Dal Festival Francescano, un appello per la pace in Siria

“La pace in Siria non può essere raggiunta attraverso missili che distruggono o con l’impegno di navi da guerra. La proclamazione della pace è meglio delle dichiarazioni di guerra”. L’ennesimo, accorato, appello per la pace in Siria arriva dal patriarca greco ortodosso Giovanni X di Antiochia e di tutto l’Oriente. Il paese, segnato da due anni e mezzo di conflitto, con oltre 100 mila morti e milioni tra rifugiati e sfollati interni, ha vissuto in queste ultime settimane una fase calda passando dal possibile attacco degli Usa ad Assad al rilancio del processo negoziale.
Allontanato lo spettro di un aggravamento della crisi e della violenza, ora si va verso la Conferenza di Ginevra di metà novembre per cercare di dare una soluzione politica alla lotta che sta dilaniando il Paese. La risoluzione approvata in questi giorni dall’Onu sulla Siria, infatti, dimostra che la pace è possibile, che il dialogo è possibile e che le Nazioni Unite sono tornate al centro della politica internazionale. Le parole di Giovanni X, fratello del vescovo ad Aleppo, Paul Yazigi, uno dei due vescovi rapiti in Siria lo scorso aprile, acquistano ulteriore significato anche alla luce di quanto ha detto Papa Francesco, domenica 29 settembre all’Angelus, che ha invitato a “pregare ancora una volta per la pace in Siria e nel Medio Oriente”.
La volontà politica e diplomatica di trovare una via negoziale al conflitto in corso, tuttavia, non deve far dimenticare che sono ancora molti i nodi da sciogliere e altri se ne stanno aggiungendo. E’ di queste ultime settimane la notizia di scontri violenti interni tra sciiti e sunniti e anche tra le fazioni più integraliste che militano nel variegato panorama dell’Opposizione al presidente siriano Bashar al Assad. Un cambiamento che sta dando alla crisi siriana una pericolosa venatura confessionale: da una parte gli sciiti, nel cui novero rientra la minoranza alauita alla quale appartiene il presidente Assad, e dall’altra i sunniti ai quali fanno riferimento la quasi totalità delle bande fondamentaliste molte delle quali dall’estero, pagate dai Paesi arabi del Golfo, nelle quali militano perfino occidentali convertiti.
A fare le spese di questo scontro confessionale è la minoranza cristiana, sempre più vessata e presa di mira, costretta ad emigrare altrove. Secondo Khaled Fouad Allam, docente di Sociologia del mondo musulmano e di Storia e istituzioni dei paesi islamici all’università di Trieste, “il contenzioso fra sunniti e sciiti è perenne. Da quando l’islam nasce, dopo la morte del profeta Mohamed, questo contenzioso non è mai stato risolto”. Parlando a margine di una tavola rotonda sul tema dell’accoglienza nei tre grandi monoteismi promossa all’interno del Festival francescano di Rimini (27-29 settembre), l’ esperto ha ricordato come “la deflagrazione politica dei vecchi regimi, Egitto, Tunisia, ora la Siria, porta con sé una radicalizzazione dei rapporti tra sunniti e sciiti. Le rivoluzioni scoppiate con lo scopo di costruire delle nuove democrazie non possono contare su un ecumenismo tra sciiti e sunniti, contrariamente a ciò che è successo ad esempio in Occidente, nel cristianesimo, fra protestanti e cattolici. E’ evidente – ha aggiunto – che bisogna fermare lo scontro confessionale tra sciiti e sunniti prima che dalla Siria dilaghi in tutto il Medioriente. La Siria, infatti, significa l’Iraq, significa il Libano, significa anche altri contesti socio culturali e geografici”. La prima vittima di questo scontro interno all’Islam è la minoranza cristiana. E non solo in Siria, ma anche in Iraq, in Egitto…
“Abbiamo delle statistiche, preoccupanti, che mostrano una fuoriuscita di minoranze cristiane che sono minoranze storiche. Non è una diaspora perché il cristianesimo è nato ad Oriente. La fuga dei cristiani dal Medio Oriente è preoccupante perché essi ne sono una componente fondamentale. Quanto sta avvenendo – ha concluso – contrasta con lo spirito di collaborazione che si registrava nel mondo arabo dell’800, quando arabi cristiani e arabi musulmani difronte ai problemi della loro epoca cercavano di risolverli. Oggi purtroppo la conflittualità è tale che si assiste ad un’altra deflagrazione”.