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Per non dimenticare il naufragio di Lampedusa
Dal 2014, i morti e dispersi nel Mediterraneo sono stati in media circa 8 al giorno, pari a oltre 30.300 (secondo i dati di ‘Mediterranean/Missing Migrants Project’), molti dei quali bambini, bambine e adolescenti. In un contesto mondiale sempre più incerto, caratterizzato da guerre, persecuzioni, violenze, povertà estrema, crisi umanitarie, chi fugge per raggiungere un futuro possibile in Europa continua a rischiare la propria vita e quella dei propri figli, in mancanza di vie legali e sicure.
E per l’ong Save the Children, che ricorda oggi il naufragio avvenuto al largo di Lampedusa nel 2013, non è cambiato nulla: “Undici anni dopo il drammatico naufragio del 3 ottobre 2013 davanti alle coste di Lampedusa, in cui morirono 368 persone, purtroppo poche cose sono cambiate. In questi anni si sono susseguite le notizie di imbarcazioni affondate e di persone annegate, tra le quali troppo spesso vi erano bambini e bambine”.
Per scongiurare il ripetersi di tali tragedie, l’Organizzazione non Governativa continua a chiedere l’apertura di canali regolari e sicuri per raggiungere l’Europa e un’assunzione di responsabilità condivisa dell’Italia, degli altri Stati membri dell’Unione Europea e delle istituzioni europee affinché attivino un sistema coordinato e strutturato di ricerca e soccorso in mare per salvare le persone in pericolo, agendo nel rispetto dei principi internazionali e dando prova di quella solidarietà che è valore fondante dell’Unione Europea:
“Con guerre e conflitti che avanzano in maniera estremamente rapida, quella a cui assistiamo con profondo rammarico è una mancanza di impegno nei confronti dei trattati internazionali e del sistema globale di protezione dei rifugiati, richiedenti asilo da parte delle istituzioni europee e degli Stati Membri. L’approccio securitario e l’irrigidimento dei confini non fanno che rendere le condizioni di bambini e adolescenti, e tra loro dei minori stranieri non accompagnati, più precarie e pericolose”.
Infatti nella scorsa primavera il Parlamento ed il Consiglio europeo hanno approvato il pacchetto di riforme del Patto europeo Asilo e Migrazione, norme che minano il diritto di asilo di minori e famiglie, come ha dichiarato Antonella Inverno, responsabile ‘Ricerca, Analisi e Formazione’ di Save the Children: “L’Unione e gli Stati membri dovrebbero ora concentrarsi sulla sua attuazione con un approccio incentrato sul rispetto dei diritti umani e dei diritti dei minori. Al contrario assistiamo alla stipula di accordi, come quello con l’Albania, che mettono le persone a rischio di detenzione prolungata e automatica, di mancato accesso a procedure di asilo eque e di ritardato sbarco. Le frontiere interne ed esterne dell’Unione Europea sono diventate luoghi di transito pericolosi, dove violenze, soprusi e violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno, così come accade sulle rotte che conducono in Europa”.
Quindi i dati: in quest’anno sono giunte in Italia via mare 48.646 persone rifugiate e migranti, di cui 5.542 minori stranieri non accompagnati; e nel sistema di accoglienza italiano al 31 agosto 2024 risultano presenti 20.039 minori stranieri non accompagnati-Msna, in calo rispetto al 31 agosto 2023, quando ce n’erano 22.599, ma in aumento rispetto allo stesso periodo di rilevazione del 2022 (17.668), secondo il secondo il ‘Cruscotto’ del Ministero dell’Interno aggiornato al 28 settembre.
Così nell’isola è stato realizzato, all’interno dell’hotspot di Contrada Imbriacola, in accordo con il Dipartimento ‘Libertà Civili’ del Ministero dell’Interno e la Prefettura di Agrigento, uno Spazio Sicuro a misura di minori, giovani donne e madri gestito da Save the Children, in partnership con Unicef e in collaborazione con Unhcr e con ‘D.i.Re’, nell’ambito del progetto Leaving Violence. Le attività sono realizzate in cooperazione con la Croce Rossa Italiana, ente gestore dell’hotspot.
Anche il ‘Safe Space’ è uno spazio a misura di minori, adolescenti e donne, volto a fornire supporto anche psicosociale a persone in situazioni di vulnerabilità. Rappresenta un luogo sicuro dove bambini e bambine possono giocare, partecipare alle attività, conoscere i loro diritti, interagire, socializzare, esprimere le loro opinioni, ma anche un luogo focalizzato sul supporto al ruolo genitoriale, sull’identificazione dei minori vulnerabili e delle famiglie che hanno bisogno di ulteriore sostegno.
Accanto ai migranti e ai rifugiati
Fino a lunedì 17 giugno sono sbarcate sulle coste italiane 23.725 persone migranti; mentre nello stesso periodo dello scorso anno furono 55.902 e nel 2022 furono 23.920, secondo i dati del Ministero degli Interni. Degli oltre 23.700 migranti sbarcati in Italia nel 2024, 4.839 sono di nazionalità bengalese (20%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Siria (3.427, 14%), Tunisia (3.135, 13%), Guinea (1.897, 8%), Egitto (1.503, 6%), Pakistan (939, 4%), Mali (837, 4%), Gambia (823, 4%), Costa d’Avorio (679, 3%), Sudan (636, 3%) a cui si aggiungono 5.010 persone (21%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.
Inoltre sono stati 3.197 i minori stranieri non accompagnati ad aver raggiunto l’Italia: i minori stranieri non accompagnati sbarcati sulle coste italiane nel 2023 sono stati 18.820, 14.044 nel 2022, 10.053 nel 2021, 4.687 nel 2020, 1.680 nel 2019, 3.536 nel 2018 e 15.779 nel 2017.
Nel mondo nello scorso anno 117.300.000 persone sono state costrette a fuggire dal proprio Paese a causa di persecuzioni, conflitti, violenze e violazioni dei diritti umani, 1 persona su 69 a livello globale, secondo il Rapporto Global Trends dell’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati.
Negli ultimi dieci anni il numero di persone in fuga è più che raddoppiato; rispetto al 2022 si è registrato un aumento dell’8%, ossia 8.800.000 persone in più; un trend in salita confermato dai dati registrati nei primi quattro mesi del 2024, in cui la popolazione mondiale in fuga ha raggiunto il drammatico record di 120.000.000, secondo quanto calcolato dal Centro Astalli dei Gesuiti.
Alla fine del 2023 è di 43.400.000 il numero complessivo di rifugiati e di altre persone bisognose di protezione internazionale, di cui 31.600.000 sotto il mandato dell’UNHCR e 6.000 sotto il mandato dell’UNRWA (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente). La maggior parte della popolazione rifugiata (69%) vive nei Paesi limitrofi a quelli di origine e oltre il 75% risiede in Paesi a basso e medio reddito.
Oltre il 73% dei rifugiati proviene da soli cinque Paesi: Siria (6.400.000), Afghanistan (6.400.000), Venezuela (6.100.000), Ucraina (6.000.000) e Sudan (1.500.000). La popolazione di rifugiati più numerosa al mondo è quella afghana e risiede principalmente nella Repubblica Islamica dell’Iran (3.800.000) e nel Pakistan (2.000.000).
La Repubblica Islamica dell’Iran è il Paese che ospita il maggior numero di persone rifugiate al mondo (3.800.000), seguito da Turchia (3.300.000), Colombia (2.900.000), Germania (2.600.000) e Pakistan (2.000.000).
Alla fine del 2023 il numero di persone titolari di protezione internazionale in Italia era 138.000, mentre 147.000 quello dei richiedenti asilo ed oltre 161.000 quello dei cittadini ucraini titolari di protezione temporanea. Circa 3.000 erano le persone apolidi presenti sul territorio italiano.
A livello globale il numero di persone sfollate internamente è aumentato di oltre il 50% in soli 5 anni: 68.300.000 persone sono state costrette ad abbandonare la propria casa. Tra le principali cause di questo notevole incremento del numero di sfollati interni è il conflitto in Sudan, esploso nell’aprile dello scorso anno, che ha causato oltre 7.100.000 di nuovi sfollati all’interno del Paese ed 1.900.000 di rifugiati sudanesi in fuga nei Paesi limitrofi come Ciad (923.300) e Sud Sudan (359.600).
Nella Repubblica Democratica del Congo i continui scontri nella provincia del Nord Kivu nel nord-est del Paese hanno causato oltre 2.800.000 di sfollati interni. In Myanmar la violenza diffusa e la continua violazione dei diritti umani hanno provocato lo sfollamento di 1.300.000 persone; inoltre, secondo le stime dell’UNRWA, alla fine del 2023 nella Striscia di Gaza la popolazione sfollata ammontava a più di 1.700.000 persone (oltre il 75% della popolazione).
Infine, oltre ai conflitti e alla violazione dei diritti umani, tra le cause che costringono alla fuga un numero sempre più alto di persone in fuga c’è la crisi climatica: sono 7.700.000 le persone messe in fuga dall’avvento di eventi metereologici estremi sempre più frequenti, dovuti agli effetti devastanti del cambiamento climatico.
Per questo dal 1991, attraverso il servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli, la Chiesa cattolica italiana, grazie ai fondi dell’8xmille, ha cercato di accompagnarle e dare loro conforto finanziando 166 progetti specificamente a favore di migranti e rifugiati in 31 Paesi per un totale di oltre € 31.500.000.
Nell’ultimo Rapporto del ‘Norwegian Refugee Council’ (NRC), pubblicato lo scorso 3 giugno sono elencate le dieci crisi di sfollati più dimenticate al mondo, con numeri in aumento e bisogni crescenti. Si tratta sempre di emergenze croniche, con migrazioni, violenza, fame e mancanza di servizi essenziali: 9 riguardano Paesi africani e una l’Honduras dove (a causa della violenza diffusa, del crimine organizzato e degli shock climatici) ben 3.200.000 persone necessitano di aiuti umanitari. La Chiesa locale da oltre 30 anni sostiene i migranti, gli sfollati, i rifugiati e le famiglie nei loro bisogni fondamentali e nel richiedere il rispetto dei loro diritti.
Per la Cei spesso i rifugiati sono costretti a vivere per anni, decenni, in campi profughi in condizioni precarie, come a Kakuma, nel nord del Kenya, vicino al confine con l’Uganda e il Sud Sudan, che ha raccolto il racconto di Mary, fuggita dal Sud Sudan: Mio marito è morto durante gli scontri. Una notte hanno attaccato il nostro villaggio. Allora ho preso tutti i miei figli con me, abbiamo raccolto quel poco che ci era rimasto e siamo scappati. Ho avvolto in fasce intorno al mio corpo il più piccolo che aveva pochi mesi e quello poco più grande di lui l’ho caricato sulle spalle. I cinque figli più grandi camminavano con me, cercando di rimanermi il più vicino possibile. Abbiamo camminato per mesi; ogni tanto siamo riusciti a fermarci per qualche settimana cercando di recuperare le forze, qualcosa da mangiare e soprattutto qualche soldo per continuare il viaggio. Siamo arrivati al campo di Kakuma dopo circa quattro mesi”.
Nel dolore e nella sofferenza fiorisce comunque la solidarietà e la Chiesa cattolica cerca di mantenere accesa la speranza nella storia di tante persone, come ad Ankawa, l’unico quartiere cristiano alla periferia di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Nell’estate del 2014 la zona è stata al centro dell’attenzione internazionale: circa 75.000 sfollati sono arrivati lì per scappare dall’Isis. Nonostante la drammaticità della situazione l’arcivescovo cattolico caldeo, Bashar Warda, è riuscito a far crescere un grande seme di speranza, realizzando, grazie anche al sostegno della Chiesa italiana, l’Università di Erbil. Dopo 10 anni l’Università ha 11 corsi di laurea altamente correlati al mercato del lavoro, 590 studenti (24% musulmani, 14% yazidi), il 59% donne.
Il Metodo Rondine nel convegno internazionale alla Pontificia Università Lateranense
‘Studi e ricerche sull’approccio relazionale al conflitto. Prospettive in dialogo sul Metodo Rondine’ il titolo dell’iniziativa di sabato 11 novembre: il convegno avvia il progetto di ricerca tra Rondine Cittadella della Pace e la Pontificia Università Lateranense, grazie al sostegno della Fondazione Cattolica con lo scopo di offrire delle risposte alle questioni cruciali e quanto mai urgenti che la società complessa, accelerata e conflittuale di oggi impone