Diciassettesimo giorno del #ArtsakhBlockade. La tragedia umanitaria è imminente

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 28.12.2022 – Vik van Brantegem] – Nel diciassettesimo giorno del #ArtsakhBlockade il regime autoritario dell’Azerbajgian continua con l’impiego di sedicenti ecoattivisti azeri ad interrompere l’autostrada Stepanakert-Goris, la #StradaDellaVita della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. La comunità internazionale ha permesso che il blocco deliberato di 120.000 persone in Artsakh entrasse nella sua terza settimana. Se a una dittatura è consentito di operare in questo modo liberamente senza impunità, cosa ci dice sul futuro dei valori democratici nel mondo?

Il governo della Repubblica di Artsakh ha richiesto un esame ecologico internazionale dell’operazione minerario “Base Metals”, si legge in una nota del governo: «Il governo della Repubblica di Artsakh ribadisce ancora una volta che l’industria mineraria nell’Artsakh si svolge secondo i più alti standard internazionali, ai quali si allineano anche le normative definite dalla legislazione di settore. Considerando però l’ambiente malsano creato dagli “eco-attivisti” del paese vicino e i tentativi di trarre in inganno la comunità internazionale, si è deciso di rivolgersi alle organizzazioni internazionali per condurre un esame ecologico internazionale relativo alle attività della società “Base Metals”. Insieme alla direzione dell’azienda, è stata presa la decisione di interrompere temporaneamente l’attività della miniera dell’azienda fino al completamento dell’esame. Il governo della Repubblica di Artsakh ha fatto appello alle strutture competenti delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni professionali internazionali per organizzare l’attuazione dell’esame in un breve periodo di tempo. Il governo della Repubblica di Artsakh è sempre stato favorevole al mantenimento dei migliori standard internazionali nel campo minerario ed è convinto che gli standard ambientali internazionali debbano essere applicati alle compagnie minerarie dell’intera regione».

Questa mattina, secondo il Nagorno Karabakh Observer @NKobserver su Twitter, il Comandante del contingento di mantenimento della pace russo in Artsakh, Andrei Volkov, è entrato all’edificio del governo di Artsakh a Stepanakert, possibilmente per parlare con il Ministro di Stato, Ruben Vardanyan. Nella foto sopra, un gruppo di cittadini di Artsakh in attesa fuori per fare ulteriori domande sulla chiusura della strada.

Dichiarazione di UNICEF: «Più a lungo persiste la situazione, più i bambini sperimenteranno la mancanza di prodotti alimentari di base, mentre l’accesso a molti dei servizi essenziali di cui hanno bisogno per la loro sopravvivenza, crescita sana e benessere diventerà più difficile».

1. L’Azerbajgian uccide i propri cittadini armeni in risposta al movimento per la libertà dell’Artsakh (1988-1990).
2. L’Azerbajgian spara e bombarda da 32 anni gli Armeni dell’Artsakh mentre lottano per vivere liberi dalla tirannia.
3. L’Azerbajgian ora affama “i cittadini armeni del Karabakh che hanno gli stessi diritti dei cittadini azeri in Azerbajgian”.
4. Cosa farà l’Azerbajgian con il controllo completo? Tornare a 1 per avere la risposta.

«Emmanuel Macron deve fare tutto il possibile per garantire la sicurezza degli Armeni del Nagorno-Karabakh e della Repubblica di Armenia». Al di là delle loro divergenze, undici parlamentari e leader politici di schieramenti diversi, tra cui Eric Ciotti, Olivier Faure e Fabien Roussel, in una Tribuna su Le Monde di ieri, 27 dicembre 2022 [QUI], sollecitano il Presidente francese, Emmanuel Macron, a intervenire per “prevenire l’irreparabile” e garantire la sicurezza degli Armeni del Nagorno-Karabakh. «Il blocco del Corridoio di Lachin, l’unica via di accesso all’esterno della popolazione armena di Artsakh/Nagorno-Karabakh – si legge nell’appello -, ponendo la minaccia di una grande catastrofe umanitaria. Circa 120.000 persone, tra cui 30.000 bambini, sono infatti prive di risorse, compresi cibo e forniture mediche. Per tre giorni l’Azerbajgian ha anche tagliato il gas, e quindi il riscaldamento, esponendo la popolazione al gelo. Questo evento segna un’ulteriore escalation nelle aggressioni perpetrate dal settembre 2020 dall’Azerbajgian contro Ali armeni, siano essi cittadini del Nagorno-Karabakh o della Repubblica d’Armenia, in totale violazione del diritto internazionale, delle convenzioni di Ginevra e dei negoziati nell’ambito dell’accordo del Gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), che prevedono una soluzione pacifica della questione del Nagorno-Karabakh. Tutto fa pensare che l’Azerbajgian non si fermerà qui e sfrutterà la minima occasione per continuare le sue manovre di destabilizzazione e vessazioni nei confronti delle popolazioni armene del Nagorno-Karabakh e della Repubblica di Armenia con l’obiettivo dichiarato della pulizia etnica. Crimini di guerra attestati, promozione dell’odio etnico, distruzione del patrimonio culturale armeno, attacco all’Armenia nel settembre 2022 e occupazione illegale di parte del suo territorio sovrano, ripetuti abusi contro le popolazioni civili: sono inammissibili le azioni dell’Azerbajgian, che porterebbero la Francia intervenire ovunque e in ogni circostanza. È anche una minaccia che grava su un popolo amico, “l’Armenia, nostro piccolo alleato valoroso”, come diceva Georges Clemenceau (1841-1929)».

Manifestazione a Parigi a sostegno del popolo dell’Artsakh (e colgono l’occasione per ricordare le basi della questione).

Questo è assolutamente vergognoso. Non puoi affermare di lottare per la democrazia e i diritti umani quando lecchi gli stivali di un altro dittatore. Ed ecco un po’ di chiarezza per coloro che affermano che il sanguinario dittatore che fa agli Armeni esattamente ciò che Putin fa agli Ucraini, è un “alleato” dell’Ucraina. È ancora più vergognoso quando Aliyev vende il gas di Putin all’Europa, contribuendo direttamente alle stragi in Ucraina.

L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (UNHCR) ieri con un post su Twitter ha invitato l’Armenia e l’Azerbajgian a risolvere la questione del Corridoio di Lachin attraverso il dialogo. Leggendo queste parole sorge una domanda: ma secondo l’UNHCR, chi sta bloccando l’autostrada Goris-Stepanakert? L’Armenia? «Lachin corridor [Armenia/Azerbaijan]: We call on the sides to resolve pending issues through a dialogue, urgently enable free & safe movement, protect human rights & avoid adverse humanitarian impact on civilians» (UN Human Rights @UNHumanRights 3:00 PM Dec 27, 2022) [Corridoio di Lachin [Armenia/Azerbajgian]: facciamo appello alle parti di risolvere le questioni in sospeso attraverso un dialogo, consentire urgentemente movimenti liberi e sicuri, proteggere i diritti umani ed evitare impatti umanitari negativi sui civili].

Questo post dell’UNHCR è semplicemente una barzelletta. Non c’è niente degno di nota qui, ad eccezione che “entrambe le parti” vengono messo sullo stesso piano, evitando accuratamente di stabilire la responsabilità del dittatore petrolifero azero per una crisi umanitaria in cui 120.000 armeni sono tenuti in ostaggio già per più di due settimane. Con questo tipo di dichiarazioni non si fa nient’altro che incoraggiare l’aggressore azero a continuare e raddoppiare le sue minacce di irredentismo contro gli Armeni e violare la sovranità dell’Armenia e dell’Artsakh. Si tratta di un lasciapassare per Aliyev a proseguire incensurato con le sue azioni criminali, mirate allo spopolamento dei nativi Armeni dall’Artsakh o con il loro sterminio.

«Il #ArtsakhBlockade da parte dell’Azerbajgian ha causato un forte calo della fiducia nelle forze di mantenimento della pace russe in Artsakh e nella Russia in generale. La situazione continua a degenerare ogni giorno che passa. La pazienza è limitata. La gente dell’Artsakh vuole qualcosa di semplice: il rispetto dei propri diritti» (Maro Kochinyan).

Intanto, le forze di mantenimento della pace russe in Artsakh – come l’UNHCR – continuano a dimostrarsi “neutrali”, non facendo nulla per riconsentire il transito di persone, veicoli e merci tra l’Armenia e l’Artsakh, rendendo la situazione umanitaria sempre più drammatica. Molti analisti suppongono che dietro l’atteggiamento di inamovibile estraneità del contingente russo in Artsakh via sia Putin, visto che i suoi rapporti con il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, si sono fatti sempre più tesi negli ultimi mesi, come dimostra lo scontro tra i due avvenuto a fine novembre in occasione del summit dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva. E inoltre, gli analisti suppongono anche che Putin tema uno scontro frontale con Baku poiché rischierebbe così di deteriorare i rapporti con Ankara, storico alleato dell’Azerbajgian, e di spingere Aliyev ad avvicinarsi ancora di più al blocco occidentale di cui già ora è uno dei principali fornitori di gas.

I cervelloni che accusano l’Armenia e l’Artsakh di essere gli amichetti di Putin, dovrebbero sapere che i dittatori preferiscono la compagnia di altri dittatori. Putin e la Russia non si preoccupano dell’Armenia e meno ancora degli Armeni dell’Artsakh. Stanno guardando dall’altra parte mentre il macellaio di Baku impone l’#ArtsakhBlockade.

Manifestanti dell’Artsakh ieri hanno marciato verso l’unico aeroporto della Repubblica, tenuto chiuso da 30 anni perché l’Azerbajgian minaccia di abbattere qualsiasi aereo civile che tentasse di atterrare o di decollare. Le forze di pace russe sono di stanza lì.

“Le nostre vite sono in pericolo”, affermano i manifestanti dell’Artsakh che hanno trascorso la notte all’aeroporto di Stepanakert, base delle forze di mantenimento della pace russe, chiedendo l’apertura dell’unica strada che collega l’Artsakh al mondo esterno e la messa in sicurezza del Corridoio Lachin, responsabilità della Federazione Russa secondo l’Accordo Trilaterale di cessate il fuoco del 9 novembre 2020.

«”Kamo, perché sei qui?” “Soffro di epilessia. Ho paura che finiscano le mie medicine e la strada sia ancora chiusa”» (Siranush Sargsyan).

«Perché le Nazioni Unite non stanno trasportando via aereo rifornimenti salvavita nell’Artsakh?» (Comitato Nazionale Armeno di America -ANCA).

«Since February, European Union has shipped over 77,000 tonnes of in-kind assistance to Ucraine. This includes life-saving supplies such as medicine, food, shelter items. As well as fire-fighting vehicles and mobile hospitals. Europe’s solidarity with Ukraine is only growing stronger» (Ursula von der Leyen @vonderleyen – Twitter, 27 dicembre 2022) [Da febbraio, l’Unione Europea ha spedito oltre 77.000 tonnellate di assistenza in natura all’Ucraina. Ciò include forniture salvavita come medicine, cibo, oggetti per rifugi. Oltre a veicoli antincendio e ospedali mobili. La solidarietà dell’Europa con l’Ucraina sta solo diventando più forte].

Von der Leyen non ha mostrato nemmeno un briciolo di solidarietà per i 120.000 Armeni che vivono nell’Artsakh sotto il blocco del suo fidato alleato Azerbajgian della dinastia Aliyev, a cui dal 12 dicembre scorso mancano 6.800 tonnellate di “assistenza in natura”, incluso “forniture salvavita” come medicine, cibo, carburante (e se Aliyev dovesse riprendere impunitamente i bombardamenti, anche “oggetti per rifugi”).

Dichiarazione della Fondazione “Museo-Istituto del Genocidio Armeno” di Tsitsernakaberd del 27 dicembre 2022: «Dal 12 dicembre 2022 l’Azerbajgian ha bloccato l’unica strada che collega la Repubblica di Artsakh al mondo. Nonostante le varie pretese avanzate dall’Azerbajgian, l’obiettivo strategico è costringere la popolazione della Repubblica di Artsakh a lasciare la sua patria storica. Qui l’Azerbajgian è guidato dallo stesso piano, ovvero trasformare gradualmente l’Artsakh in Nakhichevan: non ci sono Armeni, non ci sono problemi. Allo stesso tempo, ovviamente, l’Azerbajgian non sarà soddisfatto dello spopolamento dell’Artsakh. Dopo la seconda guerra dell’Artsakh nel 2020, le dichiarazioni pubbliche rilasciate dalla leadership militare e politica dell’Azerbajgian testimoniano chiaramente le sue ambizioni territoriali nei confronti della Repubblica di Armenia, compresa la capitale Yerevan. La leadership politico-militare dell’Azerbaigian è entusiasta della crescente importanza del ruolo dell’Azerbajgian a causa degli ultimi sviluppi geopolitici, comprese le crescenti opportunità di esportare gas turkmeno verso i mercati internazionali attraverso il territorio dell’Azerbajgian. Forse a Baku credono che gli interessi geopolitici e geoeconomici faranno chiudere un occhio al mondo sull’attuazione di azioni genocide contro gli Armeni dell’Artsakh e sullo scatenamento di una nuova aggressione contro la Repubblica di Armenia. Tuttavia, gli ultimi cento anni hanno definitivamente dimostrato che gli autori di genocidi e atti di genocidio non sono rimasti impuniti. Siamo sicuri che anche la leadership politico-militare dell’Azerbajgian dovrà affrontare la punizione per i crimini commessi e anche quelli pianificati contro la nazione armena, e gli Armeni della Repubblica di Artsakh continueranno a vivere e lavorare nella loro patria storica, nonostante le attuali ineffabili difficoltà che subiscono».

Il tandem turco-azero, per bocca di Aliyev, non solo minaccia l’integrità territoriale dell’Armenia, ma ha anche creato un esercito turco-azero contro i Paesi della regione. Ne è convinta l’esperta militare Karen Hovhannisyan, che intendo portare le ambizioni di Aliyev nei confronti di Yerevan e Syunik all’attenzione della comunità internazionale e renderle comprensibili.

La Turchia, che ha commesso il genocidio di 1,5 milioni di Armeni e ha occupato l’Armenia occidentale, sta parlando sempre più audacemente attraverso il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, delle sue nuove ambizioni territoriali nei confronti della Repubblica di Armenia. Hovhannisyan ha chiarito a Radiolur che dopo la guerra dei 44 giorni del 2020, Aliyev sta alzando sempre di più l’asticella, sta diffondendo più audacemente la menzogna che Yerevan, la capitale dell’Armenia, e la regione Syunik, secondo le sue affermazioni, sono “territori azeri” e che le autorità sovietiche li avrebbero “regalati” agli Armeni. “Sta cercando di raggiungere il risultato desiderato con l’asticella più alta. In altre parole, sta parlando di Yerevan, del lago di Sevan, della valle dell’Ararat. Sta cercando di raggiungere il famigerato Corridoio di Zangezur. Con le sue dichiarazioni sta cercando di insegnare alle orecchie della comunità internazionale che la Repubblica di Armenia di oggi esiste sui cosiddetti territori storici dell’Azerbajgian. Sfortunatamente, da noi non arriva una sola nota di protesta alla comunità internazionale”, ha detto Hovhannisyan.

L’esperto osserva che le forze armate congiunte turco-azere, o il cosiddetto “esercito turanico” [*] di fatto esiste e il suo scopo è agire non solo contro l’Armenia, ma anche contro i Paesi dell’intera regione. Viene creato per l’alleanza militare degli stati di lingua turca.

“L’esercito unito, ovvero turanico, di cui si è cominciato a parlare dal 2019, di fatto esiste già. Nel 2021, l’Azerbajgian non ha tenuto una sola esercitazione militare senza l’esercito turco. Forse ci sarà un malinteso sul fatto che sia diretto contro l’Armenia, ma posso affermare che è diretto contro la regione, ed è diretto contro gli stati che tradizionalmente giocano qui: Russia e Iran”.

Le alleanze politico-militari della CSTO e della NATO comprendono anche i piani del tandem turco-azero, in particolare per quanto riguarda la creazione di un’alleanza militare di stati di lingua turca. Di conseguenza, la NATO ha ripetutamente rilasciato dichiarazioni dure e Mosca, comprendendo la situazione, non sta cercando di respingere il tandem turco-azerbaigiano, ma, secondo il politologo, sta cercando di farlo con se stessa. Avendo compreso la situazione, l’Armenia non dovrebbe prepararsi alla pace ma alla guerra, afferma Hovhannisyan.

Anche l’analista politico Armen Baghdasaryan ritiene che le minacce e le ambizioni di Aliyev siano contro l’Armenia. “Ovviamente, queste non sono conversazioni vuote. In effetti, Aliyev ha ambizioni territoriali nei confronti dell’Armenia, si sta preparando intensamente e più si avvicina allo stato di preparazione, più obiettiva e aggressiva diventa la sua retorica. D’altra parte, è un’ulteriore pressione sulla parte armena per ottenere il Corridoio che avevano immaginato attraverso Syunik”.

Mosca, non avendo abbastanza opportunità per affrontare una situazione del genere, sta cercando di trarre profitto dalla situazione. La comunità internazionale risponderà solo ai problemi umanitari, è convinto l’analista. In questa situazione, secondo l’analista, non c’è alternativa alla trattativa. Il problema principale è mantenere Artsakh e garantire la sicurezza della Repubblica di Armenia.

A proposito, uno dei media autorevoli internazionali, la BBC, ha affrontato le pericolose manifestazioni della propaganda dell’odio armeno in Azerbajgian. La redazione russa ha scritto che nelle scuole dell’Azerbajgian i bambini vengono educati con gli slogan “odia il tuo nemico”. Baku continua a crescere la generazione futura con un patriottismo forzato, il che implica che i popoli vicini sono ancora lontani dalla riconciliazione.

In Azerbajgian, la parola “pro-armeno” è in realtà un insulto e i filo-armeni sono degli zimbelli, ad esempio il Presidente francese Emmanuel Macron. Un editorialista della BBC osserva che molti educatori azeri ammettono che sotto le sembianze del patriottismo si nascondono discorsi di odio e aggressioni imposti dallo Stato.

[*] Tūrān è l’antico nome iranico dell’Asia Centrale. Letteralmente significa “la terra dei Tur”. Originariamente le popolazioni del Tūrān erano di etnia iranica, anche se nel corso della storia la regione fu invasa a più riprese da popolazioni turcofone, che oggi ne costituiscono la principale componente etnica.
Il turanismo è un’ideologia nata nel XIX secolo tra Turchia, Ungheria e Germania ad opera di intellettuali ottomani, per promuovere l’unione e il “rinascimento” di tutti i popoli turanici, ovvero ugro-finnici (ugrici in particolare), turchici e mongolici. Il termine si basa sul nome geografico del bassopiano turanico, posto tra gli attuali stati dell’Asia Centrale di Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan, area da cui un tempo si credeva derivassero alcune lingue uralo-altaiche (in particolare le ugriche, le mongole, e in alcune interpretazioni anche quelle coreane e giapponesi). Geograficamente il bassopiano turanico costituisce, assieme all’altopiano iranico, la regione della Grande Persia.
Il turanismo è ritenuto tra i maggiori capisaldi della dottrina di politica estera del Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, assieme al panturchismo e al richiamo al passato storico dell’Impero ottomano.
Nel corso della Prima guerra mondiale si compie, nei territori dell’Impero ottomano, il genocidio del popolo armeno. Il governo ultranazionalista dei Giovani Turchi, emanazione del partito “Unione e Progresso”, sceglie di turchizzare l’area anatolica e decide di deportare e sterminare l’etnia armena presente nel territorio fin dal 7° secolo a.C, integrata ma non assimilabile. Il genocidio degli Armeni viene oggi considerato il prototipo dei genocidi successivi.
Il movente fondamentale che ispirò l’azione di governo dei Giovani Turchi fu l’ideologia panturchista, il sogno di un immenso territorio dal Mediterraneo all’altopiano turanico e la determinazione a riformare lo Stato su una base monoetnica, linguisticamente e culturalmente omogenea. Armeni, Greci, Assiri, Ebrei: l’Impero ottomano era costituito di fatto da un mosaico di etnie e religioni. La popolazione armena, la più numerosa, di religione cristiana, che aveva assorbito gli ideali dello stato di diritto di stampo occidentale, con le sue richieste di uguaglianza, costituiva un ostacolo al progetto di omogeneizzazione del regime. L’obiettivo degli ottomani era la cancellazione della comunità armena come soggetto storico, culturale e soprattutto politico. Non secondaria fu la rapina dei beni e delle terre degli Armeni che servì da base economica alla futura repubblica kemalista.
Un milione e mezzo, i due terzi degli Armeni dell‘Impero ottomano. Molti furono i bambini islamizzati e le donne inviate negli harem.
La storiografia ufficiale turca nega che ci sia stato un piano intenzionale e specifico di sterminio e considera i massacri una dolorosa conseguenza della guerra che ha colpito sia la popolazione armena sia la popolazione turca. Parlare di genocidio in Turchia può costare il carcere e anche il riconoscimento del genocidio da parte di un Paese terzo suscita le proteste di Ankara.
In realtà la Grande Guerra fu un’utile circostanza per risolvere una volta per tutte il problema armeno e anche per mascherare l’intenzionalità del progetto di sterminio.
La montagna sacra, l’Ararat, che oggi appartiene alla Turchia ma che gli Armeni della piccola Repubblica indipendente sorta nel 1992 dalla dissoluzione dell’Impero sovietico possono contemplare oltre la frontiera turca, alimenta quotidianamente un sentimento di perdita. Sulla Collina delle Rondini (Dzidzernagapert), nella capitale Yerevan, il Memoriale del Metz Yeghern, il Grande Male, racchiude ed esprime l’imponenza della tragedia.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI].

Foto di copertina: le forze speciali dell’Azerbajgian schierati dietro la rete lunga la strada Stepanakert-Goris nel Corridoio di Gerdzor (Lachin) vicino a Sushi, la città della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh occupata dall’8 novembre 2020 dalle forze armate azere, dove i manifestanti azeri organizzati dallo Stato azero sono accampati dal 12 dicembre, bloccando collegamento dell’Artsakh con l’Armenia e il resto del mondo.

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