’acqua…

Il transito dei migranti verso il Nord e l’esternalizzazione delle frontiere europee nel Sahel hanno ridotto la libertà di mobilità dei migranti. Il resto lo sappiamo: questa parte del Sahel fa parte della frontiera meridionale dell’Occidente! Tutto questo, insieme ad altri fattori come le azioni dei Gruppi Armati Terroristi e il commercio di droga, armi e persone, ha contribuito a un notevole livello di violenza in quest’area.

I milioni di rifugiati, sfollati interni e migranti forzati ne dimostrano chiaramente gli effetti. Ma dovremmo guardare più da vicino alla forza sovversiva che si cela dietro la migrazione. Si tratta di chi, per molte ragioni, non accetta di scomparire nel silenzio dell’invisibilità della globalizzazione. Non sono d’accordo con il mondo così com’è e cercano qualcosa di diverso, che sta già avvenendo in viaggio. Ecco perché tutti i potenti guardano ai migranti con un certo sospetto!

Finalmente abbiamo la sabbia, naturalmente! A volte ce ne dimentichiamo, ma la realtà è testarda e ce lo ricorda: in fondo, noi stessi non siamo altro che sabbia, sabbia con un cuore! Da quando sono arrivato a Niamey, 12 anni fa, sono stato sedotto dalla sabbia e dalla sua umile, fedele, ineluttabile… eterna presenza! Il Sahel non è tutto sabbia, ma la sabbia è un elemento costante delle nostre strade e delle nostre vite. La sabbia si insinua, si mescola, va dappertutto ed è mobile perché si adatta alle situazioni, non si impone… Regni, presidenti, regimi militari e stai di eccezione  vanno e vengono ma la sabbia resta!

Per me, questa è la metafora più interessante per le persone, i popoli del Sahel, che stanno costruendo una nuova politica, non con la strategia ma con l’avventura quotidiana della sopravvivenza. Nel Sahel anche la geopolitica è di sabbia e chi non ne tiene in debito conto nelle sue analisi si accorgerà, col tempo e a sue spese, che tutto era già stato scritto. Il vento aveva cancellato ciò che la polvere, con ostinazione, aveva cercato di ricordare.

Le Cucine popolari di Padova: 140 anni cantiere di carità

Quasi 57.000 pasti, 2.083 prestazioni mediche, 2.696 docce, 867 cambi vestiario, 178 coperte distribuite, 2.573 persone provenienti da 82 diversi Paesi, con un 14,5% di persone italiane: questi sono i numeri dei servizi erogati nel 2021 dalle Cucine Economiche Popolari di Padova a 140 anni dalla ‘creazione’, come ha spiegato la direttrice suor Albina Zandonà:

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