Gesù nasce povero, ma non come lo vuole la mitologia modernista

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 29.12.2023 – Vik van Brantegem] – Alcuni giorni fa in una discussione, ho avuto l’occasione di ribadire che Gesù è nato povero, ma non pezzente; semplice, ma non sempliciotto; sostenendolo con riferimenti evangelici e storici. San Giuseppe era un falegname, quindi di condizioni agiate ed era un’autorità nella comunità di Nazareth. Gesù insegnava da bambino nel Tempio e come adulto nella sinagoga, era un “maestro”, con i suoi discepoli.
Andreas Köstenberger ritiene che Gesù fosse visto dai suoi contemporanei come un rabbino e il rabbino ortodosso Shmuel Boteach ritiene che Gesù fosse un saggio e colto rabbino ebreo osservante della Torah, che disprezzasse i Romani per la loro crudeltà e li abbia combattuti coraggiosamente.
Nel Vangelo secondo Giovanni leggiamo il brano che dobbiamo ricordarci bene, perché è la XX stazione della Via Crucis: «I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca. Così si adempiva la Scrittura: i son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte. E i soldati fecero proprio così» (Gv 19, 23-24). Quindi, Gesù non era povero, visto che la tunica che portava era una veste costosa.
Oggi, ho letto sul blog Stilum Curiae [QUI] dell’amico e collega Marco Tosatti un commento che spiego alla perfezione il concetto. Lo condivido di seguito, come riflessione per questo venerdì 29 dicembre 2023, V giorno fra l’Ottava di Natale, quando leggiamo il brano dalla prima lettera di San Giovanni apostolo (1Gv 2,3-11): «(…) da questo sappiamo di avere conosciuto Gesù: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: “Lo conosco”, e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato. (…)».
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La povertà di Gesù e della Sacra Famiglia è diversa da quella socio-economica cara alle riletture moderniste.
Nel mistero del Natale a campeggiare potentemente è la povertà di spirito (l’umiltà) dei protagonisti e non la loro indigenza. La povertà di spirito dei protagonisti consiste nella fiducia nella Provvidenza, prima che nelle loro sicurezze (incluse quelle legali del giusto Giuseppe).
Dio tesse la storia e loro in quella trama e in quell’ordito ci si mettono confidenti. Maria è prossima al parto e un ordine dei romani impone proprio allora un lungo e faticoso trasferimento? Ma è quel trasferimento inopportuno e forzato a compiere la profezia di Michea.
Essa non si limita al solo -più famoso- capitolo 5, ma anche al 4, con la torre delle greggi a collegare la messianicità al re Davide e agli agnelli da immolare per pasqua, sempre secondo le parole di Michea.
Anche il non trovare alloggio in città è provvidenziale, conducendo Giuseppe (uomo intelligente e volitivo, conoscitore dei luoghi) a individuare una sistemazione sufficientemente dignitosa e ancora legata alla profezia.
Purtroppo questa vicenda avrà bisogno anche della morte dei santi innocenti. Ma anche le loro anime sono nella gloria di Dio (come quelle dei ben più numerosi abortiti dagli Erodi attuali).
Anche i pastori che ricevettero l’annuncio angelico del Natale di nostro Signore non erano dei pezzenti emarginati come piace ripetere all’esegesi modernista.
Fare il pastore riguardò Abele, Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, Davide, Amos… Non proprio dei personaggi comuni ed insignificanti dell’Antico Testamento. Anche donne, come Rachele!
Betlemme era il luogo in cui venivano selezionati gli agnelli (senza macchia né difetto) per la Pasqua e c’erano pastori deputati ad eseguire questa selezione e a sorvegliare questi agnelli così particolari.
Il che non toglie che dovessero anche dormire all’aperto, mungere, produrre formaggi, tosarle, procurare la lana ai tessitori, portare il gregge al pascolo etc. Gesù non si vergogna affatto di loro e anzi si proclama anche il buon pastore!
Sarà la letteratura successiva a dipingere i pastori come dei poco di buono, ma all’epoca di Gesù non era così.
Non si tratta di pastori invisi alla classe dirigente, ma incaricati di un’attività importantissima e riconosciuta.
Siamo noi oggi a ritenere queste cose “futili”, pensando solo al valore commerciale dell’allevamento.
La nascita di Gesù coincide non solo con il tempo della festa delle luci, ma anche con quello della nascita degli agnelli… C’è tutta la sapienza biblica, rivelazione di Dio, a concentrarsi nella notte del Natale.
Anche chi non è di religione ebraica nota segni inequivocabili in cielo ed i Magi arriveranno ad adorare il bambino (almeno per quarti, dopo Giuseppe e Maria, dopo gli angeli e dopo i pastori) sapendolo un Re.
Nemmeno qui la riproposizione stantia della povertà economica e materiale coglie nel segno: piuttosto l’oro portato in dono al re incensato non cancella i segni collegati alla sua morte: l’Agnello sarà offerto in sacrificio di espiazione, la mirra serve per l’unzione.
Le profezie messianiche si saldano con la Provvidenza nel condurre tutti gli strumenti di Dio al loro posto, compresi gli angeli, compresa la luce, compresi gli indumenti che avvolgono il neonato Gesù e non sono privi di significato per la comprensione dei pastori.
Il tutto davanti alla Sempre Vergine Maria, ancora secondo una profezia. San Giuseppe è istruito dal Cielo.
È tutto un pregare adoranti, altro che preoccuparsi della povertà materiale.
Ad essere crudelmente materiale è il Re Erode, ipocritamente interessato ad adorare anche lui, ma folle di invidia e di violenza [R.S.].
Foto di copertina: Tisi Benvenuto detto Garofalo, Adorazione dei Pastori, 1517 circa, Sala della pittura ferrarese, Galleria Borghese, Roma.