Scritti da: Simone Baroncia
A colloquio con Giulia Merelli, che ha sviluppato un monologo teatrale sulla Madre di Dio

“Così sono nato; così sono stato fatto figlio. Allora io, e non solo io, ma tutti, i giovani che incontro, con cui medito o meditiamo sul dolore, perché il dolore non sia più isolante come dicevi tu prima, perché non sia più un fatto sul quale si può anche essere tentati di compiacimento ma diventi un fatto liberante, credo e crediamo d’aver capito che il dolore deve portarti, deve condurti sempre, non una volta, magari una volta per tutte, ma quando si dice una volta per tutte, vuol dire per tutti i giorni, per tutte le ore; deve portarti, dicevo, a sentirti figlio del Padre che è Dio e figlio del padre terreno che è il padre carnale d’ognuno di noi”.
Iniziamo dal dialogo tra il drammaturgo Giovanni Testori e mons. Luigi Giussani, ‘Il senso della nascita’ per iniziare un dialogo con Giulia Merelli, insegnante ed attrice, che ha sviluppato un monologo teatrale, scritto e diretto, in cinque atti/clip sulla Madre di Dio, ‘Maria’, quando ha scoperto di essere la Madre di Dio che presto verrà alla luce, come un uomo:
“La realtà è drammatica. Dramma significa azione, quindi la realtà è fatta di azione, non di teoria. Per questo amo il teatro, luogo dove la parola agisce. Con questo, il teatro è necessario alla vita. C’è forse un’esigenza radicale nell’uomo del farsi spettatore di se stesso: vedendo in scena l’azione, comprende che può agire in vista di un orizzonte di senso. E tutto questo è drammatico, non tragico. Se fosse tragico, avremmo un fato che non ci considera, che non si apre alla bellezza delle nostre azioni. Le azioni belle non sono semplici affermazioni esistenziali (soliloqui) ma sono risposte ad altre azioni (dialoghi), ad incontri che hanno in sé la caratteristica del possibile”.
Perché un monologo su Maria?
“Ho scritto un monologo su ‘Maria’ qualche anno fa, o meglio otto anni fa. Come vedi, il tempo cronologico diventa relativo quando tocchiamo temi spirituali che riguardano il cuore, un luogo senza orologi dove alcune riflessioni valgono continuamente. Ho scritto il monologo mentre ero in una tournée teatrale e sentivo la necessità di prendermi momenti di quiete, occasioni di creatività come dimora per il mio sentire profondo.
In quel periodo leggevo gli scritti teatrali e i saggi di Giovanni Testori, drammaturgo milanese convertitosi al cattolicesimo. ‘Il senso della nascita’, dialogo tra Testori e Giussani, mi ha particolarmente toccata, rivelando l’importanza della nostra presenza nel mondo come evento voluto, non casuale. Poi, ho preso i suoi monologhi sulla nascita, da ‘Factum est’ ad ‘Interrogatorio a Maria’. Quest’ultimo scritto rivela la bellezza semplice di una donna che si apre alla realtà.
Penso che il fatto di cercare Maria, in un momento per me estraniante dove ero chiamata a relazioni continue, quindi ad affacciarmi continuamente verso richiami esterni, mi abbia permesso di rintracciare, in me stessa, quella semplice disposizione d’animo con la quale lei stessa si è disposta di fronte agli avvenimenti della sua esistenza. Maria è una donna che avrebbe potuto dire no e ha detto sì, avanzando con un sentimento intimo e senza sprecare parole, senza disperdersi, senza cercare rassicurazioni o condizionamenti altrove. In sostanza, penso che instaurare un dialogo con questa donna significhi dare fiducia alla propria autocoscienza”.
Quale significato ha il fatto che il ‘Verbo si è fatto carne’?
“Se ci pensiamo, il nostro modo di conoscere in alcuni casi procede attraverso le dimostrazioni scientifiche. E più diventiamo adulti più rischiamo di affidarci esclusivamente al procedimento razionale pensando che sia solo la dimostrazione immediata garante di conoscenza. Tuttavia, se volgiamo lo sguardo verso un bambino, scopriremo che la sua intuizione precede persino l’abilità di nominare il mondo circostante.
Un esempio lampante è quando un bambino riesce a discernere se l’adulto che lo guarda lo fa con sincera lealtà o con banale superficialità. Chi ha illuminato la mente del bambino riguardo l’esistenza di rapporti autentici? Cosa permette a un bambino di comprendere la serietà con cui l’adulto si rapporta a lui? Non di certo lo studio, né tantomeno l’esperienza che è ancora iniziale.
Ecco allora che risulta sensato soffermarci a considerare la maternità di Maria non solo come un evento biologico, ma come manifestazione di un’intuitiva capacità di conoscenza. Maria, nel momento in cui accoglie il mistero di Dio che le si propone, sta accogliendo la possibilità di amare la realtà cioè di accogliere la realtà anche quando sfugge al controllo. Esistono interpretazioni dell’arte sacra che riconoscono nella forma dell’orecchio una versione in miniatura dell’utero: l’ascolto può diventare un atto generativo di vita”.
Quindi l’ascolto apre all’incontro?
“Di fatto, ogni volta che ci disponiamo di fronte all’altro in un sincero ascolto e non anteponiamo all’ascolto le nostre affermazioni o certezze, scopriamo sempre e in ogni volta che accade un fatto non previsto prima. Se anche l’altro che si consegna al nostro ascolto, apre sé stesso con sincerità sta permettendo che avvenga l’incontro.
Ho menzionato i bambini perché essi, non ancora difesi dalla razionalità con cui, spesso, gli adulti stabiliscono che il mondo è il colpevole delle loro offese subite, sono sinceramente aperti e disposti all’incontro. Vorrebbero semplicemente essere amati, guardati, insomma essere accompagnati come esseri umani pieni di valore nella realtà, per diventare grandi (capaci di aiutare sé stessi e gli altri).
Ecco che, invece crescendo, spesso accadono le offese, i torti, si subiscono oltraggi e se arrecano ad altri, ciascuno usurpa l’altro, si usurpano i figli, i genitori, le persone amate, gli amici, i troni, i poteri, perché forse ci si vuole rivalere di un rapporto o più rapporti di fiducia spezzati. Quindi la razionalità diventa lo schema che io antepongo alla vita prima ancora che la vita, nel suo procedere, possa davvero sorprendermi, proponendomi incontri che non rientrano minimamente in quanto io avevo già pianificato”.
In quale modo il Verbo diventa esperienza d’amore?
“Il Verbo fatto carne è l’esperienza di amore divino che entra nell’umano per confortarlo delle offese subite, per ravvivare la coscienza che non tutto è perduto ma si può ancora vivere una vita felice. Il cristiano crede che gli incontri fra gli uomini possano generare un fatto d’amore che trascende le loro stesse volontà per cui se ci si dispone ad accogliere la realtà stessa dell’incontro come qualcosa da accudire, non da gestire, e con sincera apertura, è inevitabile che accada qualcosa di bello, fosse anche perché semplicemente di non premeditato.
Il verbo è un’azione, come spiega l’etimo, ma è anche una parola, infatti se io dico: ‘ti amo’, sto penetrando la coscienza dell’altro formando anche la sua identità, contribuendo a lenire le sue ferite di non amore. Il verbo può agire come un balsamo per le ferite dell’anima, ma può anche trasformarsi in un frastuono vacuo, chiacchiere, in cui il sacro mistero si dissolve e la comprensione diventa un’illusione. In questa moderna era, riabbracciare la fedeltà alla propria esperienza, dove la parola pronunciata risuona in perfetta armonia con le azioni intraprese o accolte, diventa un’impresa ardua.
Per questo si cerca spazio nel divino: sorge un bambino, un inizio di vita, che sfida la nostra consapevolezza limitata e la nostra mancanza di sincerità con noi stessi. Egli emerge come un promemoria vivente, un monito che la vera essenza della nostra esistenza risiede nella nostra capacità di accogliere con umiltà e apertura il dono dell’amore incondizionato”.
Il Verbo si fa carne: è possibile raccontarlo in teatro?
“Certamente. L’arte è un modo creativo di conoscere, pertanto quando io creo devo necessariamente aprirmi come una madre si apre alla vita. L’immagine della madre è l’immagine di ogni essere vivente che decide ancora di essere generatore di altro. Il teatro, luogo dove le relazioni umane vengono messe in scena e quindi dove tutti gli inghippi e le soluzioni di queste relazioni sono sottolineate davanti allo sguardo degli spettatori, l’esperienza dell’amore che supera il conflitto e genera nuove possibilità di vita è certamente un orizzonte ideale a cui tendere quando si scrive un testo drammaturgo. Questo non deve diventare una pretesa moralizzante verso chi guarda, ma appunto costituire un orizzonte, un traguardo che potrebbe non essere raggiunto.
Allo stesso modo, nel caso della recitazione è possibile fare l’esperienza del Verbo che si fa carne: talvolta accade che un attore si senta amato e compreso dal personaggio che interpreta, come se la parola scritta prendesse vita attraverso di lui. Questo fenomeno di immedesimazione rende il teatro un mezzo potentissimo per raccontare il mistero dell’incarnazione. Quando un attore riesce a incarnare il Verbo, trasmette al pubblico non solo la storia di un personaggio, ma anche una verità universale che risuona con l’essenza umana.
Questo incontro tra il divino e l’umano sul palcoscenico diventa un momento di rivelazione, che trascende ogni barriera. In questo modo, il teatro non solo rappresenta la vita, ma diventa esso stesso un atto di creazione e di amore, un luogo dove il mistero della vita si svela e si rinnova continuamente”.
Come è possibile vivere il mistero della vita in un grembo?
“Trovo questa domanda molto delicata. Io non ho fatto nessuna esperienza di maternità biologica, non sono una madre però sono una figlia, un’insegnante ed un’attrice che scrive per il teatro. Mi capita, quando tocco la pancia appena gravida di un’amica o, come accaduto di recente, di mia sorella, che pianga istantaneamente. Il pianto è una commozione immediata per la vita che si sta formando nel grembo che, in pochissimi mesi, si sviluppa e ha già un cuore.
Il fatto che si formi dentro a una donna un altro individuo che avrà una sua identità, con un suo carattere, con desideri e aspirazioni proprie, talenti… è un mistero da onorare e guardare senza tentativi manipolatori. Penso che questo mistero possa essere vissuto come quando si sta di fronte a un fiore bellissimo, vorremmo farlo nostro, ma il fiore è un’entità a sé stante e possiamo solo contemplarlo.
Sostare di fronte a una vita che si forma è cominciare a rispettare l’altro come diverso da sé. Nel mio piccolo, provo a fare questa esperienza con gli studenti e con le cose che scrivo. Con gli studenti perché, seppure sia spesso tentata nel definirli secondo schemi preconfezionati, sento nel contempo la necessità di aprirmi al loro peculiare modo di conoscere, come a un fatto nuovo. Nel secondo caso, ricordo una piacevolissima sensazione quando, scrivendo un testo drammaturgo, sospesi il giudizio per lasciare liberi i personaggi di essere loro stessi, seguendoli per vedere dove sarebbero andati…”.
Allora perchè fidarsi di una Voce?
“Nel profondo di noi, risiede un battito cardiaco originario (è lo stesso della prima volta), un sussurro silente che articola la verità ineludibile: non siamo gli autori della nostra esistenza. Chi ha infuso in noi quel primo scintillio vitale? Se siamo disposti ad accettare che la nostra esistenza non è un prodotto auto-generato, se ci concediamo di ascoltare con attenzione, potremmo percepire la nostra unicità. Se tale percezione risulta difficile, si può iniziare esplorando le nostre passioni, quegli ambiti creativi in cui ci sentiamo autenticamente noi stessi.
Se uno non avesse passioni, può cercare questa possibilità nei rapporti autentici, infatti anche gli altri possono aiutarci ad ascoltare noi stessi (se ci vogliono bene). Fidarsi di quei contesti in cui ci sentiamo veramente liberi, è un percorso per iniziare a realizzare il nostro destino. Dare ascolto a questa voce interiore vale la pena, poiché ci permette di raggiungere la nostra felicità senza cadere vittime di costrizioni esterne che possono ostacolare questo processo”.
‘Una particolare espressione di fiducia nel futuro è la trasmissione della vita, senza la quale nessuna forma di organizzazione sociale o comunitaria può avere un domani’: hanno scritto i vescovi in occasione della 47^ Giornata nazionale per la Vita. Cosa significa trasmettere vita?
“Significa rendere felici sé stessi e di conseguenza gli altri. Più prendo sul serio questo mio desiderio e mi gioco nella realtà tenendo questa asticella alta, senza accontentarmi, tanto più posso aiutare chi mi sta intorno. Il desiderio di felicità dovrebbe essere un respiro quotidiano, una molla che ti risveglia come un bambino impaziente di correre lungo il sentiero di campagna alla ricerca di daini. Spesso, al mattino, mi trovo oppressa, afflitta da antiche ferite, ma non scelgo di restare sottomessa al male, non cedo al ricatto del passato, piuttosto mi muovo a fatica e chiedo la speranza… Sono sempre gli incontri che mi fanno sentire accolta, a prevalere. Più si fa spazio a questo, più la vita ha la meglio sulla depressione”.
Quali sono i riferimenti di questo monologo?
“Molteplici sono stati i testi da cui ho attinto per la costruzione del monologo: ‘Il senso della nascita’, un dialogo tra Giovanni Testori e don Luigi Giussani; ‘Interrogatorio a Maria’ di Giovanni Testori; ‘Lettera a un bambino mai nato’ di Oriana Fallaci; ‘Per una nascita senza violenza’ di Frederick Leboyer; ‘L’arte di amare’ di Erich Fromm; la poesia ‘Supplica a mia madre’ ed il film ‘Vangelo secondo Matteo’ di Pier Paolo Pasolini ed il brano musicale ‘Ave Maria’ di Fabrizio De André. Per chi abbia voglia di visionare il monologo ecco i cinque link a disposizione: https://youtu.be/Pz7UMtrto-Y?si=GHoYbYXP0nEwkWMp;
(Tratto da Aci Stampa)
Dormitorio di Brescia: luogo in cui ‘sentirsi a casa’

Qui la Società San Vincenzo De Paoli accoglie persone in difficoltà. Immaginiamo di vivere un’esistenza che ha il suo inizio ma non sa dove poter finire, porre riposo, ristorarsi, incontrarsi. Pensiamo a una vita mozzata di una parte del suo tutto, la casa, fondamento imprescindibile per la costruzione di un’esistenza degna di essere chiamata tale. Saremmo spogliati di un posto prezioso, sicuro dove racchiudere gran parte del nostro tempo, i nostri ricordi. Dove intessere relazioni, gestire paure e vivere esperienze. Un luogo in cui poter tornare, trovare rifugio, sentirsi protetti.
Casa. Vivremmo in uno stato di interminabile affanno, senza riferimenti, nella perenne attesa di un posto in cui far dimorare il nostro essere e lasciar riposare la mente. Non bastano poche parole per rendere, anche solo lontanamente, quel che provano coloro che non hanno una dimora. E non per scelta, ma per una serie di eventi di rottura come sfratti, tossicodipendenze, perdita del lavoro che impoveriscano la persona a tal punto da farle preferire l’isolamento e l’emarginazione. Il ritiro dal mondo anche attraverso scelte di estremo pericolo e disagio, come la vita per strada.
Si vive una condizione da cui diventa difficile staccarsi. Perché si tocca il fondo. E da lì è quasi impossibile uscire. C’è bisogno di un aiuto a cui aggrapparsi per poter ripartire e riprendere lentamente in mano la vita. A volte basta un gesto, una parola, un luogo per ritrovare sé stessi. E c’è da dire che capita, come racconta Dante: “Ho conosciuto il Dormitorio San Vincenzo De Paoli di Brescia grazie a un invito”.
Dante aveva perso la casa, il lavoro, gli affetti. Da un giorno all’altro è rimasto senza nulla: “Negli anni ho avuto problemi di droga. Mi sono sentito perso”. Sono anni che Dante vive nel Dormitorio. Oggi ha superato i 60 anni e inizia a sorridere un po’. Ad assaporare qualcosa di bello e anche di buono: “Ho preso 15 chili da quando sono ospite della struttura. Gigliola, la nostra cuoca, è bravissima”.
Il Dormitorio non è solo un luogo dove trovare un pasto caldo e un letto; è una vera casa, dove si ritrova calore umano, rispetto e dignità. Qui ogni giorno molte persone ricevono non solo accoglienza materiale, ma anche ascolto e supporto. Educatori e volontari, con dedizione e pazienza, lavorano per aiutare gli ospiti a riflettere sulle loro esperienze e a ricostruire una vita che spesso è stata spezzata da eventi drammatici.
Nascono nel tempo legami forti con chi li accoglie ma anche tra gli ospiti, come quello tra Dante e Mariarosa, 60enne, con un passato da clochard: “Abbiamo legato sin da subito, chi ci separa più!” afferma la donna e aggiunge: “Sarei disposta anche a sposarlo” e scherzando avanza la proposta guardando il ‘suo’ Dante: ‘Vuoi sposarmi?’ Il Dormitorio è anche questo, un posto in cui nascono amicizie che sfiorano sentimenti alti, come quelli di un ‘sì è per sempre’. Un apposito regolamento permette la buona gestione dell’accoglienza con orari precisi che regolano i tempi all’interno della struttura.
Vi sono circa 50 volontari che offrono sostegno per la distribuzione della cena, l’aiuto in cucina, la presenza notturna di sorveglianza affiancati dall’operatore, la lavanderia e il deposito bagagli.
Questo microcosmo, grazie al lavoro costante di educatori e volontari, consente anche di riacquisire il concetto di sacrificio e quel senso di utilità che ti fa sentire parte attiva del mondo. Dante, insieme ad altri, partecipa al progetto “Un orto pazzesco” all’interno dello spazio verde di OspitiAmo-Case di Accoglienza San Vincenzo, in cui può dedicarsi alla cura della terra e apprezzare la fatica quotidiana come mezzo da cui trarre beneficio e soddisfazione.
L’Associazione Dormitorio San Vincenzo, nata nel 1994 come emanazione della Società di San Vincenzo De Paoli, offre anche momenti di incontro, serenità e condivisione: “Per la prima volta nella mia vita sono andata in vacanza”, racconta Mariarosa. “Siamo stati per alcuni giorni a Ponte di Legno. Abbiamo fatto lunghe passeggiate. Sono stata veramente bene!” Ogni anno, durante l’estate, vengono organizzati dei pellegrinaggi per offrire agli ospiti momenti di comunione, di dialogo, di condivisione e di svago.
Il proposito dell’Associazione è di attuare azioni che, oltre all’assistenza concreta, offrano un percorso di reinserimento sociale che restituisca alla persona dignità e autonomia. Al termine del nostro dialogo abbiamo chiesto a Dante se avesse un sogno nel cassetto. Ha risposto: “Spero di avere sopra la testa un tetto dove poter vivere con la mia mamma” sorride e conclude con gli occhi lucidi: “Una casa tutta nostra…!” La donna, oggi 80enne, non ha una dimora e vive in un’altra struttura.
L’Associazione Dormitorio San Vincenzo ogni giorno accoglie 150 persone anche attraverso la gestione di altri servizi: il Dormitorio maschile San Vincenzo e Duomo Room, le Case di accoglienza ‘San Vincenzo’ femminile e maschile, 15 appartamenti destinati all’housing sociale, un appartamento di housing first e una villetta a Castenedolo. Il sostegno è rivolto a uomini e donne o senza dimora che vivono situazioni difficili e storie complesse, connotate dall’abbandono, dalla dipendenza, dalla disgregazione dei legami familiari e dalla solitudine. La Società di San Vincenzo De Paoli opera a Brescia dal 1858.
Il costante servizio a sostegno del prossimo ha consentito di accrescere l’operato sul territorio grazie all’apertura del Dormitorio San Vincenzo 125 anni fa, era il Natale del 1899, alla nascita del Consiglio Centrale che con 31 Conferenze attive opera nelle province di Brescia e di Mantova fornendo aiuto concreto a chi si trova in difficoltà tra poveri, emarginati e persone sole, e alla gestione operativa dell’Associazione Dormitorio San Vincenzo finalizzata all’accoglienza delle persone emarginate e senza dimora.
(Foto: Società San Vincenzo de’ Paoli)
A Roma la peregrinatio delle reliquie del primo beato del Giubileo

Il 12 gennaio scorso nell’Arcibasilica Papale di San Giovanni in Laterano, alla presenza di circa 3.000 fedeli, il card. Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, ha proclamato beato il Servo di Dio don Giovanni Merlini, terzo Moderatore Generale della Congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue e guida spirituale di santa Maria de Mattias, fondatrice delle Suore Adoratrici del Sangue di Cristo.
“L’evento è stato emozionante, significativo e incoraggiante, afferma don Benedetto Labate, direttore della Provincia Italiana dei Missionari del Preziosissimo Sangue, al punto che la Postulazione della causa ha proposto alle varie realtà delle Province Italiane dei Missionari e delle Suore Adoratrici di accogliere le reliquie del beato per promuoverne la venerazione e così far conoscere la figura di quest’uomo santo lì dove i consacrati servono il popolo di Dio.
E’ così che il 26 gennaio scorso, nella cattedrale di Benevento, città natale dell’uomo miracolato che ha messo in moto la macchina della beatificazione, è cominciata la peregrinatio delle reliquie del beato Giovanni, itinerario che ha previsto anche le tappe di Spoleto, città natale del beato, e Albano Laziale, luogo dove per oltre vent’anni lui ha svolto il ministero di formatore e consigliere generale dell’Istituto.
Qual è il senso di questa peregrinatio e perché la Chiesa permette che le ossa di un santo siano spostate dal luogo del loro culto? Partiamo dalla considerazione che la venerazione dei santi non è una forma di superstizione o di idolatria. Noi adoriamo l’unico Dio in Tre Persone, la cui gloria però risplende come in uno specchio nella vita dei santi. Questi, appunto, ci stimolano a percorrere la via del Vangelo perché è la proposta di fede e salvezza offerta a noi dal Figlio di Dio fatto uomo, Lui che si è presentato come Via per giungere alla felicità, Verità che porta alla comunione con Dio e Vita piena di senso e gioia per chi cammina tra le tenebre del mondo.
La preghiera rivolta ai santi è richiesta di intercessione rivolta a loro, che vedono il volto di Dio e in virtù dell’offerta del Sangue dell’Agnello sono entrati al cospetto della gloria del Padre. E’ lo stesso motivo per cui ci rivolgiamo alla Vergine Maria come segno di consolazione e sicura speranza”.
Pertanto, da giovedì 27 marzo a domenica 30 marzo, l’urna contenente le reliquie del beato Giovanni Merlini sarà accolta presso la Parrocchia San Gaspare del Bufalo a Roma. Tutte le sere, alle ore 18:30, si terrà la Santa Messa con predicazione di don Matteo Merla, Missionario del Preziosissimo Sangue, preceduta dalla recita della coroncina del Preziosissimo Sangue. Sabato 29 marzo alle ore 18:00 si terrà un incontro con Feliciano Cefalo, figlio del miracolato.
Papa Francesco: l’incontro con Gesù svela la vita

“Cari fratelli e sorelle, dopo aver meditato sull’incontro di Gesù con Nicodemo, il quale era andato a cercare Gesù, oggi riflettiamo su quei momenti in cui sembra proprio che Lui ci stesse aspettando proprio lì, in quell’incrocio della nostra vita. Sono incontri che ci sorprendono, e all’inizio forse siamo anche un po’ diffidenti: cerchiamo di essere prudenti e di capire che cosa sta succedendo”: in questa seconda catechesi, annullata per la convalescenza a Casa Santa Marta dopo il ricovero di oltre un mese al Policlinico Gemelli per una infezione polimicrobica e una polmonite bilaterale, dedicata a ‘La vita di Gesù. Gli incontri’ il papa si è soffermato sul colloquio fra Cristo e la samaritana.
In questo incontro tra Gesù e la samaritana il papa ha sottolineato l’esperienza fatta da questa donna: “Lei non si aspettava di trovare un uomo al pozzo a mezzogiorno, anzi sperava di non trovare proprio nessuno. In effetti, va a prendere l’acqua al pozzo in un’ora insolita, quando è molto caldo. Forse questa donna si vergogna della sua vita, forse si è sentita giudicata, condannata, non compresa, e per questo si è isolata, ha rotto i rapporti con tutti”.
Tale presenza non è stata casuale, ma scelta proprio da Gesù: “Per andare in Galilea dalla Giudea, Gesù avrebbe potuto scegliere un’altra strada e non attraversare la Samaria. Sarebbe stato anche più sicuro, visti i rapporti tesi tra giudei e samaritani. Lui invece vuole passare da lì e si ferma a quel pozzo proprio a quell’ora! Gesù ci attende e si fa trovare proprio quando pensiamo che per noi non ci sia più speranza. Il pozzo, nel Medio Oriente antico, è un luogo di incontro, dove a volte si combinano matrimoni, è un luogo di fidanzamento. Gesù vuole aiutare questa donna a capire dove cercare la risposta vera al suo desiderio di essere amata”.
E’ un tentativo di dialogo attraverso un desiderio: “Il tema del desiderio è fondamentale per capire questo incontro. Gesù è il primo a esprimere il suo desiderio: ‘Dammi da bere!’. Pur di aprire un dialogo, Gesù si fa vedere debole, così mette l’altra persona a suo agio, fa in modo che non si spaventi. La sete è spesso, anche nella Bibbia, l’immagine del desiderio. Ma Gesù qui ha sete prima di tutto della salvezza di quella donna”.
Inoltre il papa ha sottolineato che nel racconto evangelico l’incontro avviene a mezzogiorno: “Se Nicodemo era andato da Gesù di notte, qui Gesù incontra la donna samaritana a mezzogiorno, il momento in cui c’è più luce. E’ infatti un momento di rivelazione. Gesù si fa conoscere da lei come il Messia e inoltre fa luce sulla sua vita. La aiuta a rileggere in modo nuovo la sua storia, che è complicata e dolorosa: ha avuto cinque mariti e adesso sta con un sesto che non è marito. Il numero sei non è casuale, ma indica di solito imperfezione. Forse è un’allusione al settimo sposo, quello che finalmente potrà saziare il desiderio di questa donna di essere amata veramente. E quello sposo può essere solo Gesù”.
Da tale confidenza il discorso si sposta sulla questione religiosa: “Questo capita a volte anche a noi mentre preghiamo: nel momento in cui Dio sta toccando la nostra vita coi suoi problemi, ci perdiamo a volte in riflessioni che ci danno l’illusione di una preghiera riuscita. In realtà, abbiamo alzato delle barriere di protezione. Il Signore però è sempre più grande, e a quella donna samaritana, alla quale secondo gli schemi culturali non avrebbe dovuto neppure rivolgere la parola, regala la rivelazione più alta: le parla del Padre, che va adorato in spirito e verità… E’ come una dichiarazione d’amore: Colui che aspetti sono io; Colui che può rispondere finalmente al tuo desiderio di essere amata”.
E dall’esperienza di un incontro nasce la missione: “A quel punto la donna corre a chiamare la gente del villaggio, perché è proprio dall’esperienza di sentirsi amati che scaturisce la missione. E quale annuncio potrà mai aver portato se non la sua esperienza di essere capita, accolta, perdonata? E’ un’immagine che dovrebbe farci riflettere sulla nostra ricerca di nuovi modi per evangelizzare”.
Da questo incontro con Gesù nasce la riconciliazione che rigenera la vita: “Il passato non è più un peso; lei è riconciliata. Ed è così anche per noi: per andare ad annunciare il Vangelo, abbiamo bisogno prima di deporre il peso della nostra storia ai piedi del Signore, consegnare a Lui il peso del nostro passato. Solo persone riconciliate possono portare il Vangelo. Cari fratelli e care sorelle, non perdiamo la speranza! Anche se la nostra storia ci appare pesante, complicata, forse addirittura rovinata, abbiamo sempre la possibilità di consegnarla a Dio e di ricominciare il nostro cammino. Dio è misericordia e ci attende sempre!”
‘Codice cuore’: ciò che i giovani hanno diritto di sapere sulla loro sete di amore vero

Recentemente avevo iniziato a parlarvi di un libro che ho scritto, dal titolo: ‘Codice cuore. Istruzioni per l’uso’ (Mimep Docete, 2025), rivolto in particolare agli adolescenti, ma non solo. La peculiarità del libro? Ha tante testimonianze al suo interno. Vi avevo già illustrato i primi cinque capitoli.
Nel sesto capitolo si affronta il tema della pornografia. A volte si dice che la pornografia sveli troppo. A dire la verità svela troppo poco. In questo capitolo si mettono in luce i rischi dell’utilizzo della pornografia. Secondo lo psicologo Thomas Lickona la pornografia offre un ‘ritratto molto deformato, quasi disumano, delle relazioni sessuali’. Non mostra ‘comportamenti sani’, come la conversazione amorevole, i baci e i gesti di affetto.
Nella pornografia, ‘tutto è deviato e distorto’. Insomma, che vantaggi ne avrà un ragazzo, una ragazza, una coppia? I desideri sono sani, ma se vengono guidati dalla volontà e da un cuore raffinato nell’amore… Più che sminuire con un ‘che male c’è?’, chiediamoci piuttosto come nutrire il cuore dei giovani, come aiutarli a imparare cosa sia amore e cosa di fatto sia solo un surrogato.
Nel settimo capitolo, entriamo nel tema ‘Fidanzamento e matrimonio: due tappe distinte’. Spesso non si scorgono grandi differenze tra fidanzamento e matrimonio se escludiamo la gioia di ufficializzare e condividere il proprio amore con chi ci vuole bene. Nella teologia del corpo, però, c’è una differenza sostanziale: il fidanzamento è il tempo in cui ci conosciamo e ci prepariamo alla vita insieme, il matrimonio è il tempo del dono senza riserve ad un’altra persona, che a sua volta si dona e mi accoglie per tutta la vita. Vivere il fidanzamento con prospettiva, cioè con una meta, è il miglior investimento che si possa fare per costruire una relazione solida.
Il capitolo 8 si intitola ‘E se c’è un bimbo in arrivo?’ Spesso, quando si parla di sessualità l’aspetto procreativo è messo tra parentesi. Basti pensare che, in un corso di educazione sessuale, prima ancora di spiegare il meccanismo riproduttivo si spiega come inibirlo. Ovvero, si propongono contraccettivi. I ragazzi non hanno il tempo di restare affascinato per come il miracolo della vita accade, che già sono abituati ad arginare il potere generativo dell’atto sessuale.
Cosa voglio dire nel mio libro: che dei quindicenni dovrebbero avere rapporti non protetti? Certo che no. Il punto è un altro. Il punto è proporre la sessualità proprio da un’altra prospettiva, aiutare i giovani a vedere quel gesto nella sua interezza, cogliendone sia la portata unitiva (che genera comunione tra gli sposi), sia la portata generativa, che merita rispetto. Non siamo noi a inventare il sesso: la sessualità c’è data. Non ne siamo padroni, ma custodi. Un aspetto che il peccato tende ad oscurare e trasfigurare…
Nel capitolo 9, si affronta il tema della guarigione del cuore. Vuole essere una risposta a chi si domanda: ‘E se mi sono abituato, abituata, a vivere la sessualità senza limpidezza? Se ho sprecato la mia vita con la persona sbagliata? Se mi sono lasciato, lasciata, ferire? Se il mio cuore è stato calpestato? Se ho calpestato io quello di un altro?’
Nel libro si vuol far capire a chi soffre in questo modo che può ricominciare daccapo. La via della purezza è sempre aperta … Al lettore si vuol comunicare questo: non avere paura del tuo passato, affrontalo e inizia a guarire.
Infine, nel libro, al capitolo dieci, affronto anche il tema della vocazione religiosa: non c’è meno amore nella vita di chi sceglie questa strada, semplicemente l’amore si accoglie e si esprime in maniera diversa. E come capire questo se non attraverso la testimonianza di persone che la vita, in questa maniera, l’hanno già donata?
Se ti ho incuriosito ecco il link al sito della casa editrice: Codice cuore istruzioni per l’uso | Casa Editrice Mimep Docete.
Intelligenza Umana e Artificiale a confronto

Giovedì 27 marzo, alle ore 17.30, si terrà un nuovo incontro del ciclo ‘Caffè Filosofici in Biblioteca. Tra un bicchiere di vino e un calice di idee’, all’Università Europea di Roma, via degli Aldobrandeschi 190. Il tema sarà ‘Una pagina scritta: da chi? Intelligenza Umana vs Intelligenza Artificiale’. Interverranno il Prof. Padre Alberto Carrara LC, Decano della Facoltà di Filosofia e Coordinatore del Gruppo di Ricerca in Neurobioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, e il Prof. Claudio Bonito, Professore incaricato in Filosofia dello stesso ateneo. Modererà il Prof. Guido Traversa, Associato di Filosofia Morale nell’Università Europea di Roma.
L’incontro è patrocinato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Roma, dal Gruppo di Ricerca in Neurobioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum e dall’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Da sempre la scrittura è un ponte tra chi narra e chi legge, un filo invisibile che lega autore e lettore in un rapporto empatico. Che si tratti della voce di un contemporaneo o dell’eco di un autore del passato, leggere significa entrare in una relazione: comprendere, immedesimarsi, lasciarsi trasformare.
Che cosa accade quando chi scrive non è più un essere umano, ma un’intelligenza artificiale? Possiamo ancora parlare di empatia? Questo tipo di scrittura ha un autore, un’intenzione, un’anima? Oppure il testo diventa un prodotto neutro, privo di quell’esperienza vissuta che rende la parola umana così potente?
In questo Caffè Filosofico si esplorerà la natura della scrittura nell’era dell’intelligenza artificiale, mettendo a confronto la creatività umana con la produzione algoritmica. Quali sono le differenze sostanziali tra un testo scritto da un autore in carne e ossa e quello generato da una macchina? Il lettore può ancora riconoscere una voce autentica o il confine tra umano e artificiale si sta dissolvendo?
L’incontro sarà un’occasione per riflettere insieme su cosa significhi oggi leggere, scrivere e comunicare in un mondo in cui le parole non sono più esclusivamente nostre. I Caffè Filosofici dell’Università Europea di Roma nascono da un’intuizione del Prof. Guido Traversa. Sono realizzati con il supporto degli Uffici per la Terza Missione e le Attività Istituzionali e con la collaborazione del Centro di Formazione Integrale della stessa università e dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
Gli incontri in biblioteca hanno l’obiettivo di attivare un processo di interazione con la comunità cittadina, allo scopo di sviluppare la ricerca e promuovere la crescita sociale, culturale e scientifica del territorio.
Papa Francesco: sentinelle per promuovere protezione ai minori

“Cari fratelli e sorelle, vi mando di cuore il mio saluto e alcune indicazioni per il vostro prezioso servizio. Esso, infatti, è come ‘ossigeno’ per le Chiese locali e le comunità religiose, perché dove c’è un bambino o una persona vulnerabile al sicuro, lì si serve e si onora Cristo. Nella trama quotidiana del vostro operato (soprattutto negli ambiti più disagiati), si concretizza una verità profetica: la prevenzione degli abusi non è una coperta da stendere sulle emergenze, ma una delle fondamenta su cui edificare comunità fedeli al Vangelo. Per questo vi esprimo la mia gratitudine”.
Ancora convalescente papa Francesco ha inviato un messaggio ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Commissione per la Tutela dei minori, ricordando che le pratiche di prevenzione sono la promessa e l’impegno di un ambiente sicuro per ogni bambino e per ogni persona vulnerabile, con la sottolineatura delle caratteristiche di questo ‘lavoro’:
“Il vostro lavoro non si riduce a protocolli da applicare, ma promuove presidi di protezione: una formazione che educa, dei controlli che prevengono, un ascolto che restituisce dignità. Quando impiantate pratiche di prevenzione, persino nelle comunità più remote, state scrivendo una promessa: che ogni bambino, ogni persona vulnerabile, troverà nella comunità ecclesiale un ambiente sicuro. Questo è il motore di quella che dovrebbe essere per noi una conversione integrale”.
Ed ecco gli ‘impegni’ a cui tale Commissione è chiamata: “Crescere nel lavoro comune con i Dicasteri della Curia romana. Offrire alle vittime e ai sopravvissuti ospitalità e cura per le ferite dell’anima, nello stile del buon samaritano. Ascoltare con l’orecchio del cuore, così che ogni testimonianza trovi non registri da compilare, ma viscere di misericordia da cui rinascere. Costruire alleanze con realtà extra-ecclesiali (autorità civili, esperti, associazioni), perché la tutela diventi linguaggio universale”.
E’ un invito ad essere ‘sentinelle’: “In questi dieci anni avete fatto crescere nella Chiesa una rete di sicurezza. Andate avanti! Continuate a essere sentinelle che vegliano mentre il mondo dorme. Che lo Spirito Santo, maestro della memoria viva, ci preservi dalla tentazione di archiviare il dolore invece di sanarlo”.
Mentre in occasione del XXX° Anniversario della Lettera enciclica ‘Evangelium vitae’ di san Giovanni Paolo II il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha pubblicato un sussidio su come avviare processi ecclesiali per promuovere una Pastorale della Vita umana al fine di difenderla, custodirla e promuoverla nei vari contesti geografici e culturali, in questo tempo di gravissime violazioni della dignità dell’essere umano, intitolato ‘La Vita è sempre un bene. Avviare processi per una Pastorale della Vita umana’, come scrive nell’introduzione il prefetto del Dicastero, card. Kevin Farrell:
“In un tempo di gravissime violazioni della dignità dell’essere umano, in tanti Paesi tormentati da guerre e da ogni genere di violenza (specialmente su donne, bambini prima e dopo la nascita, adolescenti, persone con disabilità, anziani, poveri, migranti) è necessario dare forma ad una vera e propria Pastorale della Vita umana, per mettere in pratica quanto ribadito anche dalla recente Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede… La vita di ogni uomo e di ogni donna va, pertanto, sempre rispettata, custodita, difesa. Questo principio, riconoscibile anche dalla sola ragione, va attuato in ogni Paese, in ogni villaggio, in ogni casa”.
Tale sussidio è stato realizzato grazie anche al contributo dei vescovi: “Al servizio di questo processo, il sussidio è una proposta che suggerisce, altresì, come applicare il metodo sinodale del discernimento nello Spirito riguardo ai numerosi temi legati alla vita umana e alle modalità per difenderla, custodirla e promuoverla nei vari contesti geografici e culturali”.
Il volume è disponibile gratuitamente sul sito del Dicasteri e propone un metodo aggiornato per animare la pastorale della vita in maniera capillare nelle diverse diocesi del mondo. A tal fine, il Dicastero auspica che “ogni vescovo, sacerdote, religioso, religiosa e laico leggano il Sussidio e si adoperino per sviluppare una Pastorale della Vita umana organica e strutturata, che possa formare in modo adeguato operatori, educatori, insegnanti, genitori, giovani e bambini al rispetto del valore di ogni vita umana”.
Italiani nel mondo: non dimenticare la migrazione italiana

“Non ci dobbiamo dimenticare dei volti dei migranti, sia quelli che arrivano nel nostro Paese sia i vostri, quelli dei tanti italiani che sono partiti o che stanno partendo. Ecco perché relegare la questione migrazione al tema dell’irregolarità o della clandestinità, applicando leggi disumane e facendo accordi con Paesi terzi per bloccare i flussi, serve solo per deumanizzare e non vedere che dietro il fenomeno migratorio ci sono persone in carne e ossa con le loro speranze”: così Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, ha esordito per presentare, giovedì 17 marzo, il Rapporto Italiani nel Mondo 2024 (RIM), realizzato dalla Fondazione Migrantes, a New York, nella Saint Patrick’s Old Cathedral School.
Durante l’incontro il presidente delle Acli ha evidenziato che non bisogna dimenticare l’emigrazione italiana: “In questo modo rischiamo anche di deumanizzare noi stessi, come se fossimo senza memoria e avessimo dimenticato l’emigrazione italiana, con le fatiche e le umiliazioni subite dai nostri connazionali. L’antidoto oggi è gestire il fenomeno migratorio, quindi accogliere e integrare con diritti e doveri, per creare responsabilità e accettare il contributo che ciascuno può portare”.
Inoltre ha esortato gli italiani all’estero ad aiutare gli italiani a non dimenticare la propria storia: “Vorrei poi sottolineare un punto molto importante, e cioè che noi siamo cittadini europei di nazionalità italiana e vogliamo rivendicare la nostra appartenenza a un modello di pace, convivenza e sviluppo sociale che ha accompagnato le nostre generazioni, compiendo un sogno che sembrava impossibile: far vivere in pace, sviluppo e libertà popolazioni che si sono odiate per secoli. Quello è il modello di cittadinanza che vorremmo per il mondo. Agli oltre 6.000.000 di italiani all’estero dico: non dimenticateci. Aiutateci a leggere i nostri contesti, esercitate i vostri diritti e doveri. Avete il diritto di voto: la vostra partecipazione alla vita del nostro Paese è troppo importante per perderla”.
Secondo il Rapporto ‘Italiani nel mondo’ 2024 il 23,2% di chi è all’estero ha tra i 35 e i 49 anni, mentre il 21,7% appartiene alla fascia di età 18-34 anni. Ma nello stesso tempo esiste anche una certa mobilità degli over 50 definita come ‘mobilità previdenziale’, dimostrata in particolare dal fatto che gli over 65 sono aumentati del 12,9%.
Inoltre dal 2020 a oggi, l’Italia conta circa 652.000 residenti in meno, mentre gli italiani residenti all’estero sono oltre 6.000.000. Secondo il ministero dell’Interno, invece, per quanto riguarda gli sbarchi dei migranti in Italia, tra 2020 e 2024, si è raggiunta la cifra di poco superiore a 430.000 persone.
Cifre confermate da Delfina Licata, curatrice del RIM, che ha sottolineato il lungo tempo trascorso per presentare questo rapporto in America: “Nel frattempo i connazionali all’estero sono raddoppiati e in America sono cresciuti di oltre il 70%. Un’America e una New York profondamente cambiate da quel lontano 2006, anno della prima pubblicazione del Rapporto che la Fondazione Migrantes dedica alla mobilità italiana.
Oggi siamo diventati una nazione dalle migrazioni plurime e complesse, pienamente protagonisti del cosmopolitismo e della circolazione europea, ma che soffre per una migrazione malata perché unidirezionale. Il lavoro da compiere è quello di guarire il processo migratorio trasformandolo da unidirezionale a circolare, unendo le partenze agli arrivi e ai ritorni. E questo lavoro è innanzitutto culturale. Ma dalla guarigione della ferita migratoria, che vede esaltare la perdita e non l’opportunità, occorre passare alle azioni concrete”.
Mentre Matteo Bracciali, membro della commissione scientifica del Rapporto Italiani nel Mondo e vicepresidente della Federazione delle Acli Internazionali, si è concentrato sul capitolo dedicato alla cittadinanza: “I numerosi saggi del Rapporto sul tema della cittadinanza, messa a confronto in molti Paesi del mondo, restituiscono una narrazione positiva fatta di persone che vogliono entrare a far parte di una comunità per condividerne i valori, goderne i diritti e ottemperare ai doveri.
Questi elementi devono essere alla base della riforma della legge sulla cittadinanza, che dopo 33 anni ha bisogno di essere aggiornata al contesto sociale di oggi per dare risposta ai ragazzi nati e cresciuti in Italia che chiedono di essere italiani e per rendere responsabili e consapevoli le nuove generazioni di italiani nel mondo”.
La chiusura dei lavori è stata affidata a mons. Gian Carlo Perego che ha sottolineato l’importanza della cittadinanza, quale occasione di rigenerazione dei territori: “Il nostro Paese ha bisogno di aprirsi a chi desidera una vita migliore per creare generatività nel tessuto sociale e non di chiudersi provocando la morte di territori e comunità.
Il nostro Paese ha bisogno di una nuova lettura della propria storia di Paese di migrazioni in arrivo e in partenza che non è una sola storia di povertà ma è soprattutto un presente di sacrificio e riuscita, di comunità come quella intorno a Saint Patrick, giovane e dinamica, con il desiderio di stare insieme e riconoscersi in una italianità che viene sicuramente plasmata dalla migrazione, ma che non si allontana dall’affetto delle radici ben salde.
Il nostro Paese ha bisogno di fare memoria con il volto proiettato non verso le spalle, ma davanti a sé per costruire un futuro in mobilità, partecipativo e partecipato nell’epoca delle migrazioni. Il nostro Paese ha, infine, bisogno di una cultura nuova che parta dallo studio rigoroso del presente che dall’analisi dei dati scientifici ci porti alla narrazione del chi siamo, volti e storie di un popolo in cammino”.
(Foto: Acli)
L’albero della vita. Accogliamo ogni ‘noce’ come un dono

Sempre ascoltando solo i brani di Sanremo e andando alla ricerca dei significati di quelli che mi hanno colpita, propongo una rilettura e un pensiero sul resto di una delle prime canzoni classificate. L’albero delle noci, che dà il titolo al brano del cantautore calabrese, esiste realmente nel paese in cui vive Brunori,il quale dichiara che esso contiene tutte le canzoni che scrive. Il brano in questione, però ,racconta come è cambiata la sua vita con la nascita della figlia. Il cantautore commenta: “Si parla spesso della felicità di diventare genitori, ma io volevo anche condividere la paura di sentirsi inadeguati, incapaci di sostenerla”.
Spesso si trovano situazioni simili, egli non è l’unico ad avere paura, spesso capita di pensare cose tipo: si ammalerà, mangia abbastanza, si troverà bene a scuola? I genitori, a volte, non riescono a rilassarsi perché temono che per una disattenzione possa accadere qualcosa ai figli, che possano sbagliare, anche involontariamente, creando danni più o meno gravi. Si sentono stanchi e non godono del momento che tanto desideravano perché pieni di paure. Questo può davvero portare ad errori e a sensi di colpa che poi, nei tempi attuali, porta i figli a diventare sin dalla più tenera età, dei piccoli ‘imperatori’ a cui non puoi dire di no.
Come nulla di nuovo raccontano i brani sull’amore verso i figli, nulla di nuovo ci racconta quello in questione. Tutti i genitori con la G maiuscola, prima o poi, provano questi sentimenti del tutto normali. Qual è la novità di questo brano? Il coraggio ammettere che, nonostante le buone intenzioni, anche noi credenti, abbiamo paura di fare del male ai nostri figli. I doveri di cura del proprio bambino,quando si teme di non essere all’altezza, possono fare esplodere anche il più buono dei genitori.
Ma bisogna ricordare, come rammenta il pezzo, anche le piccole soddisfazioni che i nostri pargoli ci regalano in primis il dono di esserci, di fare parte della nostra vita. Non tutti sono così fortunati da avere figli o da averli subito. Quindi il primo passo è, quando ci sentiamo schiacciati dal compito che la vita ci ha affidato,ricordarci il dono che abbiamo ricevuto. Anche se non può parlare da subito, il bambino è riconoscente per le nostre cure perché dipende da noi.
Ogni cosa buona che faremo sarà utile alla creatura. Ogni bambino, sin dalle più tenera età, mostra segni di affetto verso chi lo cura e, più cresce, più intende. Quando il bambino è davvero molto piccolo, è davvero difficile gestire le proprie paure e sarebbe bello trovare qualcuno con cui confrontarsi. Normalmente si pensa al marito, alla moglie, la la mamma, la suocera, una sorella o un fratello, ma anche il suocero può essere d’aiuto.
Non tutti gli uomini sono incapaci di accudire un bambino e di capirne le necessità. Bisogna capire chi si ha intorno e con quali persone è possibile sfogarsi e spiegarsi. Certo, con le pagine online sembra più facile, ma non dobbiamo dimenticare che non sempre sono veritiere e non chiedono nulla in cambio in termini di tempo e, a volte, di soldi. Meglio condividere le proprie paure con una persona reale . Ovviamente ci sono le eccezioni e, certe amicizie a distanza, possono essere utili nel confrontare le esperienze e chiedere consiglio.
Uno psicologo di un vecchio numero di Famiglia Cristiana, consiglia alle mamme la compilazione del diario semiserio della mamma e del bebè di Shannon Cullen (De Agostini ed.) il cui sottotitolo è proprio come sopravvivere al primo anno di vita di tuo figlio. Infine, suggerisce di leggere insieme al coniuge uno dei seguenti titoli che possono aiutare a liberarsi dall’ansia: Impara a vivere. Come superare l’ansia e lo stress e ritornare alla felicità di Susan e Mats Billmark (Mondadori) e Fai quello che ami. Vivi di più, preoccupati di meno di Beth Kempton (Corbaccio ed.).
Ciò che consiglia la qui presente ‘Hope coach’ per famiglie con problemi è: scrivi il tuo diario, magari prepara delle lettere in cui racconti ciò che provi a tuo figlio. Sarebbe meglio scriverle su carta, ma se temi che vengano trovate e che ti deridano, scrivile sul cellulare. Non devono essere perfette, complesse e dettagliate a livello di lettera, devono semplicemente contenere ciò che vorresti dire. Crea un profilo doppio col nome che vuoi tu e invia messaggi audio sulla falsa riga della lettera, come se raccontassi a tuo figlio quello che provi. Quel profilo devi usarlo solo a questo scopo. Utilizza esclusivamente la parte dei messaggi.
Non usarlo per niente, se non come raccoglitore di esperienze e sfoghi Quando sarà in grado di capire,non devi per forza, mettere tuo figlio al corrente di tutto ciò. Puoi anche distruggere o cancellare il materiale una volta superata la fase critica, ma l’idea di potersi confidare e di poter già parlare dei problemi della vita con il proprio figlio può calmare perché è come se lui sentisse il bene e la paura. Liberando la paura, si è più tranquilli con il bambino che subirà, a sua volta, meno stress.
Già, prova a metterti dalla parte opposta. Il bambino capisce, non è del tutto incosciente. Sente il clima e si rende conto, a suo modo, se chi gli sta accanto è tranquillo o no. Se non ci si libera dell’ansia la si può portare avanti per tutta la vita del piccolo che, crescendo, sarà sempre più consapevole di questo. Potrebbe pensare, per errore, di essere poco amato o sentirsi ‘il problema’ e il vostro rapporto si rovinerebbe.
Per chi è credente è bene continuare a ricordare il fatto del dono, della nuova vita. Non bisogna avere paura, ma aprirsi al bello. Ne parla anche il card Trujllo in un discorso poi trascritto. L’attuale cultura che sempre più si incentra sulla modifica della famiglia ( alcuni cristiani potrebbero percepire alcuni cambiamenti come positivi e lo si vede tutti i giorni, il punto cruciale non è questo, ora) . Per chi è credente l’importante è ricordare che il dono più ‘bello e prezioso’ ‘è quello dei figli’.
La Costituzione pastorale ‘Gaudium et spes’ dice che i figli sono il dono ‘il più prezioso’ (GS 50): “Questa espressione è stata richiesta da Paolo VI e aggiunta al testo della Costituzione Pastorale durante il Concilio Vaticano II”. Cerchiamo, quindi, davanti alle culle, di ringraziare per la fortuna di aver potuto vedere nascere e crescere i nostri piccoli, stupendoci sempre di come la vita sia speciale, di come siano fragili e importanti queste creature. Ricordiamo la gioia che ci hanno dato e non ascoltiamo i pareri su chiunque.
Non tutti saranno d’accordo sull’educazione, soprattutto quella religiosa, che daremo ai nostri figli, ma non abbattiamoci. Agire sempre per il bene dei figli e non al posto loro è la cosa giusta. Si può agire al loro posto quando sono appena nati? In un certo senso si, cioè prendendosi cura delle loro necessità. Si può essere preoccupati e stanchi, ma il nostro credo ci impone anche la gioia di aver permesso ad una nuova vita di trascorrere serenamente un giorno in più. Si dice: quando i figli crescono, i primi momenti con loro mancano.
Ogni figlio è unico e diverso da tutti gli altri, ma ha una cosa in comune con il resto dei pargoli: essere frutto dell’amore tra i coniugi. Nessun figlio nasce per caso e tutti quei bambini che vengono al mondo ‘non voluti’, anche in situazioni che non dovrebbero verificarsi, perciò vengono abbandonati e, poi, fortunatamente adottati da persone chiamate ad essere genitori, sono frutto di amore. Sono venuti su questa terra proprio come un dono a quella coppia pronta ad avere figli, ma impossibilitata ad avene.
Una coppia aperta all’accoglienza di chi ha più bisogno di aiuto e che vuole dare un futuro migliore a chi nasce senza colpa. Il bambino viene al mondo con un compito preciso e le azioni scellerate come una violenza, relazioni sbagliate o malgestite ( penso ci capiamo anche se uso parole delicate) è un dono che viene per cancellare quell’errore, per dare una seconda opportunità a chi ha sbagliato e non abbandona il piccolo o a chi, vedendolo in stato di adottabilità lo prende con sé.
Tutti questi tipi di genitori hanno le stesse paure e si, anche chi sbaglia ma si prende le sue responsabilità, può essere un fratello o una sorella che smarrisce la via e poi la ritrova. Non si deve giudicare, ma aiutare a vivere i primi momenti con più serenità possibile. Anche chi adotta può avere paura proprio per il passato del bambino, vuole dargli un futuro migliore, ma magari lo sta già facendo e le paure sono inutili.
In Africa, quando nasce un bambino, c’è gioia. Quando questo torna dall’ospedale dopo il parto, ‘tutta la tribù fa festa’ gioiosamente. Il cardinale di qualche capoverso fa, ricorda di aver visto lo stesso accadere a Gerusalemme, tempo fa. Noi cristiani possiamo rifarci allo stesso Salmo 126 a cui fanno riferimento gli ebrei: ‘…Ecco, dono del Signore sono i figli e Sua grazia il frutto del grembo’.
Noi credenti, nel rispetto di tante situazioni che non spetta a noi giudicare, possiamo ancora vivere il modello della famiglia fondata sul matrimonio come comunità di amore tra un uomo e di una donna, esclusiva, fedele, aperta, sempre nella fedeltà, alla procreazione od all’adozione. Una famiglia in grado di vivere quei piccoli momenti difficili all’inizio dell’avventura genitoriale come un dono che non a tutti è concesso, anche se non è colpa loro, anche se sarebbero dei buoni genitori. Scopriamoci amati e degni di vivere il mistero della vita assieme ai nostri figli. E, perché no, in assenza di figure di aiuto in un momento di sfogo, cantiamo L’albero delle noci.