Scritti da: Redazione
Nell’ora di religione… piccoli Piero Angela crescono
Benedetto XVI, 70 anni di diaconato: vivere in contatto costante con Dio
“Alla fine di ottobre ricevemmo l’ordinazione suddiaconale e quella diaconale. Cominciava così la preparazione più immediata all’ordinazione sacerdotale, che allora era molto diversa da oggi”. Joseph Ratzinger racconta così, nella sua autobiografia “La mia vita” (Edizioni San Paolo, 1997), il giorno in cui ha ricevuto il primo grado del sacramento dell’ordine dalle mani di mons. Johannes Baptist Neuhäusler, vescovo ausiliare di Monaco e Frisinga, il 29 ottobre 1950.
Benny Lai il decano dei vaticanisti, ci ha lasciato stamattina: ecco il “suo” Vaticano
Questa mattina, 12 dicembre, Benny ci ha lasciato. Benny Lai, decano dei vaticanisti italiani, da un paio di anni combatteva con la malattia. Combatteva con il suo stile e la sua classe. Il suo ultimo libro, è stato un volume dedicato alle finanze vaticane che molti dovrebbero leggere proprio in questi giorni.
Noi di Korazym abbiamo anche avuto il piacere di pubblicare articoli con la sua firma. Abbiamo deciso oggi di ripubblicare la sua più recente intervista in cui racconta un po’ del “suo Vaticano”. Buona lettura e grazie Benny!
“Eravamo in via del Pellegrino, nei locali dell’Osservatore Romano. Ma poi arrivò Paolo VI. Venne a trovare noi giornalisti nei locali che fungevano da Sala Stampa. Fui io, come più anziano dei vaticanisti, a rivolgergli il saluto iniziale. E lui aveva questi occhi che si aprivano quando ti guardava, improvvisamente. Lui decise che c’era bisogno di uno spazio più grande. Ci spostò ai propilei, dove è tuttora la Sala Stampa. Paolo VI cacciò noi giornalisti dal Vaticano”. La prima tessera di accreditamento presso la Sala Stampa vaticana di Benny Lai risale al 1952 (è il permesso numero 63 rilasciato il 15 marzo del 1962), e ha la firma di Giovan Battista Montini, sostituto alla Segreteria di Stato. Allora si chiamava “Sala Stampa dell’Osservatore Romano”. Mentre la Sala Stampa vaticana festeggia i 50 anni, lui ne festeggia 60 come vaticanista. Ed è una memoria storica vivente.
Giuseppe Verdi: Duetto cor ad cor
Erano passati vent’otto anni da quando Verdi aveva scritto il duetto d’amore tra Amelia e Riccardo nel Ballo in maschera. Nel mirabile duetto, che chiude il I atto di Otello, il musicista descrive un amore romantico dominato prevalentemente da forte e intima passione umana. In Verdi, ormai settantenne, questa stessa passione d’amore sarà vissuta nell’alveo di un sentimento più misterioso, quasi trasfigurato, nel rispondere al sereno invito a rivivere l’esperienza di un amore passato e mai spento tra la giovane patrizia veneziana e il Moro.
In memoria di un uomo buono: il musicista Alberico Vitalini
Gli anni passano inesorabili per tutti, anche gli anni che ci separano dalla scomparsa di una persona cara, di una persona che si e’ incontrata durante la nostra vita e che ora non e’ piu’ con noi. Quando si parla di chi non è più tra noi, c’è il sempre il rischio di scadere nella retorica più sdolcinata. Ma non sarà retorica, credetemi, quello che sto per dire: Alberico Vitalini scomparso a Roma, il 9 dicembre 2006, all’età di 85 anni, era veramente un musicista di tutto rispetto, una persona con una seria preparazione tecnica alle spalle, un artista che aveva avuto la gioia di una carriera lunga e feconda al servizio della musica e della Liturgia; ma era soprattutto e prima di tutto, una persona profondamente buona.
Riccardo Muti incontra gli Universitari di Roma e spiega il Nabucco
Universitari della capitale, all’opera! – o meglio – all’Opera. Sì, perché la lettera maiuscola non è un vezzo retorico quando si parla di opera lirica, ancor di più se i nostri protagonisti sono la musica di Giuseppe Verdi e la direzione di Riccardo Muti.
Lunedì 8 luglio i giovani studenti delle Università di Roma e del Lazio incontreranno il Maestro Muti, che darà per loro una lezione-concerto sul Nabucco, una tra le opere più conosciute di tutta la produzione verdiana.
E se tale è da sempre la sua notorietà, al punto che Verdi stesso, con un pizzico di fatalismo, poté commentare “Nabucco nacque sotto una stella favorevole, giacché anche tutto ciò che poteva riuscire a male contribuì invece in senso favorevole”, non temano gli studenti meno eruditi di musica: nessuno potrà non riconoscere almeno le note dell’aria “Va’, pensiero”.
La serata, organizzata dal Teatro dell’Opera di Roma, arriva alla vigilia della “prima” del Nabucodonosor: il melodramma andrà infatti in scena la settimana successiva, dal 16 al 23 luglio. Ma l’appuntamento, per tutti gli universitari, è alle ore 19 al Teatro Costanzi e non ci saranno biglietti in vendita: l’ingresso è gratuito per gli studenti fino ad esaurimento dei posti disponibili.
Il Silenzio e la missione nel Giappone di Shusaku Endo
Il silenzio è assordante. In mezzo allo spasimo della vita che infuria tutt’intorno, il furore degli aguzzini, il ritmo del lavoro duro e senza fine dei contadini, i suoni della natura indifferente, quel silenzio è assordante, perché è il silenzio di Dio. E’ quello che colpisce al cuore del gesuita Sebastian Rodrigues, che nel 1633 è partito, insieme al confratello Francisco Garrpe, è partito alla volta del Giappone come missionario. E anche per verificare la notizia terribile secondo la quale l’indomito padre Ferreira, da anni in terra giapponese per diffondere il cristianesimo, avrebbe abiurato.
Ben presto padre Rodrigues conosce la paura, lo smarrimento, l’isolamento, la fame, la persecuzione. Ma soprattutto il terribile peso del silenzio di Dio. Perché nel momento della sofferenza, della perdita totale di tutto, alla domanda cruciale: Dio mio, perché mi hai abbandonato? Perché non rispondi?, il missionario non sente alcuna risposta. Ascolta, dalla misera prigione in cui langue da mesi, solo i rumori della vita altrui, da cui si sente del tutto escluso, davanti agli occhi solo le immagini della morte del suo confratello Garrpe e dei poveri contadini diventati cristiani e uccisi dalle autorità perché non avevano voluto abiurare la loro nuova fede. Questa storia viene raccontata in uno splendido romanzo dello scrittore giapponese Shusaku Endo, convertitosi al cattolicesimo e più volte candidato al premio Nobel per la letteratura, scomparso nel 1996. La casa editrice Corbaccio ha ripubblicato uno delle sue opere più commoventi e stilisticamente maturo, ossia <Silenzio>. Un racconto forte e duro, che a tratti fa persino male a leggere, mentre racconta i tormenti della persecuzione e soprattutto quelli dell’anima, sottoposta al dubbio, all’angoscia, al pensiero, peggiore della morte, che tutto sia inutile, che la vita sia inutile, poiché Dio non risponde, Dio non esiste.
Padre Rodrigues sprofonda nel fallimento della sua missione, conosce la pena dell’essere tradito e calpestato, arriva allo sconforto più amaro incontrando il suo antico e venerato maestro padre Ferreira ridotto all’ombra di se stesso, rinunciando alla fede e assumendo persino un altro nome giapponese. Anche lui, il giovane missionario pieno di fervore e di speranza, arriva a calpestare la sacra immagine di Cristo per salvare i poveri prigionieri che saranno uccisi se lui non abiura. Divenuto un rinnegato, al culmine del proprio annientamento, riscopre l’amore di Dio che on era in silenzio, ma <soffrivo accanto a te>, come Gli mormora nel cuore, nell’ultimo struggente dialogo tra il povero prete rinnegato e il suo Signore. Intorno c’è il Giappone del Seicento, ma non ci sono concessioni all’esotismo. Ci sono il sudore e la miseria dei contadini, c’è il mare che diventa anche troppo spesso una tomba, ci sono la luna e le primavere piene di fiori, ma la luce e i profumi si confondono con il lezzo delle ferite dei prigionieri e con il calore soffocante di chi è costretto a percorrere ore di cammino a piedi, trascinando catene. Ci sono solitudine, paura, dolore, ma anche coraggio, tenerezza, aiuto. L’ultima parola non è dettata dalla disperazione: persino dopo l’abiura, Rodrigues rimane prete, <l’ultimo prete in questa terra. Ma Nostro Signore non ha taciuto. Anche se avesse taciuto, la mia vita fino a questo giorno avrebbe parlato di Lui>.
Papa Francesco, l’uomo del guado
“È uno di noi”: un giornalista sa ormai per esperienza che prima o poi, al termine della sua giornata di interviste in piazza o nel mezzo di una conversazione su un bus di linea, da qualcuno gli arriverà, limpida e lapidaria, la spiegazione sull’amore a prima vista scoccato tra Jorge Mario Bergoglio e il mondo. “Il vescovo e il popolo” sono gli interlocutori di quel dialogo cominciato la sera dell’elezione al soglio di Pietro quando, dalla loggia delle Benedizioni, ai cattolici di Roma e del mondo papa Francesco chiedeva preghiera. A quasi quattro mesi da quel 13 marzo, Francesco è il pastore che ad ogni appuntamento pubblico richiama intorno a sé tanti pellegrini che piazza San Pietro non può contenerli, il suo sorriso fa più attraenti le copertine, raccoglie il ciuccio di un bambino ed ecco sorgere un evento comunicativo.
Si direbbe che siamo nel pieno della costruzione mediatica di un mito, un processo poderoso in cui una fabbrica inesausta di significati amplifica il gesto più spontaneo e lo celebra. Paradossalmente, il mito ogni giorno rende l’uomo che tutti cercano un po’ più distante e un po’ meno reale, alla sua persona toglie matericità e al suo messaggio l’efficacia. Eppure, nulla di tutto questo accade al vescovo Bergoglio e al suo popolo: per le migliaia di pellegrini che in una domenica romana attendono di vedere il pontefice in dimensioni che non superano quelle di un puntino bianco, papa Francesco resta l’uomo della prossimità, “uno di noi”.
Come se il guado del successo, una volta attraversato da “padre Jorge” al momento dell’elezione in Conclave, fosse evaporato, estinto nella sua vanità. L’illusorietà di questa separazione è tanto chiara a papa Francesco da fargli dire, alla folla che lo ascolta nell’ultima udienza generale prima della pausa estiva, che “nessuno è secondario”, nessuno è “anonimo” nella Chiesa. E poi: “Se qualcuno dicesse «senta, Signor Papa, lei non è uguale a noi!» Sì, sono come ognuno di voi, tutti siamo uguali!”
Per capire la portata di questo messaggio serve uno sguardo non superficiale sulla struttura della nostra civiltà, quella che papa Bergoglio ha chiamato a Lampedusa la “civiltà del benessere”: i punti d’equilibrio, le disparità, le mille barriere che drammaticamente separano chi ce la fa e chi soccombe, chi ha successo e chi muore. Chi ha voce e chi resta inascoltato. Viene in mente il deserto di Sonora, l’ultimo lembo di terra che dal Messico porta in Arizona. Ogni anno in centinaia tentano di attraversarlo illegalmente e muoiono di fame e di sete. In città come Tucson, o nel Texas della Rio Grande Valley, si raccolgono ossa, si cerca di identificare i corpi di chi di speranza muore.
Ma non è meno liminare la sopravvivenza nelle solitudini interiori delle società occidentali. Nel film Reality, Matteo Garrone mette in scena un altro guado, quello che separa l’anonimato dalla notorietà e regala la rovinosa illusione che solo nella celebrità – nella mediazione televisiva – sia possibile un’esistenza “reale” e degna. Percepiamo come un guado spietato anche la malattia e la morte. E un tremendo passaggio aspetta l’uomo lì dove il lavoro manca e la corruzione sembra l’unica risposta. Dove ci sono guerra e carcerazione. I guadi, le frontiere, sono i luoghi estremi lungo i quali si addensano le povertà, i dolori più crudi e le speranze più ostinate. Sono il discrimine tra vita nuova e morte, l’ultima linea della ragione sul mistero: per l’uomo di fede cristiana, sono l’intimità sconosciuta e vergine abitata da Dio. Povertà e speranza sono le due vedette della frontiera. E sono anche, finora, le due parole-chiave del pontificato di papa Bergoglio.
Non c’è da stupirsi, allora, che il papa “preso dalla fine del mondo” abbia scelto di accogliere l’invito di Lampedusa per il suo primo viaggio fuori dall’Urbe: è da qui, lungo questa frontiera d’acqua teatro di tragedie e speranza di popoli, che Francesco sembra voler farsi compagno dell’uomo. E dall’ultimo approdo d’Europa consegna al mondo le parole più vibranti di tutto il suo giovane pontificato, di un’intensità che nessun professionista della comunicazione può ancora amplificare, per risvegliare negli uomini la “responsabilità fraterna” ad essere “custodi gli uni degli altri”. Con una certa dose d’azzardo possiamo credere che sarà sempre lì dove c’è un guado dell’umano che si fermerà più volentieri e, custode e pastore, si lascerà trovare dal suo popolo. Papa Francesco è l’uomo della prossimità, “uno di noi”, perché è l’uomo del guado.
La Chiesa francese ribadisce il valore del matrimonio
Nei giorni scorsi un manifestante della ‘Manif pour tous’ è stato processato per direttissima e condannato a quattro mesi di prigione più un’ammenda di mille euro. Nicolas, 23 anni, tra i cinque fondatori dei Veilleurs, movimento legato alla Manif che si ritrova in piazza per cantare e leggere poemi, si era recato domenica scorsa con altre 1500 presone davanti al canale televisivo M 6, dove si trovava Hollande, per protestare contro la legge sul matrimonio gay. Poi ha deciso di andare sugli Champs-Élysées, nel centro di Parigi, con alcuni suoi amici, tutti con la maglietta della Manif, che mostra nel logo un padre e una madre con i loro due figli. Gli amici di Nicolas hanno aperto una pagina facebook per sostenere il primo ‘prigioniero politico’ del governo Hollande. La famiglia del ragazzo ha rivolto un appello alla calma, chiedendo che non se ne faccia un eroe, tantomeno un martire. Ma i parenti si dicono stupiti per la pena ‘sproporzionata’: vogliono sia rispettato il diritto di opinione. Alcuni giorni dopodon Didier Pirrodon, curato di Saint-Cyr-au-Mont-d’Or, piccolo comune di 5.000 abitanti, è stato invitato come ogni anno alla cerimonia di promozione degli allievi commissari della Scuola nazionale superiore della polizia.
Alla cerimonia, in qualità di rappresentante del governo francese, era presente anche il premier Jean-Marc Ayrault. Per questo, alcune decine di persone appartenenti alla Manif pour tous si sono riunite davanti agli uffici postali del Comune a manifestare contro l’arresto di Nicolas. Informato via sms dai suoi parrocchiani che anche le persone in uscita dalla chiesa avevano subito un controllo di identità da parte della polizia, don Pirrodon al termine della cerimonia si è avvicinato al prefetto e al sindaco presenti per protestare: “A questo punto sono stato portato anch’io al commissariato. Quello che mi aveva fatto arrabbiare e che io trovo inammissibile è che anche le persone in uscita dalla chiesa siano state controllate dalla polizia. E anche molte famiglie che si trovavano vicine agli uffici postali sono state trattenute per diverse ore”.
Infatti la commissione ‘Famiglia e Società’ del Consiglio della Conferenza dei Vescovi di Francia, presieduta da Mons. Jean-Luc Brunin, vescovo di Le Havre, dopo l’approvazione della legge di aprire il matrimonio alle coppie dello stesso sesso, ha pubblicato un documento intitolato ‘Continuiamo il dialogo!’ in grado di fornire ai delegati diocesani per famiglie elementi di discernimento e di lavoro; il testo mette in evidenza gli aspetti positivi che sono emersi dalle discussioni e si propone di continuare dialogo sulla visione cristiana dell’uomo, la specificità del matrimonio cattolico e il significato di amicizia. La commissione del Consiglio della Conferenza dei Vescovi di Francia propone quindi questo testo per aiutare le comunità cattoliche a superare le loro differenze di approccio e di approfondire il dialogo: “Se la fede cristiana è una risorsa che dà senso alla nostra vita, allora è possibile ascoltare e sentire per raccontare quello che è ora fonte di guida e di ispirazione etica della una società pluralistica e laica”. Nella nota, il Consiglio di ‘Famiglia e società’ ha dato una panoramica dei motivi che potrebbero portare a chiedere la trasformazione del matrimonio civile, spiegando perché questa trasformazione del matrimonio è una risposta inadeguata alla richiesta di riconoscimento delle coppie dello stesso sesso ed esortando i legislatori a proteggere il bene comune.
Molto articolato è stato il percorso intrapreso dalla conferenza episcopale francese, che ha invitato al dialogo in quanto il giudizio etico è diventato pluralista: “Così Noi assistiamo all’emergere preoccupante di nuovi modi di giudicare situazioni. Questo fatto deve essere preso in considerazione da tutti coloro che vogliono praticare il dialogo: si deve anche tener conto della storia personale di ciascuno e cercare di unirsi a loro, il che significa anche assumere la propria storia… L’esercizio della democrazia implica ammettere in via preliminare, che le differenze di opinione sono legittime. Su questa base, i cittadini e le loro organizzazioni possono liberamente esprimere le proprie opinioni nel rispetto degli altri. E tutti meritano di essere ascoltati e rispettati nelle proprie profonde convinzioni. La discussione dovrebbe normalmente contribuire a migliorare un progetto per raccogliere il sostegno del maggior numero. Il disprezzo, la violenza verbale o fisica non hanno posto nel processo democratico”.
La Chiesa francese ha chiesto il rispetto della laicità: “La Chiesa può far sentire le sue argomentazioni; i cattolici, come tutti i cittadini, possono parlare. Naturalmente, non può imporre la fede o la prospettiva religiosa. La partecipazione dei cattolici nella discussione pubblica si basa su una visione dell’uomo che è radicata nella fede cristiana attraverso la ragione… Nella sua ultima seduta plenaria, la Conferenza dei Vescovi di Francia ha parlato della situazione venutasi a creare con l’adozione del disegno di legge e la sua portata in termini di coesione nazionale. Ha anche esortato i cattolici a comportarsi come cittadini, di prendere una posizione di minoranza in una democrazia”. Quindi la Chiesa ha auspicato che si tenga conto degli interessi del bambino rispetto alle esigenze degli adulti, perché “nella visione cristiana, l’uomo è un essere relazionale. Creato a immagine e somiglianza di Dio Uno e Trino, è nato da una relazione ed è costruito come una persona attraverso molteplici relazioni e soprattutto attraverso i suoi legami familiari. L’essere umano non è dunque un individuo isolato, un’isola perduta.
Questa è una persona, sempre collegata ad altri. La sua libertà e indipendenza non esistono; esistono solo nella giusta relazione con gli altri. Cristo, con la sua vita, morte e risurrezione, mostra lo stretto rapporto tra lui e suo Padre. Essa ci insegna il benessere, è di essere in relazione. Se le relazioni sono, a questo punto, costitutive del nostro essere, non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle persone con cui siamo in relazione. La nostra interdipendenza richiede solidarietà tra noi. Questa solidarietà ‘non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone vicine e lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune, vale a dire, per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti’… Se l’uomo è un essere relazionale, l’unione di un uomo e una donna nel matrimonio è un luogo per vivere questo rapporto. Oltre ad una visione dell’uomo e della donna, la fede cristiana ci porta ad una visione del matrimonio”.
Perciò la Chiesa francese invita i giovani ad assaporare un po’ della vita di Dio attraverso il matrimonio: “Fedeltà e indissolubilità sono severi requisiti che possono sembrare poco realistici alla vista umana, ma invitano a nutrirci della straordinaria fedeltà di Dio. L’apertura alla vita significa che i nostri amori non sono destinati a chiuderci in un testa a testa egoista, ma ci portano ad accogliere gli altri. La Bibbia ci mostra il volto di Dio, infinitamente fedele, sempre indulgente e persino gli errori del suo popolo. Cristo ci mostra un amore dalle dinamiche relazionali in grado di ospitare tutti. Anche se i nostri matrimoni non sono sempre troppo piene di amore che Dio ci offre, questa è un’avventura che vale la pena di essere vissuta, ed è una gioia per chi riesce ad andare fino in fondo”.
Lampedusa, il Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta di nuovo in mare per il salvataggio di migranti e profughi
La parola di Papa Francesco insieme alle opere dei volontari per il soccorso dei migranti. Sono riprese oggi, contestualmente alla toccante visita di Papa Bergoglio a Lampedusa, le operazioni di salvataggio e assistenza in mare prestate nelle acque del Canale di Sicilia dai medici, infermieri e soccorritori del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta (CISOM) sulle imbarcazioni della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. A comunicarlo è lo stesso Corpo per bocca del suo direttore nazionale, Mauro Casinghini, presente oggi sull’isola contestualmente all’arrivo del pontefice argentino. “L’intensificarsi dei fenomeni migratori ed una riflessione sulle proibitive condizioni in cui queste donne e questi uomini affrontano il mare – afferma Casinghini – aveva già indotto il Consiglio Direttivo del CISOM a riprendere le attività dal prossimo 12 luglio, al di là degli accordi convenzionali. Ma la visita del Santo Padre a Lampedusa ci ha spinti ad anticipare la ripresa delle attività a lunedì 8, anche per onorare la sua attenzione al dramma vissuto da queste persone”.