Papa Francesco:“In ogni fratello e sorella in difficoltà noi abbracciamo la carne sofferente di Cristo”

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“Non sono le cose, l’avere, gli idoli del mondo ad essere la vera ricchezza e a dare la vera gioia, ma è il seguire Cristo e il servire gli altri”. Inizia così il discorso pronunciato da Papa Francesco nel corso della sua visita all’Ospedale “São Francisco de Assis na Providência de Deus”, dove ha inaugurato il Polo di Attenzione Integrale alla Salute Mentale, che può assistere settanta tossicodipendenti nelle fasi critiche. Il Papa ha definito questa struttura, operativa sia nel recupero delle dipendenze da droghe e alcool sia nell’assistenza medico-chirurgica gratuita agli indigenti, un “particolare santuario della sofferenza umana”, dove si fa concreta la parabola del Buon Samaritano: “Qui non c’è l’indifferenza, ma l’attenzione, non c’è il disinteresse, ma l’amore”.
Francesco ricorda la “conversione” del santo da cui l’ospedale prende il nome: “il giovane Francesco abbandona ricchezze e comodità del mondo per farsi povero tra i poveri” e ciò avviene dopo l’abbraccio a un lebbroso. “Quel fratello sofferente, emarginato – nota il Papa citando l’enciclica Lumen fidei – è stato «mediatore di luce […] per San Francesco d’Assisi», perché in ogni fratello e sorella in difficoltà noi abbracciamo la carne sofferente di Cristo”. Così anche il Pontefice, in questo luogo di lotta contro la “dipendenza chimica”, intende oggi “abbracciare ciascuno e ciascuna di voi, voi che siete la carne di Cristo, e chiedere che Dio riempia di senso e di ferma speranza il vostro cammino, e anche il mio”.
Attualmente sono numerose, in Brasile come nel mondo, le situazioni che richiedono attenzione. “Abbiamo tutti bisogno di imparare ad abbracciare chi è nel bisogno”, per “esprimere vicinanza, affetto, amore”, ma spesso nelle nostre società prevale “l’egoismo”, e abbondano i “mercanti di morte”, che “seguono la logica del potere e del denaro ad ogni costo”, considera il Pontefice. La “piaga del narcotraffico, che favorisce la violenza e semina dolore e morte”, ribadisce Papa Francesco, “richiede un atto di coraggio di tutta la società”. “Non è con la liberalizzazione dell’uso delle droghe, come si sta discutendo in varie parti dell’America Latina – ammonisce –, che si potrà ridurre la diffusione e l’influenza della dipendenza chimica”. Occorre piuttosto “affrontare i problemi che sono alla base del loro uso, promuovendo una maggiore giustizia, educando i giovani ai valori che costruiscono la vita comune, accompagnando chi è in difficoltà e donando speranza nel futuro”. E “guardare l’altro con gli occhi di amore di Cristo”.
Ma abbracciare non è sufficiente. Si deve tendere la mano a chi è in difficoltà, a chi è caduto nel buio della dipendenza, e dirgli: “Puoi rialzarti, puoi risalire, è faticoso, ma è possibile se tu lo vuoi”.
Tuttavia ciascuno dev’essere “protagonista della salita”, nessuno la può percorrere al suo posto, anche se si troverà la mano tesa di chi lo vuole aiutare, perché “la Chiesa e tante persone vi sono vicine”. “La vostra è una traversata lunga e faticosa, ma guardate avanti, c’è «un futuro certo, che si colloca in una prospettiva diversa rispetto alle proposte illusorie degli idoli del mondo, ma che dona nuovo slancio e nuova forza al vivere quotidiano»”, assicura il Papa, citando nuovamente la sua enciclica –. E ribadisce con forza la sua esortazione: “Non lasciatevi rubare la speranza! Ma vorrei dire anche: non rubiamo la speranza, anzi diventiamo tutti portatori di speranza!”.
Il Papa ha quindi rivolto un saluto all’Associazione San Francesco e alla Rete di Trattamento della Dipendenza Chimica, e un ringraziamento al personale del servizio medico e ausiliare dell’ospedale: “Il vostro servizio è prezioso, fatelo sempre con amore; è un servizio fatto a Cristo presente nei fratelli”. Francesco ha infine ribadito la vicinanza della Chiesa a quanti lottano contro la dipendenza chimica e ai loro familiari: “Il Signore vi è vicino e vi tiene per mano. Guardate a Lui nei momenti più duri e vi darà consolazione e speranza”. E “confidate anche nell’amore materno di Maria sua Madre”, ha concluso il Papa, perché “dove c’è una croce da portare, lì accanto a noi c’è sempre Lei, la Madre”.

Nel cortile dell’ospedale, dove si è svolto sotto una pioggia battente l’incontro con i membri del Venerabile Terzo Ordine di San Francesco della Penitenza, i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari, i pazienti e i loro familiari, il Papa ha ascoltato le toccanti testimonianze di due pazienti dell’ospedale, che ha poi abbracciato paternamente. Di droga come “lebbra dei nostri giorni” e di “intere generazioni perse senza futuro” hanno parlato i religiosi che hanno presentato al Papa la struttura. Alla visita hanno partecipato, tra gli altri, i cardinali Bertone, segretario di Stato, e Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che ha offerto il suo contributo alla realizzazione dell’opera.
Nel suo saluto introduttivo, l’arcivescovo Orani João Tempesta ha evidenziato come il “primo impegno con il popolo delle GMG qui a Rio de Janeiro fosse quello di benedire un’attività di accoglienza e di recupero di giovani tossicodipendenti, che sarà un segno dei frutti dell’evangelizzazione e dell’amore per i fratelli e le sorelle che soffrono”.
Monsignor Tempesta la indica come un “luogo di costante testimonianza del Vangelo attraverso la traduzione della fede in opere”, ove si concentrano varie attività di prevenzione, recupero e reinserimento dei tossicodipendenti, ossia di quanti hanno bisogno di attenzione e di cure speciali “dopo aver sprecato la propria giovinezza in gioie poi diventate delusioni”. La realtà delle droghe ferisce infatti migliaia di giovani, “quindi sappiamo che questo lavoro è solo una goccia nell’oceano”.
L’arcivescovo ha ringraziato quanti lavorano nell’ospedale, “perché accogliete Cristo sofferente in ognuno di questi giovani, grazie perché siete, per loro, il riflesso dell’amore paterno e materno di Dio per ognuno di noi”. Li ha esortati a “trovare la gioia perfetta nel servizio quotidiano”, rallegrandosi di poter offrire ai giovani, tramite esso “un’eredità sociale della Giornata Mondiale della Gioventù”, “un segnale per il futuro”. “È così ancora più evidente – ha concluso – che i principali frutti della Giornata sono quelli nati nel cuore di ogni giovane, toccato dall’incontro personale con Cristo, che rivoluziona il suo modo di affrontare la vita, di relazionarsi con Dio, con se stesso e con gli altri”.

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