Il Crocifisso col volto della Sacra Sindone. Dono di Ferdinando IV di Borbone a Castellammare di Stabia

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 12.10.2022 – Vik van Brantegem] – Entrando nella maestosa concattedrale dedicata a Maria Santissima Assunta e San Catello, chiesa principale e cuore religioso di Castellammare di Stabia, abbiamo contemplato con grande emozione la preziosissima raffigurazione di Cristo crocifisso che accoglie i fedeli nel nartece. Stando qui – in questo luogo che nelle basiliche paleocristiane era la parte riservata ai catecumeni e ai penitenti, costituita da un vestibolo per lo più addossato all’esterno della facciata – ai suoi piedi, collocato così in alto, non è facile cogliere – come nel dettaglio delle foto – la stupenda somiglianza con l’immagine della Sacra Sindone del volto del Crocifisso, che a grandezza naturale riporta misure e dettagli del sacro lino conservato a Torino. Una storia tutta da scoprire.

L’albero della libertà al confine della Repubblica di Mainz, durante le Guerre rivoluzionarie francesi in un acquerello di Johann Wolfgang von Goethe, 1793.

L’”albero della libertà” giacobino

Durante la Rivoluzione francese i repubblicani piantarono il primo “albero della libertà” nel 1790, a Parigi. Gli “alberi della libertà” vennero successivamente piantati in ogni municipio di Francia e in altri Paesi. Andando indietro nella storia apprendiamo, che gli invasori francesi e le repubbliche giacobine imposero ovunque, anche nelle città e nei paesi del Regno di Napoli, gli “alberi della libertà” della “religione” rivoluzionaria.

Nelle intenzioni dei rivoluzionai avrebbero dovuto soppiantare il Cristianesimo. Questi simboli paganeggianti, provocatoriamente furono piantati generalmente nelle piazze principali, spesso provocatoriamente di fronte alla chiesa principale delle città e dei paesi. I rivoluzionar giacobini volevano che l’albero sostituisse ovunque il Crocifisso.

L’albero della libertà eretto a Napoli durante la Repubblica Napoletana in una veduta di Santa Lucia (Largo di Palazzo) e San Martino,1799.
L’esercito francese del giovanissimo Generale Jean-Étienne Vachier detto Championnet  entra a Napoli il 23 gennaio 1799 e con sua approvazione e suo appoggio viene proclamata la Repubblica Napoletana. Il Cardinale Fabrizio Ruffo con pochi compagni sbarca il 7 febbraio in Calabria con l’assenso regio e riesce a costituire in poco tempo un’armata popolare (l’Esercito della Santa Fede) e a impadronirsi rapidamente della regione e quindi della Basilicata e delle Puglie. I francesi sono costretti a ritirarsi, prima dalle province e il 7 maggio anche da Napoli. I repubblicani tentano di difendersi da soli contro l’armata sanfedista che giunge da Sud, ma il 13 giugno la città è raggiunta e viene riconquistata dalle armate del Cardinale Ruffo nell’ultima battaglia al Ponte della Maddalena e nonostante. Tra il 18 e il 22 giugno si arrendono Castel dell’Ovo, Castel Nuovo e Castel Sant’Elmo, gli ultimi forti cittadini in mano ai repubblicani.

Un decreto della Convenzione del 1792 regolava l’uso e l’addobbo dell’”albero della libertà. Non doveva necessariamente essere una vera e propria pianta, bensì poteva consistere anche soltanto di una semplice asta o palo di legno pavesato con nastri tricolori (azzurro, bianco, rosso in quello francese; verde, bianco, rosso in quello italiano) ed incoronato col berretto frigio rosso e adorno di bandiere. Ai suoi piedi venivano celebrate le feste rivoluzionari, accompagnate dalla danza della Carmagnola e cerimonie civili, tra cui il giuramento dei magistrati, i falò di diplomi nobiliari e anche i sacrileghi “matrimoni repubblicani”.

La sostituzione degli “alberi della libertà” con dei Crocifissi

Gli odiati simboli dell’oppressione ideologica giacobina venivano abbattuti dalla popolazione, non appena le milizie francesi, unico reale sostegno del governo giacobino, abbandonavano il paese o la città. Al ritorno dei governi legittimi, nei luoghi dove erano stati eretti tali alberi, vennero posti Crocifissi, in origine in segno di riparazione con “funzione redimente o di bonifica religiosa”. Quindi, lo scopo originario era il risanamento dell’offesa giacobina sgradita al clero e al popolo. Da quel momento in poi, i Crocifissi divennero un vero e proprio punto di riferimento e oggetto di culto per la popolazione stabiese.

S.M. Ferdinando IV, ritornato sul trono di Napoli, donò in tutto il Regno vari Crocifissi, a grandezza naturale, fatti dipingere su legno, da erigersi ad espiazione dei sacrileghi “alberi della libertà”. Il documento che lo attesta, custodito nell’Archivio Storico della Chiesa del Purgatorio, è una delibera in data 14 luglio 1799. In essa si attesta che a Castellammare di Stabbia vi fu una imponente processione durante la quale furono piantate dei Crocifissi «nei luoghi ove v’erano piantati l’Infami Alberi della perfida e sedicente Repubblica (…), sì per rendere ringraziamento al Signore Iddio per la grazia fatta (…), sì per ratificare l’attaccamento all’amabilissimo (…) Sovrano, per inneggiare infine al Santo Protettore per aver ottenuto da Dio di non morire abbruggiati dal fuoco del cannone e Bombe minacciavano li perfidi infami Giacobini».

Ferdinando all’età di nove anni.

Ferdinando di Borbone delle Due Sicilie

S.M. Ferdinando di Borbone delle Due Sicilie (Napoli, 12 gennaio 1751 – Napoli, 4 gennaio 1825) è stato Re di Napoli con il nome di Ferdinando IV, dal 6 ottobre 1759 al 23 gennaio 1799, dal 13 giugno 1799 al 30 marzo 1806 e dal 22 maggio 1815 al 12 dicembre 1816, nonché Re di Sicilia con il nome di Ferdinando III dal 6 ottobre 1759 al 12 dicembre 1816. Dopo questa data, con il Congresso di Vienna e con l’unificazione delle due monarchie nel Regno delle Due Sicilie, fu sovrano di tale regno con il nome di Ferdinando I dal 12 dicembre 1816 al 4 gennaio 1825. Era il primo sovrano della casata dei Borbone di Napoli nato nel Regno, ma terzo Borbone a regnare sulle Due Sicilie dopo il padre Carlo di Borbone (primo Borbone a regnare sulle Due Sicilie indipendenti), nato a Madrid nel 1716, e il nonno Filippo V di Spagna, nato nel castello di Versailles nel 1683. Il suo regno, durato oltre sessantacinque anni (dal 1759 al 1767 ebbe però un reggente), è uno dei più lunghi nella storia degli Stati preunitari italiani ed è al nono posto tra i regni più lunghi della storia.

Il Regno delle Due Sicilie

Il Regno delle Due Sicilie – nato con l’unificazione del Regno di Napoli e del Regno di Sicilia – comprendeva le attuali regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia per intero, Campania (eccetto Benevento), il Lazio orientale (con riferimento alle zone di Leonessa, Amatrice, Cittaducale e al Cicolano), il Lazio meridionale (con riferimento a tutta l’area che va da Sperlonga fino a Sora, eccetto Pontecorvo, e che comprende centri più importanti come Fondi, Itri, Formia, Gaeta, Aquino, Cassino, Atina) e l’arcipelago di Pelagosa.

Il Crocifisso di Re Ferdinando IV della concattedrale di Castellammare di Stabia

Il Crocifisso più grande tra quelli donati da Re Ferdinando IV a Castellamare di Stabia, giaceva in un deposito della concattedrale. Fu riscoperto grazie all’interessamento del Dott. Luigi Esposito, Socio corrispondente dell’Accademia di Scienze Forestali, che ne ha ricostruito la storia.

Nel 2021. il Dott. Esposito ha mobilitato un gruppo di volenterosi fedeli stabiesi per la raccolta dei fondi necessari al restauro, a cui si è aggiunta la sponsorizzazione della Delegazione di Napoli e Campania del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, guidata dal Delegato, il Nob. Manuel de Goyzueta dei Marchesi di Toverena e di Trentinara, Cavaliere di Giustizia, unitamente all’interessamento del Nob. Prof. Gianandrea dei Baroni de Antonellis.

Questo sforzo e buona volontà ha portato al recupero di un’opera così particolare spiritualmente e storicamente significativa, con il  restauro conservativo effettuato dalla Dott.ssa Maria Consiglia Stile, collaboratrice della Soprintendenza alle Belle Arti.

Completato l’importante intervento, giovedì 18 novembre 2021 il Crocifisso ha ritrovato il suo originario alloggiamento, posizionato nel nartece della concattedrale di Maria Santissima Assunta e San Catello, rivolto verso la piazza principale di Castellammare di Stabia, a protezione ideale dell’intera città. Così, dopo tanti anni di oblio, fu restituito alla venerazione dei fedeli il Crocefisso con il volto della Sacra Sindone, con il beneplacito di Mons. Francesco Alfano, Arcivescovo di Sorrento-Castellammare di Stabia; Don Antonino D’Esposito, l’allora Parroco di Santa Maria Assunta e San Catello-Concattedrale (a cui è succeduto Don Antonio De Simone, che farà il suo ingresso canonico il prossimo 16 ottobre); e Don Pasquale Vanacore, Direttore dell’Ufficio Beni Culturali, Cappellano dell’Ordine Costantiniano.

Il Dott. Esposito ha spiegato che «circola voce che l’artigiano che lo dipinse volle rifarsi a misure e fattezze della Sacra Sindone della quale all’epoca cominciavano a circolare delle raffigurazioni. Se ciò fosse vero, così come parrebbe dai bozzetti, questo Crocefisso avrebbe un valore mistico anche superiore a quello che si stimava, che era di entità storica ed evocativa di una battaglia per il cristianesimo che continua ai nostri giorni, anche con l’impegno che è stato profuso per questo restauro e il suo riposizionamento all’ingresso della concattedrale di Castellammare di Stabia».

La targa di ottone posto ai piedi del Crocifisso, al fine di ricordare l’importante evento storico-artistico-spirituale.

Regnavit a ligno Deus

Sulla targa che è stata posta ieri, 11 ottobre 2022, ai piedi del Crocifisso, che ci accoglie quando entriamo alla concattedrale di Castellammare di Stabia è scritto Regnavit a ligno Deus (Dio regnava da un legno). È un verso tratto dal Vexilla regis, l’inno le cui parole sono tratte dal poemetto composto da Venanzio Fortunato in occasione dell’arrivo della reliquia della Vera Croce a Poitiers. Viene principalmente cantato il Venerdì santo in onore della Santa Croce, nella ricorrenza della festa, ormai soppressa, della Invenzione della Croce (3 maggio), e nella celebrazione della Esaltazione della Santa Croce (14 settembre). L’inno ha sempre avuto una grande importanza nella storia della musica. Veniva tradizionalmente cantato nelle processioni precedute dalla Croce. Celebre l’esecuzione con coro a cappella, che accompagna la processione del Santo Legno e del Cristo Morto il venerdì santo a Mola di Bari, e del Cristo Morto e della Pietà a Molfetta, e a Barcellona Pozzo di Gotto. Il Vexilla Regi è stato anche l’inno dell’Esercito Reale e Cattolico che nel 1793 combatté i rivoluzionari in Vandea.

Regnavit a ligno Deus significa che la Croce è il trono dal quale Dio regna. Il nostro Dio non è un re che governa le nazioni con la violenza, la forza, l’intimidazione o la punizione, ma con la fragilità e la debolezza dell’amante. Chi ama è debole e si lascia possedere, si consegna all’amato e alla sua libertà, si lascia tradire. Il verbo tradire infatti significa consegnare. “Umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte ed alla morte di croce. Per questo, Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e negli inferi; ed ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2,8-11).

Ecco qui il mandato che viene dalla Croce. Se dalla Croce Dio regna con la legge dell’amore gratuito, così è la consegna fatta a noi: se io che sono Maestro e Signore vi ho lavato i piedi così fate anche voi gli uni agli altri. Per salvare il mondo e per salvare noi stessi è necessaria proprio la nostra croce. Specialmente in questa nostra epoca, caratterizzata dalle guerre in tutte le parti del mondo, sono necessari il messaggio e l’esempio della mortificazione e del sacrificio che sta in ginocchio. Oggi è tempo della necessità del Vangelo risplende con forza, della Verità tutta intera. Oggi è tempo dei cercatori della Verità che non si riempiono la bocca di stupidità mediatica, ma cercano il linguaggio di Dio, nel quotidiano cammino dietro a Gesù. Lui dalla Croce regna, noi nella sua Croce viviamo la gioia del Vangelo: Signore tu sai che ti amo.

Il Crocifisso di piazza “Orologio”

Anche un altro Crocifisso donati da Re Ferdinando IV a Castellammare di Stabia, per numerosi anni era mancato all’esposizione, perché conservato in ambiente chiuso per preservarlo da una possibile rovinosa fine, in attesa dei fondi necessari per operare un opportuno restauro conservativo.

Il Dott. Francesco Saverio Santoro, da esperto conoscitore della storia locale, l’ha fatto restaurare e con ciò ha donato rinnovato splendore alla settecentesca opera lignea, preservando da sicuro oblio questo autentico pezzo di storia stabiese.

Nel luglio 2010 il Crocifisso è stato ricollocato a conclusione dei lavori di rifacimento della facciata del palazzo all’ingresso del porto in piazza “Orologio” (dal dismesso orologio del Cantiere Navale che vi fu collocato nel 1871), già piazza Mercato, luogo che oggi la toponomastica stradale riconosce come piazza Cristoforo Colombo.

L’antica piazza del Mercato è stata riprodotta nel corso del XIX secolo dai maggiori artisti italiani ed europei. Questa piazza era una tappa obbligata, insieme con il Santuario di Pozzano, per i viaggiatori dell’epoca, che da Napoli si recavano nella penisola sorrentina ed amalfitana, posta com’era il luogo lungo questa direttrice. Nella sterminata produzione di stampe, quadri e disegni che rappresentano la piazza, presenti in moltissimi musei europei, si vede l’immancabile crocifisso.

Per meglio delineare e far conoscere quale storia questo antico Crocifisso porta con sé, riportiamo un breve passo da Stabiae e Castellammare di Stabia, la antologia storica del Sovrintendente Michele Palumbo, edita nel 1972: «Il prof. Maiuri diceva che al tempo dell’occupazione francese, regnando a Napoli Gioacchino Murat, in detta piazza, e così pure al Largo Spirito Santo e al Largo della salita Visanola, sorgeva l’albero della libertà e vi funzionava il tribunale per il popolo. La parola libertà e i provvedimenti restrittivi del Governo contro il Clero, facevano ritenere profanati questi posti, per cui caduto il regime napoleonico e tornati i Borbone, al fine di sanare il non gradito ricordo del passato, vi furono erette delle edicole, con entro l’immagine del Crocefisso (…). In origine nella nostra piazza Mercato le edicole erano due: una con l’immagine della Madonna e l’altra con quella del Crocefisso; ma nel 1935, rimodernato il frontone del palazzo di proprietà della famiglia Quartuccio, su cui si appoggiavano, le edicole, vi fu sistemata la sola immagine del Crocefisso che attualmente si vede».

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