Dodicesimo giorno del #ArtsakhBlockade – Seconda parte. Il regime azero ha murato vivi 120.000 Armeni in Nagorno-Karabakh

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.12.2022 – Vik van Brantegem] – Entrati del dodicesimo giorno del blocco dell’Artsakh da parte di sedicenti eco-attivisti azeri, riportiamo un’articolo dell’amico e collega Renato Farina pubblicato oggi su Libero Quotidiano, in cui descrive la tecnica della “diplomazia al caviale” con cui l’Azerbajgian da 20 anni blandisce i funzionari e politici nell’Unione Europea per garantirsi l’appoggio.

II regime di Aliyev ha ripreso con la forza la regione del Nagomo-Karabakh: l’esercito azero, coadiuvato dai Turchi e dai mercenari siriani, a fine 2020 ha invaso la Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh e fatto facile strage di Armeni nella certezza di non essere sanzionati da alcuno Stato del mondo. L’eurodeputato tedesco Engin Eroglu (gruppo Renew) era uno strenuo oppositore del regime azero. Insieme allo sloveno Franc Bogovic del Gruppo Cristiano Democratico partecipò a una missione in Azerbaijan con una nutrita delegazione. Ora si schierano per l’amicizia con il regime dittatoriale de guerrafondaio di Ilham Aliyev. Guidavano la commissione che finanziò il vanto ecologico degli Azeri, i villaggi smart.

“Non esiste solo la violenza delle armi, esiste la violenza verbale, la violenza psicologica, la violenza dell’abuso di potere”, ha detto Papa Francesco nella parte finale del suo discorso alla Curia Romana per gli auguri natalizi di ieri, 22 dicembre 2022. Alla violenza verbale, violenza psicologica, violenza dell’abuso di potere di Aliyev e del suo regime abbiamo assistito per 20 anni, duranti il tempo della “diplomazia al caviale”. Poi, queste violenze sono finite nella violenza delle armi. Nel frattempo la “diplomazia al caviale” è stata intensificata per garantire alla dittatura azera di farla franca.

Il popolo armeno dell’Artsakh
è tenuto in ostaggio
#ArtsakhBlockade
#RoadOfLife
#UnblockTheRoad

La meravigliosa e eloquente canzone del gruppo “Vita” dei bambini di Artsakh bloccati a Yerevan, che chiedono l’apertura della “Strada della Vita” che porta a casa.

Cosa è successo nel Caucaso meridionale?

Il 12 dicembre 2022 alle ore 10.30, cittadini azeri che affermano di essere attivisti ambientalisti hanno chiuso il Corridoio di Berdzor (Lachin), bloccando con il pretesto di controlli ambientali l’autostrada Stepanakert-Goris che è l’unica via – la “Strada della Vita” – che collega l’Armenia con la autoproclamata e non riconosciuta Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh popolata da Armeni. Gli Azeri chiedono la cessazione dell’attività mineraria nella regione di Martakert dell’Artsakh per motivi ecologici, mentre la società Anglo-Asian Mining ne chiedo il libero accesso per poter assumere le attività minerarie. La sera del 13 dicembre, l’Azerbajgian ha interrotto le forniture di gas dall’Armenia al territorio dell’Artsakh e gli abitanti sono rimasti senza riscaldamento (a metà dicembre, la temperatura può scendere fino a -10 gradi). L’Azerbajgian ha poi riaperto il gasdotto. Però, oltre al fatto che gli Azeri avevano tagliato il gas già marzo, ci sono seri timori di un futuro black out completo.

Attualmente, 120.000 cittadini dell’Artsakh – un quarto dei quali sono bambini – vivono senza pace e senza strada, con la conseguente mancanza di medicine e cibo, con famiglie separate e con una crisi energetica. Vivono de facto nella più grande prigione all’aria aperta del mondo, sull’orlo di una catastrofe umanitaria. Molto presto potrebbero perdere l’accesso totale a medicine, cibo e carburante, poiché le risorse esistenti sono limitate ed è impossibile ricevere rifornimenti aggiuntivi a causa del blocco della “Strada della Vita”. Il 14 dicembre, il Ministro di Stato dell’Artsakh, Ruben Vardanyan, ha introdotto un protocollo per il risparmio di carburante: al momento la priorità è il lavoro ininterrotto di ambulanze, trasporti pubblici e servizi speciali. A più di 1.000 persone che viaggiavano lungo la strada è stato impedito di tornare alle loro case ad Artsakh e sono rimaste bloccate, impossibilitate a ricongiungersi con le loro famiglie.

Questo non è il primo blocco del territorio dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian. Ogni volta, le azioni dell’Azerbajgian sono state illegali. In primo luogo, il blocco del Corridoio di Lachin è una violazione delle norme e dei principi fondamentali del diritto internazionale. In secondo luogo, bloccare l’unica strada che collega l’Artsakh con il mondo esterno è una violazione diretta del paragrafo 6 dell’accordo tripartito di cessate il fuoco del 9 novembre 2020, che ha sospeso la guerra dei 44 giorni del 2020. Il garante di questo accordo è la forza di mantenimento della pace russa di stanza nella regione. Ora, anche il loro posto è bloccato e difficilmente riescono a frenare i sedicenti “eco-attivisti” azeri. La situazione lungo la linea di contatto tenda di aggravarsi.

Sfortunatamente, gli attacchi terroristici azeri lungo la linea di contatto stanno già diventando una nuova norma. Ricordiamo che il 9 novembre 2020 Armenia, Azerbajgian e Russia hanno firmato l’accordo tripartito per concludere con un cessate il fuoco la guerra di 44 giorni scatenata dall’Azerbajgian in Nagorno-Karabakh. Dal 1° al 3 agosto 2022, le forze armate azere hanno violato il cessate il fuoco, provocando scontri con il non riconosciuto esercito di difesa della Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh. Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 2022, le forze armate azere hanno bombardato Jermuk, Goris, Sotk e Vardenis in Armenia. Questa escalation è stata senza precedenti, poiché l’Azerbajgian ha attaccato e occupato territori sovrano dell’Armenia vera e propria, che non erano collegati alla non riconosciuta Repubblica di Artsakh/Nagorno-Karabakh.

Cosa possiamo fare noi, testimoni della crisi umanitaria in atto nel’Artsakh?

Un’altra conseguenza del #ArtsakhBlockade è sul piano dell’informazione. Gli Azeri stanno attualmente tentando di bloccare il flusso di informazioni – tramite comunicazioni telefoniche e via Internet – al fine di privare gli abitanti dell’Artsakh dell’opportunità di accedere alle notizie e ottenere un quadro affidabile di ciò che accade intorno a loro.

Poi, solo la diffusione della verità su quanto sta succedendo in Artsakh e la pressione politica-diplomatica internazionale possono impedire all’Azerbajgian di proseguire con le azioni illegali. Ogni minuto del blocco disumano infligge perdite irreparabili alle orgogliose ma poche Armeni dell’Artsakh. L’attacco terroristico dell’Azerbajgian, ricco di risorse, avrà conseguenze disastrose. Già migliaia di famiglie sono rimaste senza la possibilità di riscaldare le loro case, poiché le persone non hanno accesso al combustibile, e molto presto si ritroveranno senza cibo e medicine necessarie, perché sono tagliate fuori dal mondo. Il blocco del Corridoio di Lachin ha tutti i segni di un’azione genocida azera contro il popolo armeno dell’Artsakh. La situazione sta peggiorando di minuto in minuto, quindi le aspirazioni estremiste dell’Azerbajgian devono essere frenate il prima possibile.

#UnblockTheRoad

120.000 Armeni (tra cui 30.000 bambini) dell’Artsakh hanno bisogno urgente del nostro aiuto. Non dobbiamo lasciare che il popolo dell’Artsakh affronti questa devastante crisi creata dal regime azero. La “Strada della Vita deve essere sbloccata.

Il Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev alla cerimonia del “Giorno della Vittoria” a Shushi l’8 settembre 2022 ha ammesso per la prima volta che l’Azerbaijan ha iniziato la seconda guerra del Nagorno-Karabakh. Nella foto: “Il vittorioso Comandante in capo delle forze armate Ilham Aliyev, la sua moglie Mehriban Aliyeva e il loro figlio Heydar Aliyev” (AZARTAC, l’agenzia di stampa statale dell’Azerbajgian) [QUI].

Nuovo fronte
Diplomazia al caviale con gli eurodeputati: regali sospetti dell’Azerbaigian
Due onorevoli, un tedesco e uno sloveno, sono diventati strenui difensori del regime autocratico. Dopo uno strano viaggio…

di Renato Farina
Libero Quotidiano, 23 dicembre 2022


Si chiama «diplomazia del caviale». È la tecnica con cui da almeno 20 anni l’Azerbajgian adesca e tira dalla sua parte giornalisti, funzionari europei, deputati e affini dislocati nei vari consessi internazionali. Ottiene così il silenzio sulla natura autocratica del regime, l’omertà sull’assenza della libertà di stampa e di opinione; al contrario raccoglie elogi sperticati per le scelte illuminate e generose del Presidente llham Aliyev e della Vicepresidente-Consorte, spesso e volentieri in tuta mimetica.

A che scopo questo dispendio di uova di storione? Trasformare la programmata aggressione alla Repubblica indipendente di Artsakh/Nagomo-Karabakh, popolata di Armeni, in una passeggiata trionfale nella totale inerzia dell’opinione pubblica e delle istituzioni occidentali. È andata precisamente in questo modo, quando nel settembre del 2020, per 44 giorni, e poi ancora nel settembre scorso, per meno di una settimana, l’esercito azero, coadiuvato dai turchi e dai mercenari siriani, ha invaso e fatto facile strage di Armeni nella certezza di non essere sanzionati da alcuno Stato del mondo.

Il fascinoso cocktail di caviale e di gas pescati dal Mar Caspio ha intontito la sensibilità umanitaria del pianeta fino a un attimo fa. Il venire alla luce della sfacciata corruzione condotta dal Qatar sta facendo saltare i coperchi dei vasetti di Beluga made in Baku. Hanno cominciato gli Svedesi. Per la precisione il sito di controinformazioni e inchieste Blankspot.se [QUI]. Ha individuato lo strano cambiamento di visione del mondo di due importanti eurodeputati, leader di una commissione decisiva per finanziare “villaggi smart” che sono il vanto ecologico degli Azeri.

Rasmussen Canback e Sasha Duerkop avevano osservato le mosse in particolare di chi improvvisamente ha ribaltato il proprio giudizio sull’Azerbajgian. Ad esempio. L’eurodeputato tedesco Engin Eroglu (gruppo Renew, i macroniani) si era fatto un nome presentando costantemente risoluzioni critiche nei confronti della dittatura.

Bacio alla pantofola

Il 14 settembre, all’apertura del Parlamento europeo, Eroglu aveva aspramente dissentito da Ursula von der Leyen per il suo viaggio a Baku dove aveva baciato la pantofola al dittatore Ilham Aliyev. Passa poco tempo, e giura di non aver pronunciato «alcuna parola critica nei confronti dell’Azerbajgian».

Due settimane dopo, eccolo in Azerbajgian con una nutrita delegazione. Oltre a lui c’era il parlamentare sloveno Franc Bogovic del Gruppo Cristiano Democratico. Numerosi collaboratori con aereo pagato, il soggiorno non si sa, i regali non dichiarati. Interviste ai media locali, visite trionfali in città e borghi. Lo scopo principale del viaggio della delegazione era quello di visitare i citati villaggi smart, nella regione di Zangilan: ehi, proprio nelle zone che il regime di Aliyev ha ripreso con la forza dagli Armeni del Nagorno-Karabakh nel 2020.

Diciamola tutta: il territorio appartiene formalmente all’Azerbajgian. Dunque terra azera a tutti gli effetti? C’è un problema. Si chiama autodeterminazione dei popoli. Gli Armeni che abitano lì da secoli e secoli, alla caduta dell’URSS presero il controllo dell’area (1992). Dopo 30 anni, e molta diplomazia del caviale, l’Azerbajgian ha abbandonato i negoziati di pace dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) voluti dalle Nazioni Unite. Ha invaso il Nagorno-Karabakh. Una azione che Freedom House ha definito «un’ispirazione per l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia».

Torniamo ai due eurodeputati. Che magnifica conversione. Deve esserci stata qualche magia. In febbraio avevano votato la condanna per gli scempi delle vestigia cristiane massicciamente perpetrati a partire dal settembre 2020. Adesso esigono una vigorosa amicizia europea con i vandali. In precedenza ancora gli Svedesi avevano dimostrato la potenza delle fake news gestite dal palazzo presidenziale di Baku per dissimulare gli orrori azeri e incolparne con immensi sciami di tweet gli Armeni.

Il nodo gas

Bravi gli Scandinavi. Per loro non è un problema: non hanno bisogno del gas su cui galleggia l’Azerbajgian. L’Italia invece sì. Sfiorare anche solo con un piumino da borotalco il dittatore llham Aliyev rischierebbe di incasinare le forniture di metano di cui abbiamo necessità se si vuol evitare lo stop al riscaldamento delle case e il fermo delle fabbriche.

Eppure persino la Grecia, che come noi usufruisce della Tap, ha speso delle parole non per dare addosso a Baku, ma per consentire un gesto umanitario. Almeno questo ci si aspetta dal Quirinale e dal Governo, imitando le parole del Papa che neppure ha citato Stati ed etnie, ma solo il luogo dove sta accadendo qualcosa di atroce. «Sud del Caucaso, Corridoio di Lachin».

Ci sono 120mila Armeni del Nagorno-Karabakh (in armeno Artsakh), di cui 30mila bambini, murati senza rifornimenti di viveri, carburante, medicinali in un piccolo territorio la cui unica via di comunicazione con l’Armenia e il resto del mondo è sbarrata. È il Corridoio di Lachin, da 12 giorni bloccato dai militanti di un incredibile movimento ecologista azero, inventato dalla fantasia del regime, con il pretesto di impedire il furto di oro e rame dalla sacra terra azera (in realtà sono i luoghi ancestrali della civiltà armena).

Ne avete letto da qualche parte? Forza Giorgia. Come scrisse Solzhenitsyn: «Una parola dolce spezza le ossa», libera i ragazzini.

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI].

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