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Caritas: in Italia aumentano i poveri

In occasione della VIII Giornata mondiale dei poveri istituita da papa Francesco, nei giorni scorsi Caritas Italiana ha pubblicato la XXVIII edizione del Rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia, un lavoro che ha l’intento di accendere i riflettori sul fenomeno della povertà, rendendo maggiormente visibili alle comunità, civili ed ecclesiali, le tante storie di deprivazione esistenti. ‘Fili d’erba nelle crepe. Risposte di Speranza’ è questo il titolo scelto per l’edizione 2024.
Mentre la povertà assoluta continua a essere su livelli record, vari e multiformi fenomeni di disagio sociale si affacciano sul panorama italiano. Alcuni sono di vecchia data ma continuano a colpire in modo particolarmente allarmante. Si pensi ai problemi legati all’abitazione, un diritto da tempo negato a tante persone e famiglie, su più livelli di gravità.
In altri casi, le problematiche si intrecciano ad una incompiuta o inadeguata implementazione delle risposte istituzionali; è il caso degli ostacoli che impediscono l’accesso alle misure alternative al carcere o delle barriere che limitano la fruizione delle misure di reddito minimo introdotte negli ultimi anni. Eppure, nonostante le criticità che sfaldano il nostro vissuto quotidiano, si intravvedono nelle crepe dei fili d’erba verde, dei segnali di speranza, le tante riposte, opere e servizi messi in campo dalla Chiesa, dalla società civile, dall’associazionismo e dal volontariato, e che contribuiscono con il loro apporto a rendere più umano e dignitoso il nostro vivere.
Oggi in Italia vive in una condizione di povertà assoluta il 9,7% della popolazione, praticamente una persona su dieci. Complessivamente si contano 5.694.000 poveri assoluti, per un totale di oltre 2,217.000 famiglie (l’8,4% dei nuclei). Il dato, in leggero aumento rispetto al 2022 su
base familiare e stabile sul piano individuale, risulta ancora il più alto della serie storica, non accennando a diminuire. Se si guarda infatti ai dati in un’ottica longitudinale, dal 2014 ad oggi la crescita è stata quasi ininterrotta, raggiungendo picchi eccezionali dopo la pandemia, passando dal 6,9% al 9,7% sul piano individuale e dal 6,2% all’8,4% sul piano familiare.
Dal 2014 al 2023 il numero di famiglie povere residenti al Nord è praticamente raddoppiato, passando da 506.000 nuclei a quasi 1.000.000 (+97,2%); se si guarda al resto del Paese la crescita è stata molto più contenuta, +28,6% nelle aree del Centro e +12,1% in quelle del Mezzogiorno (il dato nazionale è di +42,8%). Oggi in Italia il numero delle famiglie povere delle regioni del Nord supera quello di Sud e Isole complessivamente. L’incidenza percentuale continua a essere ancora più pronunciata nel Mezzogiorno (12,0% a fronte dell’8,9% del Nord), anche se la distanza appare molto assottigliata; nove anni fa la quota di poveri nelle aree del Meridione era più che doppia rispetto al Nord: 9,6% contro il 4,2%.
Accanto alla questione ‘settentrionale’, un altro nodo da richiamare è quello della povertà minorile, che da tempo sollecita e preoccupa. L’incidenza della povertà assoluta tra i minori oggi è ai massimi storici, pari al 13,8%: si tratta del valore più alto della serie ricostruita da Istat (era 13,4% nel 2022) e di tutte le altre fasce d’età. Lo svantaggio dei minori è da intendersi ormai come endemico nel nostro Paese visto che da oltre un decennio l’incidenza della povertà tende ad aumentare proprio al diminuire dell’età: più si è giovani e più è probabile che si sperimentino condizioni di bisogno.
Complessivamente si contano 1.295.000 bambini poveri: quasi un indigente su quattro è dunque un minore. Preoccupa poi il dato sull’intensità della povertà: i nuclei dove sono presenti bambini appaiono i più poveri dei poveri (avendo livelli di spesa molto inferiori alla soglia di povertà).
Accanto alla povertà minorile, un altro elemento di allarme sociale che si coglie dagli ultimi dati Istat rilasciati lo scorso 17 ottobre, riguarda i lavoratori: ‘Continua a crescere in modo preoccupante la povertà tra coloro che possiedono un impiego’. Complessivamente tocca l’8% degli occupati (era il 7,7% nel 2022) anche se esistono marcate differenze in base alla categoria di lavoratori; se si ha una posizione da dirigente, quadro o impiegato l’incidenza scende al 2,8%, mentre balza al 16,5% se si svolge un lavoro da operaio o assimilato (dal 14,7% del 2022): “Quest’ultimo in particolare è un dato che spaventa e sollecita, segno emblematico di una debolezza del lavoro che smette di essere fattore di tutela e di protezione sociale”.
Nello scorso anno, nei soli centri di ascolto e servizi informatizzati della rete Caritas (in totale 3.124, dislocati in 206 diocesi di tutte le regioni italiane) le persone incontrate e supportate sono state 269.689: “Quasi 270.000 ‘volti’ che possono essere assimilati ad altrettanti nuclei, visto che la presa in carico risponde sempre ad esigenze di tipo familiare”.
Complessivamente si tratta di circa il 12% delle famiglie in stato di povertà assoluta registrate dall’Istat. Rispetto al 2022 si è registrato un incremento del 5,4% del numero di assistiti; una crescita più contenuta rispetto al passato ma pur sempre una crescita. Anche per i dati Caritas non si colgono dunque educazione,segni flessione: “Se si allarga lo sguardo a un intervallo temporale più ampio il dato risulta impietoso: dal 2015 ad oggi il numero di persone sostenute è cresciuto del 41,6%. I territori che registrano l’aumento più cospicuo risultano quelli di Sud e Isole (+53,3%) e del Nord Italia (+52,1%)”.
Nell’introdurre il rapporto do Marco Pagniello, direttore della Caritas italiana, ha sottolineato la necessità di una visione di speranza: “Cresce la sete di ascolto, di incontro e di relazione; cresce l’esigenza di frequentare gli spazi di vita della gente per provocarli, per ‘iniziarli’ al Vangelo;
emerge l’esigenza di una Chiesa più aperta al confronto e alla presenza culturale; si sente il bisogno di dare un respiro nuovo al rapporto con il Paese nel sociale e nel servizio proprio della politica; cresce l’esigenza di preservare e rilanciare la natura popolare della Chiesa, soprattutto attraverso un’attenzione più missionaria”.
Per questo è necessario richiamare le parole di don Tonino Bello per ‘organizzare la speranza’: “In questo contesto, i cristiani in particolare, come ricordava don Tonino Bello, non possono limitarsi a sperare, ma appartiene a loro il compito di dare gambe ed ‘organizzare la speranza’. Si tratta di un percorso da fare insieme, come Chiesa, e Chiesa sinodale, in relazione. Un’azione sinergica per
costruire e proporre esperienze e percorsi educativi in grado di incidere concretamente nella vita delle persone e della comunità, capaci di produrre cambiamento e nuova cultura, ‘per dare ragione della speranza che è in noi’ attraverso un ripensamento dei nostri stili di vita e delle politiche sociali ed economiche, per dare corpo ad una ‘ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali’ e si opponga alla cultura dello scarto”.